Recensione dello spettacolo RICCARDO III di William Shakespeare – regia di Luca Ariano

CITY LAB 971, dal 3 al 15 Ottobre 2023 –

Si aprono delle porte: è un insolito sipario che cela ulteriori porte e ulteriori profondità. Sarà un invito a castello? Oppure un luogo della psiche? O forse l’adescamento in una trappola luminosamente accecante, dove rischiamo di venir risucchiati ? 

Il regista Luca Ariano – anche curatore del progetto (assieme a Pietro Faiella) e della scenografia (con la collaborazione di Alessandra Solimene) – pensa progetta e realizza uno spazio per la messa in scena del suo spettacolo, tale che lo stesso spettacolo e lo stesso spettatore ne possano essere pensati. È un lampo di genio che colpisce il cuore del bersaglio: il pubblico. Totalmente. 

Luca Ariano

Infatti, immerso all’interno di un calibratissimo gioco di volumi, di prospettive e di effetti cromatico-luminosi (la drammaturgia di quest’ultimi è di Max Comincini), lo spettatore viene inguaribilmente pluri-sedotto. Dapprima da un bianco “che più bianco non si può” – come recitava tempo fa il pay off dello spot pubblicitario di un noto detersivo per abiti. Ma che inconsciamente alludeva già anche alla pulizia dei nostri “habiti”, cioè dei nostri costumi, dei nostri modi di fare.

Sì, il bianco ci seduce: ci porta dalla sua parte, ci fa suoi. Ma il bianco solo apparentemente rappresenta il colore della purezza: cromaticamente è la somma di tutti i colori, e per estensione metaforica, di tutte le emozioni, di tutte le pulsioni, del bene e del male. Mescolanza, quindi: non purezza.

Come la drammaturgia cromatica e luminosa rivelerà a fine spettacolo quando, le profondissime angosce di Riccardo III emergeranno dal suo sottosuolo emozionale e lo porteranno a smarrire il suo ferreo “controllo”. Allora, proprio qui, il bianco assoluto che lo ha sempre avvolto si spaccherà in mille colori. Un effetto dalla sublime bellezza! 

Alcune opere dell’artista Elisa Leclè, curatrice dei costumi dello spettacolo, esposte negli spazi di City Lab 971, in occasione della messa in scena del Riccardo III di Luca Ariano

Ma poi che cos’è la purezza? Siamo davvero sicuri che sia così sano anelarvi, sceglierla, assecondando una nostra (innata e fuorviante) spinta a “sembrare” sempre lindi ? La nostra natura umana in verità dà il meglio di sé proprio riuscendo a fare un libero e consapevole uso dell’imperfezione che comunque ci costituisce.

E allora, proporre e propagandare subdolamente il concetto opposto idealizzandolo, non sarà un inganno di chi – invece consapevole – decide di solleticare proprio questa nostra fragile tendenza tutta umana per controllarci, per portarci dalla sua parte, per sedurci, in realtà saccheggiandoci?

Anche di questo riesce a parlarci con un’elegante evidenza fluorescente questo splendido spettacolo del regista Luca Ariano, che si avvale della potente complicità di un corpo attoriale capace di restituire allo spettatore una verità senza filtri. A tutto tondo: riuscendo a liberare le innumerevoli sfaccettature proprie dei passaggi emotivi dei personaggi.

E rapisce, per l’efficace suggestione, la scelta di dare ampio spazio ad una resa recitativa “di taglio”: sul piano del profilo. Il nostro profilo, infatti, è l’immagine di noi che conosciamo meno. Eppure il disegno del nostro profilo ci rappresenta inequivocabilmente. Acuto e interessantissimo si rivela quindi il dualismo portato in scena tra frontalità e profilo dei personaggi: un denso simbolismo di luce ed ombra che si staglia mirabilmente negli occhi dello spettatore.

E poi, terribile e struggente, seduce la recitazione affidata all’espressività delle mani. Associate da sempre al potere, alla forza, alla lealtà, all’amicizia e alla fiducia, le mani celano una ricchissima simbologia. Le nostre mani parlano. Con le mani diciamo chi siamo e lasciamo emergere cosa si muove dentro di noi. E gli interpreti in scena – Roberto Baldassarri, Gilda Deianira Ciao, Romina Delmonte, Luca Di Capua, Lucia Fiocco, Mirko Lorusso, Liliana Massari, Alessandro Moser – ci incantano. Su tutti brilla Pietro Faiella: un irresistibile Riccardo III. Un autentico “acrobata dello spirito”. 

Pietro Faiella

Parte essenziale della drammaturgia, il linguaggio dei costumi. Dall’estro di un’artigiana della moda qual è Elisa Leclè prendono forma abiti che, oltre a sedurci per l’essenziale e alchemica raffinatezza delle linee, ci rivelano anch’essi l’ondivaga natura dei personaggi. Sono dettagli che parlano attraverso ciò che manca, attraverso ciò che stringe e dove stringe: dove si blocca l’energia vitale, l’azione, lo spirito critico. E poi i colori scelti: un accecante tirannia nevrotica del total white per Riccardo III e le sfumature minerarie dei grigi e dei beige per le sue prede. Tinte del compromesso e della prudenza. 

Uno spettacolo che ci parla non solo e non tanto della pericolosità di personalità seducentemente dittatoriali quali quella di Riccardo III ma della pericolosità di restarne abbagliati. Il problema non è tanto che ci sia stato o che ci possa essere un Riccardo III; il vero punto della questione è se e quali sono le condizioni che permettono continue ascese al potere di tanti Riccardo III .

Oltre ad affermare di aver subito tali ascese, siamo sicuri di non essere proprio noi ad alimentarle, a renderle possibili? Perché non siamo semplicemente chiamati ad accettare un invito: è in nostro potere dare forma ad un pensiero critico. Ma la libertà, in verità, nasconde un’ombra: desiderare affidarsi ad altri consegnando loro il peso dello stare al mondo. La nostra natura umana è fatta anche di questa tensione: esserne consapevoli è il primo passo per evitare di cadere nella falsa ma rassicurante trappola di coloro ai quali noi affidiamo il nostro potere. 

Questo spettacolo oltre ad essere superbamente curato in ogni suo aspetto si assume la cura e quindi la responsabilità di parlarci, al di là delle parole sublimi di William Shakespeare, del pericolo sempre attualissimo nel quale rischiamo di cadere. La stessa installazione di Luca Ariano ne è una testimonianza: una messa in forma del mondo, estetica e comportamentale, come espressione della definizione mutevole delle relazioni tra l’individuo e la realtà.

Massimo Venturiello

Lo spettacolo é prodotto da “Officina Teatrale” di Massimo Venturiello e sarà in scena a Roma, dal 3 al 15 ottobre, negli spazi di CityLab 971, ex cartiera, ex centro sociale, trasformato in luogo di produzioni cinematografiche e spazio artistico e performativo, in cui bellezza e degrado si confondono.

In occasione della messa in scena del Riccardo III del regista Luca Ariano, gli spazi di City Lab 971 esporranno le opere dell’artista e designer Elisa Leclè e dello studio d’arte “Biancofiore”, collettivo artistico impegnato nella riqualificazione e rigenerazione artistica degli spazi urbani.

Le opere dello studio d’arte “Biancofiore” nello spazio espositivo del City Lab 971

Recensione dello spettacolo DARWIN INCONSOLABILE (un pezzo per anime in pena) – di Lucia Calamaro

TEATRO INDIA, dal 23 al 28 Maggio 2023 –

La sensibilità e l’afflato di Lucia Calamaro fanno sì che dal buio prenda vita un’insolita “isola”, i cui costumi della specie che la abita possono essere interessanti da analizzare da parte di noi del pubblico.

Lucia Calamaro, autrice e regista dello spettacolo “Darwin inconsolabile”

Per una sera noi un pò come Charles Darwin (1809 – 1882): il biologo, naturalista, antropologo, geologo ed esploratore britannico – celebre per aver formulato la teoria dell’evoluzione delle specie vegetali e animali – che raccolse molti dei dati su cui basò la sua teoria, durante un viaggio intorno al mondo sulla nave HMS Beagle. In particolare durante la sua sosta alle Galápagos.

Charles Darwin (1809-1882)

Quella dello spettacolo di cui la Calamaro è autrice e regista è “un’isola” in cui una specie umana vive tra centro commerciale e casa. In cui si interpreta il contenuto del carrello della spesa un po’ come gli antichi greci consultavano l’oracolo di Delfi. La divinità qui è la plastica: immortale e sempiterna. Come Dio. 

Gioia Salvatori, Simona Senzacqua, Riccardo Goretti e Maria Grazia Sughi in una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile” al Teatro India di Roma

Da buoni osservatori non possiamo non notare come in questa “isola” ci siano problemi di “imprinting”: la mamma soffre perché i suoi tre figli (ormai adulti) non la seguono più. Ad esempio, sebbene lei sia “creazionista” e creda che tutti noi “siamo preda del fato”, sua figlia Gioia è attratta da “teorie trans-evoluzionistiche” che auspicano le unioni tra specie diverse tra loro.

Gioia Salvatori, la figlia trans evoluzionista

La mamma prova il tutto per tutto allora (in realtà ormai da anni) mettendo in atto un esperimento di “tanatosi”: si finge prossima alla morte, un atteggiamento strategico che gli animali utilizzano quando si trovano in pericolo. Gioia perde i sensi, ripetutamente; Serena se ne va tentando di affogare la (solita) strategia materna nel vino e Riccardo avverte la mamma di non andare oltre con la solita pagliacciata.

Maria Grazia Sughi, la madre

L’arguto testo della Calamaro intreccia a doppio filo quelli che sono i bizzarri comportamenti “etologici” della specie umana alle relative dinamiche psicologiche. L’idea di base è che tutto ciò che appare visibile è sempre il risultato di un processo nascosto. Una sorta di archeologia. 

Eduardo Urbano Merino, “Genetic neuropsychiatry

Tra stanislavskjismo e cristianesimo la madre “sembra” preoccuparsi solo ed esclusivamente se alle sue “messe in scena” di tanatosi i figli “ci credano” o meno. Ma cosa nasconde in realtà questo atteggiamento? Quanto bisogno abbiamo di essere amati, accarezzati, coccolati, presi in considerazione? Cosa siamo disposti a fare per ottenere “calore” da parte degli altri? Di cosa ci parla questo bisogno?

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma

Persa la capacità di relazionarci con gli Altri ma anche con la Natura che ci ospita, tendiamo a privilegiare atteggiamenti individualistici. E quindi egoistici: manipolatori. Ma il posto dove appoggiamo i piedi si muove tanto quanto quello che è sopra le nostre teste.

E a ricordarcelo è proprio Darwin: a mescolare e rimescolare continuamente la terra sono creature molto poco “considerate”, i vermi, i quali riescono a rendere “fertile” il rapporto con la terra grazie ad atti “performativi” piccoli e lenti ma costanti. Proprio come avviene per l’evoluzione degli esseri viventi sulla superficie della Terra.

I lombrichi, infatti, formano lo strato superiore del suolo – il terriccio vegetale fondamentale per la coltivazione – e poi vi depositano una gran quantità di terra fine, in forma di rigetti o deiezioni. Ciò che ci sembra così stabile ( il suolo) in realtà è l’effetto di un rimescolamento quasi invisibile.

Darwin era attirato da questa piccola ma costante “regolarità” d’azione, che porta a scendere verso il basso, nel terreno, pietre e rovine del passato. Ma anche uomini, se si pongono come ostacolo e non rispettano questo processo. Questa relazione con la Terra.

Simona Senzacqua, la figlia ostetrica, risucchiata dal timore per le nuove generazioni

Nella pagina iniziale del libro “L’azione dei vermi” – una delle opere meno note di Darwin, anche se all’epoca fu un vero e proprio successo editoriale e la sua diffusione fu superiore alla stessa “Origine della specie” – Darwin scrive una frase emblematica: “la massima de minimis lex non curat non si applica alla scienza”.

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile. Un pezzo per anime in pena” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma

Sono infatti gli effetti piccoli e cumulativi ad essere interessanti. Così come nelle relazioni umane.

Purtroppo ci siamo allontanati da questa direzione: “non stiamo facendo niente per noi e per gli altri” -sospira Gioia. “Quello che deve incombere, incomba” – ribatte la mamma “creazionista” .

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile. Un pezzo per anime in pena” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma

Ma forse si può ancora fare qualcosa per “consolare” Darwin e vivere meglio. Perché saranno quelli erroneamente definiti “stupidi” -cosi come tali vengono considerati i vermi- a sopravvivere e a permettere “una fertile” evoluzione della specie.

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile. Un pezzo per anime in pena” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma

Uno spettacolo pieno di ritmo: profondissimo e insieme esilarante. Grazie anche agli interpreti Riccardo Goretti, Gaia Salvatori, Simona Senzacqua e Maria Grazia Sughi che sanno come portare in scena, cioè con sapiente leggerezza, tutto il marcio delle nostre dinamiche familiari e sociali. 

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile. Un pezzo per anime in pena” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma


Recensione di Sonia Remoli


Recensione dello spettacolo EVERY BRILLIANT THING (Le cose per cui vale la pena vivere) di Dunca Macmillan – regia Fabrizio Arcuri e Filippo Nigro –

DOMUS AUREAParco Archeologico del ColosseoMOISAI 2023

In occasione dell’ultimo appuntamento della Rassegna “Moisai 2023 – Voci contemporanee in Domus Aurea” (dal 5 al 21 Maggio) ieri sera, dopo un’avvincente visita guidata alla Domus Aurea, siamo stati condotti all’interno della Sala Ottagona: la più scenografica, la più teatrale.

Sala Ottagona della Domus Aurea, luogo scenico della rappresentazione “Every brilliant thing” di Fabrizio Arcuri e Filippo Nigro

Per ciascuno dei 9 incontri ci si è affidati alla fertile ispirazione delle 9 Muse del mito. Ieri sera a insufflarci “forti cose pensar e mettere in versi” è stata la Musa Urania, che brilla astronomicamente sull’ora e sull’altrove e quindi sull’insieme dei momenti che compongono l’intera vita.

Uno degli interni della Domus Aurea nel Parco archeologico del Colosseo di Roma

Qualcosa di affascinante lega la Domus Aurea e la storia lì narrata ieri sera : “Every brilliant thing”(Le cose per cui vale la pena vivere).

Cosa lega il contenente e il contenuto?

La “damnatio memoriae”, ad esempio. La pena, cioè, che si usava ai tempi dell’antica Roma e che consisteva nel cancellare qualsiasi ricordo, qualsiasi traccia riguardante una determinata persona, come se non fosse mai esistita.

Questo accadde a Nerone: il suo ambizioso progetto di villa autocelebrativa – la Domus Aurea appunto – fu usata come fondamenta (e quindi sepolta ) per costruirvi sopra le Terme traianee.

Uno degli interni della Domus Aurea nel Parco archeologico del Colosseo di Roma

Qualcosa di simile rischia di capitare al protagonista della storia raccontata in “Every brilliant thing” : un bambino, poi divenuto adulto, che a suo modo combatte “la condanna” che sta cadendo su sua madre che, a causa di una depressione, tende cronicamente a suicidarsi.

Suo figlio, allora, temendo inconsciamente una “damnatio memoriae”, fa di tutto per salvare il valore della vita in generale (da qui il titolo), della vita di sua mamma e di conseguenza della propria. Non tutto andrà secondo i piani ma, così come avvenne per la Domus Aurea , anche il figlio nonostante tutto riuscirà a tenere insieme passato-presente-futuro. 

Uno degli interni della Domus Aurea nel Parco archeologico del Colosseo di Roma

Nel mentre s’attende il riempirsi della sala, lo stesso regista Fabrizio Arcuri, con sorriso sornione, ci consegna misteriosi foglietti dove sono scritte delle annotazioni.

Fabrizio Arcuri, regista dello spettacolo “Every brilliant thing”

E poi un uomo microfonato – l’ammaliante Filippo Nigro – entra e inizia a passeggiare tra noi. E ci guarda con accoglienza indagatrice.

Filippo Nigro, interprete e co-regista dello spettacolo “Every brilliant thing”

Ma poi, a schiaffo -cosi come entrano alcune esperienze nella nostra vita- arriva il suo attacco: “La lista !” . Sì, perché proprio la lista sarà la prova per la confutazione della “damnatio memoriae”, in quanto esprimerà le cose per cui vale la pena vivere.

L’ accattivante performance di narrazione di Filippo Nigro scopriremo avvalersi della complicità di alcuni spettatori, chiamati a dare corpo ad numerosi personaggi della storia. A schiaffo, ma con garbo, Nigro di volta in volta li avvicinerà: come l’imprevisto ci si avvicina, nel corso della nostra vita. 

Un momento dello spettacolo “Every brilliant thing” (Le cose per cui vale la pena vivere) in Domus Aurea a Roma

Fai parlare il tuo cuore ! ” : questo ciò che possiamo sentirci sussurrare in un orecchio dalla Musa Urania. Che cosa significhi “cuore” nessuno lo sa per certo, la sua stessa etimologia è sfuggente. Ma va bene così. Infatti ” l’oracolo” della Musa Urania allude al “far parlare” quel non so che, quel quid che ci risuona dentro e che esce da solo. Senza ragionarci sù. C’è già. Nasce da un mistero, è il frutto della nostra fulgente immaginazione.

Un momento dello spettacolo “Every brilliant thing” (Le cose per cui vale la pena vivere) in Domus Aurea a Roma

E’ il 1977 e il protagonista della storia ha solo 7 anni. Sua mamma ha tentato di togliersi la vita e lui non riesce a capire “perché”. Per aiutare la mamma ma soprattutto, pur non rendendosene conto, per evitare di “dimenticarsene” come è successo alla mamma, inizia a scrivere – interpretando a suo modo il “Fai parlare il tuo cuore” – una lista di risposte al “perche” vale la pena vivere.

Crescerà e continuerà ad integrare la lista, anche con la complicità della sua donna e di cari amici, fino ad arrivare a trovare un milione di motivi per cui vale la pena vivere.

Ma dopo continui tentativi succedutesi nel corso degli anni, un giorno sua mamma riesce a togliersi la vita. E lui crolla. A nulla serve, per sollevarlo dal suo stato di “down,” invitarlo a leggere la lista con i motivi per cui essere grato di vivere. La butterà nella spazzatura.

Troverà, questa volta, un altro modo per confrontarsi con la vita e con la morte: trovando le parole per dirlo ad altri che vivono la sua stessa difficoltà. Come sta facendo con noi.

La Sala Ottagona oggi e al tempo di Nerone nella Domus Aurea di Roma

Fino a scoprire che il segreto dei segreti sta nell’assaporare proprio quell’attesa speciale, così piena di mistero, così immersa in un’eccitante incertezza.

Come quella, ad esempio, che precede l’ascolto di un disco: toccarlo per estrarlo dalla copertina, posarlo sul piatto. E, appoggiata la puntina, iniziare a godersi quel fruscio confuso che precede l’inizio della melodia. Ecco, lì : quando la morte si bacia con la vita.

Uno spettacolo divino, così come solo l’uomo sa esserlo.

Ingresso al Parco archeologico del Colosseo dove si trova la Domus Aurea di Roma


Recensione di Sonia Remoli


Recensione dello spettacolo COLLOQUIO NOTTURNO CON UN UOMO DISPREZZATO di Friedrich Dürrenmatt – regia di Alessio Pinto –

TEATRO COMETA OFF, dal 16 al 21 Maggio 2023 –

In un teatro per sole voci qual è il radiodramma, così ricco in personalità e in disinvoltura, si inserisce la scelta del regista Alessio Pinto di anteporre, a mo’ di prologo al testo originale, una prosa satirica incentrata sull’inclinazione, tutta umana, di rinunciare al diritto di difendere il proprio “gusto”: la più personale delle opinioni.

Il regista Alessio Pinto

Ma abbiamo ancora nerbo per sostenere la responsabilità di pensarla diversamente dai più?

Cosa si rischia ad avere delle proprie opinioni?

La risposta arriva dalle successive notizie di cronaca trasmesse alla radio, la stessa dalla quale prima era stato “proclamato” il pezzo di satira: tutte relative a morti o ad arresti di persone che hanno avuto il coraggio di non rinunciare al diritto di esprimere il proprio gusto. Le proprie scelte. 

Friedrich Dürrenmatt, autore del radiodramma “Colloquio notturno con un uomo disprezzato”

Con questa chiave interpretativa, cifra stilistica di Dürrenmatt per smascherare le meschinità nascoste dalla facciata perbenista della società, Alessio Pinto conduce lo spettatore in uno spazio elegantemente disordinato, abitato da una luce d’indeterminata attesa nella quale, con il favore delle tenebre, è immerso un uomo.

Un leggero refolo di vento annuncia l’insospettatamente goffo entrare in scena di colui che l’uomo stava aspettando. Il timore lascia il posto alla delusione: qualcosa va in frantumi.

Chissà perché il nostro nemico lo immaginiamo sempre nel massimo della prestanza. Ma poi sarà davvero un nemico? Di chi, abbiamo davvero timore? Che uso facciamo del prezioso indizio a fare attenzione (mica a lasciar perdere) offertoci dalla paura?

F. Dürrenmatt, « L’Ultime assemblée générale de l’établissement bancaire fédéral », 1966, huile sur toile, 72 x 60 cm, collection Centre Dürrenmatt Neuchâtel

Perché non leggiamo? Perché i libri sono letti laddove sono proibiti? Perché la cultura è pericolosa? A cosa siamo disposti a dare un prezzo, un valore ? E le cose, sono davvero come sembrano?

F. Dürrenmatt, Prometeo forma gli uomini, 1988, gouache, cm 99×70 
© Centre Dürrenmatt Neuchâtel/Confederazione Svizzera

Con la forza dissacratoria di questi fertili dubbi è intessuta la narrazione di Dürrenmatt che Alessio Pinto ha saputo rendere eloquente, integrandola anche con riferimenti extra-testuali, quali (per citarne solo uno) il Bergman de “Il settimo sigillo“. 

Una scena da “Il settimo sigillo” di Igmar Bergman (1957)

Un attento accordo tra spazio, luce e prossemica “disegna” l’importanza dialettica di due punti di vista, sottolineandone i confini ma rivelandone anche l’incontro. 

Una scena dello spettacolo “Colloquio notturno con un uomo disprezzato” di Alessio Pinto

I due attori in scena riescono con efficacia a “visualizzare” l’inconsistenza di certi “luoghi comuni”, di certi “ruoli” pre-confezionati.

Alessandro Giova (lo scrittore) emoziona nel rendere tutta la parabola psicologica del suo personaggio. Nel lasciarsi cioè trascinare dai continui “colpi di scena” a cui viene sottoposta quella che dovrebbe essere (ma non è) la sua “aperta” immaginazione di scrittore. 

Alessandro Giova, interprete dello scrittore

Antonio Conte (il “nemico”) ci disarma attraverso continui spiazzamenti: morfologici, etici, filosofici ed esistenziali.

Antonio Conte, il “nemico”

“Veste” una voce angelicamente tormentata che in alcuni momenti ricorda le presenze trascendenti de “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders. Come loro tiene insieme la leggera invisibilità dell’angelo e la necessaria pesantezza dell’uomo.

Antonio Conte e Alessandro Giova in una scena dello spettacolo

Uno spettacolo che capta l’attenzione dello spettatore sottoponendolo a continue montagne russe emotive. 


Recensione di Sonia Remoli


Recensione dello spettacolo MARCO ROSSETTI LIVE SHOW

PALAZZO DAMAThe House of Peroni Nastro Azzurro – 17 Maggio 2023

Nello splendido scenario di Palazzo Dama, uno dei palazzi nobiliari più incantevoli di Roma, l’area esterna del “Ristorante Pacifico” ospita  la prima Casa italiana di una delle birre più conosciute al mondo: The House of Peroni Nastro AzzurroUn luogo unico, simbolo dell’ospitalità italiana nel mondo. Molto più di una brand experience proprio perché parte integrante dell’essenza di questo marchio.

E ieri sera,  in perfetto accordo con la filosofia “Vivi ogni momento”, caratteristica dello storico marchio nato nel 1963,  ha avuto luogo la serata d’apertura della stagione maggio-ottobre 2023.  In questi mesi la House of Peroni  sarà attiva sette giorni su sette con un ricco calendario di attività, dall’aperitivo alla notte.

La prima delle Peroni Nastro Azzurro Nights della stagione è stata inaugurata ieri con il live Show di Marco Rossetti e la sua band. A seguire, i dj  resident Muriel Bassi e Raffaella Papa. 

Adorato dal grande pubblico per le sue fulvide e plutonie interpretazioni in film,  serie TV e spettacoli teatrali, Marco Rossetti si sta rivelando un artista a tutto tondo, facendosi riconoscere per il suo stile cool&deep anche come autore e interprete musicale. Uno stile “che esce dal comune”.


È solito dire che le cose migliori gli sono capitate per caso o grazie ad un errore. Si chiama serendipity ed è un tipo particolare di fortuna, che riesce a farsi strada in noi solo se si è disposti a vivere con una grande apertura verso il nuovo. 


Ed proprio di questo “aperto” modo di stare al mondo che canta Marco Rossetti, lui che ama essere “un corteggiatore dell’amore”: quello verso gli altri e quello verso se stesso. I suoi testi parlano infatti della fallibile, e quindi incerta, tensione verso un atto di coraggio: il lasciarsi conquistare e attraversare dall’amore. Perchè per incuriosirsi a conoscere un’altra persona ci vuole coraggio; per non bloccarsi difronte ai giudizi ci vuole coraggio; per conoscere noi stessi ci vuole coraggio. Consapevoli però che ciò che ci unisce tutti è, prima di ogni altra cosa, la capacità di sbagliare, allora per “non avere paura della vita” basta accettare questa nostra comune inclinazione all’errore e osare “aprirsi” al nuovo, che si presenta ogni giorno. Ci sarà magari una “guerra di nervi” ad attenderci dietro l’angolo. Ma ci sta: per poter”trascendere” e per “vivere un incantevole incanto”. 

Ieri sera, il giardino bordo piscina dello spazio esterno del “Ristorante Pacifico” è stato abitato da una crescente e frizzante energia: quella che caratterizza certe attese. Quelle belle. Come un perfetto “padrone di casa”, Marco Rossetti ha avuto cura di accogliere e salutare i suoi ospiti. Complice, una timida pioggerellina che ha attirato l’attenzione, senza però alterare la tensione per l’inizio del live show.

Prologo al vero inizio, una breve narrazione alla quale Marco Rossetti ha affidato le sue confidenze in merito alla nascita di due delle sue grandi passioni: la scrittura e il teatro. E poi, voilà: il brano d’apertura del live show è stato “Tra i rami (di Roma)” , la storia di un barone rampante al contrario. Lei ama nascondersi tra i rami degli alberi di Roma e lui che invece cerca di escogitare il modo per farla scendere giù. E non solo.

Poi è stata la volta di “Bicicletta” il brano ambientato ai tempi della quarantena anti Covid 19. Quando le distanze si potevano colmare solo pedalando. A seguire, il brano sull’attesa dei diciotto anni “La guerra di nervi” chiude la terna dei singoli usciti un po’ ovunque in rete. E poi ancora nuove proposte, brani della tradizione romana e inediti, in un crescendo “tremante e ossessivo”. 


Una splendida serata in un luogo di meravigliosa bellezza e cortesia.

Ed è solo la prima delle Peroni Nastro Azzurro Nights della stagione. 


Recensione di Sonia Remoli


David Copperfield sketch comedy -un carosello dickensiano

TEATRO VASCELLO, dal 28 Marzo al 2 Aprile 2023 –

È un inno all’istrionismo questo adattamento del “David Copperfield” dickensiano a cui dà vita il visionario regista Marco Isidori.

I sette attori-giocolieri in scena (ognuno con una pluri-partitura) volutamente indulgono in una recitazione enfatica, volta a suscitare plateali emozioni. Eccezionali le loro doti sceniche: un’atletica prestanza fisica si unisce ad una scultorea plasticità vocale, entrambe costantemente mutevoli. In bilico: così com’è la vita.

Una scena dello spettacolo “David Copperfield – sketch commedy” del regista Marco Isidori

Una recitazione, la loro, proprio perché contestualmente variegata, ricca e magnetica: capace di esaltare fisicamente il testo. Sono loro stessi testo. Un testo in cui lo spettatore può concedersi il lusso di perdersi, lasciandosi trasportare. Senza preoccuparsi di capire.

Una scena dello spettacolo “David Copperfield – sketch commedy” del regista Marco Isidori al Teatro Vascello

Perché i personaggi sono parte di un tutto e tutto diventa personaggio. È un grande gioco: il gioco del teatro, del tutto per tutto. Gioco che i Marcido chiudono non con il malinconico disincanto de “La tempesta” shakespeariana ma con il grato ” Quant’è bello svanire ! ” .

Una scena dello spettacolo “David Copperfield – sketch commedy” del regista Marco Isidori

Dall’estroso caos della pittrice e scenografa Daniela Dal Cin, dove spesso accade che scena e costume si fondino e confondino, ha preso forma una macchina scenica sui generis. Calibratissima sempre. Sui tre lati del palco si sviluppa, a delimitare lo spazio scenico, una struttura metallica che apre a varie suggestioni: da un militare ripostiglio di armi in asta, a un’ordinatissima cabina-armadio di “personaggi” che, qui, hanno trovato un autore. Un dietro le quinte a vista: spartano ma caratissimo. In scena, invece, ci sono “le persone”, consapevolmente disposte, in tuta da lavoro con scritta “Marcidos at work”, ad essere in-vestite dai “personaggi”.

Una scena dello spettacolo “David Copperfield – sketch commedy” del regista Marco Isidori al Teatro Vascello

Il genio di Daniela Dal Cin li ha immaginati bidimensionali come ombre, alle quali la densità grottesca del tratto fumettistico dona tridimensionalità. Voluto è lo iato tra essere e apparire ma soprattutto esaltata è la frammentarietà della natura umana, alla quale il gioco del teatro riesce a dare un’unità. Temporanea. Sempre da ricalibrare sul prossimo equilibrio da riconquistare.

Il cast dello spettacolo “David Copperfield – sketch commedy” del regista Marco Isidori agli applausi

Perché la vita è come una sarabanda: una danza figurata con la morte. Da replicare più volte, con improvvisazioni, secondo uno schema. Come in un carosello. Una continua e diversa “declinazione” è il gioco della vita . E del teatro. Una filosofia, quella del “clinamen ” epicureo, che questa storica compagnia ha assunto a giocosa identità ontologica .

Uno spettacolo che si riconferma una fantasmagorica opera d’arte totale, dove gli attori, abitati dalla percezione delle più varie identità umane, danno vita a partiture musicali incardinate dentro spazi di visione. Leggibili, al di là delle sovrastrutture di senso.

Einstein, il grande racconto dell’astronomia

TEATRO VITTORIA, dal 28 Marzo al 2 Aprile 2023 –

“Perché portare Einstein a teatro?”

Questa la domanda che Piergiorgio Odifreddi, matematico, logico e saggista, immagina che il nostro desiderio di sapere ci abbia suscitato.”La stella” di cui percepiamo la mancanza (la parola desiderio, infatti, questo significa) e che ci predispone ad ascoltare un “racconto”. Il suo: il grande racconto dell’astronomia, questa scienza così densa di stupore intelligente. Sì, perché il sentimento di meraviglia e l’analisi calcolata non sono in contraddizione. Anzi, le più importanti esclamazioni sono preparate proprio dalle più profonde interrogazioni.

Ecco allora che Odifreddi, da buon narratore, anziché esaudire subito il nostro desiderio in qualche modo continua ad accrescerlo. Con un pizzico di sana impertinenza, insiste e ci solletica dicendoci che in effetti “Einstein non è un personaggio inventato ( come generalmente sono quelli che accoglie il teatro) ma è più di un personaggio di fantasia” .

Ora, se è pur vero che nulla, forse, si realizzerebbe senza la fantasia, che cosa si intende davvero per “fantasia” ? Potremmo dire che non è una forma di intelligenza, né un sentimento ma quel “quid” che permette di collegare elementi apparentemente lontani, aprendo la mente a una visione alternativa di ciò che potrebbe accadere.

Joan Mirò – Fantasia –

In questo senso, l’arte, la tecnologia, la scienza e persino la società civile devono molto alla fantasia, all’immaginazione, alla creatività, all’inventiva. E in effetti Einstein è stato l’uomo che più di altri ha cambiato la nostra percezione del mondo. Questa, allora, è la chiave di lettura della mappa da utilizzare per “viaggiare nel tempo” insieme a Odifreddi.

La sua narrazione partirà da Copernico (1473 – 1543) per arrivare fino ad Einstein (1879 – 1955) prestando attenzione, però, non solo a come questi uomini hanno cambiato la visione del mondo grazie alla loro “fantasia” ma anche grazie ai loro “errori”.

Gli errori sono infatti quel “di più” di cui Odifreddi ci aveva parlato: “Einstein non è un personaggio inventato ma è più di un personaggio di fantasia”. Gli errori, sì, così fertili: soprattutto per chi viene dopo. Questo si verificò con la teoria eliocentrica di Copernico, che passò attraverso la riflessione di Giordano Bruno e poi attraverso quella di Galileo Galilei. Fino a Newton, le cui formule matematiche, una vera e propria novità del periodo, passarono osmoticamente i confini delle scienze per trovare accoglienza anche tra i confini della letteratura. Voltaire, Emilie du Châtelet, Diderot e lo stesso Tolstoj presero a utilizzarle nei loro testi letterari. Anche Einstein partirà da Newton per andare “oltre”.

Sarà anche per questo che Odifreddi conclude la sua narrazione affermando che “gli scienziati sono gli uomini più religiosi”, coloro cioè che approntano delle scelte, prestando molta attenzione ai fatti.

Piergiorgio Odifreddi

Un teatro di narrazione quello di Piergiorgio Odifreddi che mira a mostrare la pervasività della scienza in generale, e della matematica in particolare, nella cultura umanistica: soprattutto nella letteratura, nella musica e nella pittura, ma anche nella filosofia e nella teologia.

Sergio Maifredi

L’attenta regia di Sergio Maifredi fa sì che il testo guidi una narrazione agile; ed effettivamente il racconto si dispiega in maniera molto leggera. Solo apparentemente compassata, la narrazione risulta in realtà disseminata di guizzi ironici e garbatamente impertinenti, funzionali a mantenere desta l’attenzione per oltre due ore.

E quindi se è vero che ciò che caratterizza il “teatro” è il desiderio di guardare, di osservare, allora Einstein, e i vari personaggi della matematica, a buon diritto possono essere accolti in teatro. Uomini desiderosi, tutti, di avere shakesperianamente una musa di fuoco che li levi al più fulvido cielo dell’immaginazione.