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E ora:Teatro!

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Recensioni teatrali di Sonia Remoli

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Tag: monologo

Medea la divina

15 Maggio 202315 Maggio 2023 Sonia RemoliLascia un commento

TEATROSOPHIA, dal 12 al 14 Maggio 2023 –

Lo sguardo cinematografico che permea la regia e impreziosisce la graffiante drammaturgia di Massimiliano Auci dà vita ad “un monologo a tre voci”, ricco in assolvenze e dissolvenze, echi e specularità.

Massimiliano Auci, autore e regista dello spettacolo “Medea, la divina”

In un efficace gioco di flash-back, il vissuto della “persona” Maria Callas finisce per fare da contrappunto a quello del personaggio “Medea” di Pier Paolo Pasolini.

Maria Callas

Entrambi rimandano, infatti, a una predisposizione delle due donne verso amori folgoranti per uomini carismatici ma poco disponibili a riconoscere il loro autentico valore, unitamente ad un particolare rapporto sventurato con i propri figli. Donne ostinatamente ambiziose e di successo ma penalizzate da un insano rapporto con il cambiamento. 

Maria Callas in “Medea” di Pier Paolo Pasolini

È il vento ad aprire infatti lo spettacolo: un movimento vitale che allude all’energia che muove il corpo fisico, ma anche lo spirito, in un cambiamento continuo da uno stato all’altro. Perché così è la vita, dove tutto si muove tra continui equilibri e sconvolgimenti. Il piacere, il fastidio e la paura provocate dal vento porteranno l’attenzione sugli aspetti della vita delle due donne che sono ormai “maturi” per una trasformazione e quelli invece che seguono vie meno controllabili. Alle quali ci si dovrà adeguare, malgrado tutto.

Maria Callas

Evocativi e poeticamente onirici i corridoi di luce, sviluppati su diversi campi cinematografici, dove una giovanissima Ginevra Gemma, piena di grazia, osa farsi guidare dal lancio di un sassolino per saltare sulla vita.

Dagli scacchi del gioco della campana, tra assolvenza e dissolvenza, il passaggio è sulla cappa a scacchiera che veste la Medea-Callas, interpretata da un’appassionata Giovanna Cappuccio che, con fiera e fragile tragicità ha deciso di lasciare in eredità ai figli, privi di una madre, una città. Ma si spoglierà di questo proposito così come ora fa con la cappa che l’avvolge, quasi a rifiutare gli scacchi ricamati per lei dal destino.

Giovanna Cappuccio

In un interessante gioco a cerchi concentrici, il nuovo “habitus” della Callas-Medea, total black, ricorda quello sulla “de-formità” del Riccardo III shakespeariano: “io che non sono nata per i lavori nei campi…”. E’ una mancanza di quella “giusta forma” necessaria per essere riconosciute dagli altri ma soprattutto da loro stesse.

Giovanna Cappuccio

E così, Maria si lascia plasmare, “sempre indifesa”, dall’imprenditore Giovanni Battista Meneghini che la trasformerà da goffa donna a rilucente diva. Ma se ” arrivare è da molti, restare è per pochi! “. E così Maria (ma anche Medea) finisce per infilarsi in un illusorio mantenimento della continua perfezione che sfocerà in una vera e propria maniacalità.

Giovanni Battista Meneghini e Maria Callas

A una seducentemente subdola Giorgia Serrao sono affidati i contrappunti della madre e delle sfaccettature nascoste della diva indifesa e arrabbiata.

Giorgia Serrao

Finché non arrivano altri due nuovi occhi a voler plasmare la divina: quelli di un altro imprenditore: Aristotele Onassis. Una di quelle persone che pretendendo di essere amate, non sanno amare.

Aristotele Onassis e Maria Callas

Abbandonata, le serve una nuova identità: questa volta il nuovo “habitus” arriva da Pier Paolo Pasolini. Su di lei “cuce” il suo personaggio di Medea. Entrambi reduci dalla fine di un grande amore, si amano. Ma di amori diversi. Il vento continua a soffiare cambiamenti ma per Medea la divina saranno solo fratture.

Pier Paolo Pasolini e Maria Callas

Uno splendido ritratto al di là di della leggenda e al di là del divismo che, sempre con il giusto ritmo, porta lo spettatore a scoprire due nuove donne allo specchio. Nelle quali non è difficile trovare assonanze con i nostri vissuti.

Giovanna Cappuccio e Giorgia Serrao

Contrassegnato da tag agnesecarinci, andreacavazzini, applausi, aristoteleonassis, assolvenza, cambiamenti, cinema, destino, dissolvenza, emotions, figli, flashback, giorgiaserrao, giovannacappuccio, giovannibattistameneghini, liberoarbitro, love, mariacallas, massimilianoauci, matteofasanella, medea, medealadivina, monologo, pierpaolopasolini, riccardoterzo, teatrosophia, vento, williamshakespeare

La Castellana

13 Maggio 202317 Maggio 2023 Sonia RemoliLascia un commento

TEATRO PORTA PORTESE, dal 12 al 14 Maggio 2023 –

“Io sono ciò che ho fatto” : questo l’altero cogito della Castellana di Giuseppe Manfridi, ovvero della contessa Erzsébet Báthory , realmente vissuta in Transilvania tra il 1560 e il 1614. 

Convinta da folle lucidità che il sangue delle fanciulle vergini le garantisse un’avvenenza eterna, fece del suo castello uno spaventoso luogo di sterminio seriale: “la fabbrica del suo candore”. I documenti del processo che la condannarono a essere murata viva, parlano di centinaia e centinaia di vittime. La Báthory aveva creato un sistema perfetto per adescare giovani ragazze al fine di tradurre il loro sangue nel cosmetico di cui aveva bisogno. 

Nella sua personalissima applicazione di uno dei principi della logica, il principio di causa-effetto, per la Castellana il sangue costituiva la causa di un effetto: l’eterna giovinezza della sua pelle. Per uno scopo universale: il “vanto del paesaggio”, all’interno del quale le giovani vittime, sacrificandosi, davano forma alla loro massima realizzazione vitale. 

Giuseppe Manfridi, autore del testo “La Castellana”

Desta l’interesse dell’autore Giuseppe Manfridi, uno dei massimi drammaturghi italiani, immaginare narrativamente il suo testo concentrandolo su un particolare momento della vita della Castellana: quello in cui i gendarmi arrivano sul luogo dei delitti per cercare e trovare le prove dello sterminio. Da qui, l’arresto e la condanna.

Della drammaturgia ricca in fascino di Giuseppe Manfridi, l’acuto sguardo di Claudio Boccaccini sa contattare e dare adeguato respiro a quel “quid” impenetrabile della natura umana femminile, che solitamente resta, o si preferisce lasciare, celato. Quel lato oscuro della luna che declina il “coraggio” in sfumature diversamente epiche.

Claudio Boccaccini, il regista dello spettacolo “La Castellana”

In una situazione da “orto degli ulivi” tale per cui “la ricercata” ha la consapevolezza che la sua tremenda attesa precederà la cattura, il processo e la condanna, Boccaccini sceglie, per dare carne e sangue alla bellezza della sua protagonista (un’intensa Giulia Morgani dalle mille temperature) una Castellana corvina e vagamente androgina. Volutamente pervertendo il canone del periodo rinascimentale che vedeva coincidere la bellezza con il biondo crine unito alla succulenza delle forme. All’acconciatura “a sella” preferisce il crine libero e, spettinato, lascia che le eclissi parti del volto.

Giulia Morgani, interprete dello spettacolo “La Castellana” di Claudio Boccaccini

Voluttuosamente ingorda di sangue, la bocca: una bellezza straniante la sua, così consapevole di femminile e di maschile, da insufflare turbamenti. Ma, in verità, lei ama solo auto-sedursi: il massimo degli eccessi, proprio perché consumato in solitudine.

Giulia Morgani in una scena dello spettacolo “La Castellana” di Claudio Boccaccini

Partenopeo, poi, è l’afrore sanguigno dell’idioma che la Castellana emana e con il quale riesce, attraverso un’inusuale ed estrema vitalità che le scorre sotto pelle, a contaminare tutta la scena. Fino a sedurne l’intera platea. 

Una donna capace di innalzarsi fino alle stelle più lucenti del sapere e insieme strisciare nel seminterrato più oscuro della psiche, invocando antichi demoni. Infernalmente paradisiaco il guizzo che le pulsa negli occhi. Con un che di maligno, che rimanda al suo modo di essere orgogliosamente sola. 

“La contessa Báthory assiste alla tortura di alcune fanciulle” – Museo delle Belle Arti di Budapest

Ma proprio sola non è: tra le argute innovazioni del nuovo adattamento di Claudio Boccaccini c’è la reale presenza del “solerte nanerottolo” lacchè Janos. Creatura nata dall’estro e dalle attenzioni demiurgiche di Antonella Rebecchini, che ne realizza una copia nell’atto di chi si inchina sì con il massimo della reverenza ma con la tentazione di fuggire.

Il nano Janos nell’istallazione scenica di Antonella Rebecchini

Procastinata in un’esigenza disperata di tapparsi le orecchie e gli occhi. Come nel clima emotivo dell’ “orto degli ulivi, anche qui “la ricercata” anela un conforto dal suo “discepolo” . Che ne è incapace: spaventato com’è fino alla paralisi. Sprovvisti entrambi di capacità relazionale, condividono singole solitudini.

Locandina del film “Le vergini cavalcano la morte ” di Jorge Grau (1973), ispirato alla storia della contessa Báthory

La sua ossessione per l’eterna giovinezza della pelle, l’organo più esteso del nostro corpo, confine tra noi e l’esterno, é espressione di un profondo disagio. La pelle, infatti, ci parla del difficile equilibrio tra il bisogno di proteggerci e l’esigenza di avvicinarci all’Altro. Rappresenta sia “il confine” che ci protegge, che “il luogo dell’incontro” con l’Altro.

Paloma Picasso interpreta la parte della contessa nel film “Contes Immoraux” di Walerian Borowczyk (1974)

Ma ciò che davvero è degno di nota, e la regia di Boccaccini lo sottolinea raffinatamente nella drammaturgia di Manfridi, non è tanto che la Castellana non riesca a trovare un equilibrio tra queste due spinte, quanto piuttosto riconoscere come proprio queste deviazioni e disequilibri comportamentali ci rivelino qualcosa di “vero” sull’essere umano.

Giulia Morgani (La Castellana di Boccaccini) e il nano Janos di Antonella Rebecchini

“Solo ciò che degrada, appartiene alla vita”: il crimine, la perversione, la follia, infatti, rappresentano paradossalmente espressioni essenziali dell’umano. Nel mondo animale non esistono, perché le bestie rispondono solo al comando univoco dell’istinto. Noi umani possiamo, invece, declinare le pulsioni per-vertendole e stravolgendole in svariate modalità. Ecco allora la folgorante scelta di vestire la Castellana di un vaporoso abito bianco: cromaticamente simbolo di purezza e insieme di summa emotiva, di mescolanza di bene e di male.

La locandina del film “Stay alive”,  film horror del 2006, scritto e diretto da William Brent Bell e ispirato alla storia della contessa di Báthory

Nella follia più folle, quella che non conosce dubbi e confina l’errore solo nell’Altro, arriva la condanna per i suoi crimini: un muro asfissiante che sancisce definitivamente la fine di ogni possibile relazione osmotica con il mondo esterno. Una seconda pelle impermeabile: inumanamente eterna.

Claudio Boccaccini

Potentemente evocativa la scelta registica di immergere lo spettacolo in una drammaturgia musicale, costituita da un tramestio uditivo di movimenti cadenzati, sensazioni, suoni e grida. Uno spettacolo, questo di Claudio Boccaccini, che apre e alimenta suggestioni che non si esauriscono con la fine spettacolo. Anzi.

Quel che resta del castello di Cachtice in Slovacchia

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Lo stato delle cose

4 Maggio 2023 Sonia RemoliLascia un commento

TEATRO PARIOLI, dal 3 al 21 Maggio 2023 –

Vivace fermento ieri sera al Teatro Parioli per la prima dello spettacolo di e con Massimiliano Bruno “Lo Stato delle cose”.

Uno spettacolo di narrazione, costruito e cucito per 33 talentuosi interpreti, suddivisi in tre diverse distribuzioni, che si alterneranno per le tre settimane di scena.

Questa settimana in scena, oltre all’onnipresente Massimiliano Bruno, gli 11 allievi del suo Laboratorio di Arti Sceniche: Giulia Napoli, Lara Balbo, Matteo Milani, Anna Malvaso, Giorgia Remediani, Daniele Locci, Francesco Mastroianni, Giulia Cavallo, Daniele Di Martino, Filippo Macchiusi, Cristina Chinaglia.

Lo spettacolo è imperniato intorno al tema della “creazione” come atto di vitalità, artistico e civile.

Alcuni degli 11 interpreti in scena dal 3 al 7 Maggio al Teatro Parioli

L’occasione che dà avvio alla narrazione è la crisi d’ispirazione di un regista (un istrionico Massimiliano Bruno) che per sfuggire all’attanagliamento del terrore della pagina bianca passa in rassegna, con la complicità della sua solerte assistente, alcuni dei testi precedentemente scritti e archiviati nella propria mente.

L’autore e regista dello spettacolo “Lo stato delle cose” Massimiliano Bruno

La scena, infatti, una elegante e insieme fantasmagorica libreria, è anche luogo della mente del regista. L’estro di Alessandro Chiti, che ne ha curato la realizzazione, fa sì che dai più insospettabili meandri della stessa facciano capolino o s’impongano, quasi pirandelliani personaggi in cerca d’autore, storie lì custodite.

Ed è così che, mentre il regista cerca l’anelata nuova idea, accattivanti monologhi o dialoghi prendono forma e carne attraverso il corpo degli 11 ragazzi (allievi del Laboratorio di Arti Sceniche di Massimiliano Bruno) tutti, nella loro preziosa diversità, ricchi in valore.


Massimiliano Bruno e gli allievi del suo Laboratorio di Arti Sceniche

Per produrre idee e trovarne una buona, si sa, occorre avere ben presente l’obiettivo da raggiungere e nell’attesa che prenda forma, muovere la mente intorno ad altro. E, scongiurata la paralisi da ansia da prestazione, l’idea arriva. Così come accade, un attimo prima della chiusura del sipario, al regista sulla scena. 

Nelle intenzioni di Massimiliano Bruno, celate nella duplice lettura del titolo dello spettacolo, lo stato delle cose allude non solo ad una situazione propria del mondo dello spettacolo ma anche dello Stato, che noi tutti andiamo a costituire e nel quale, come cittadini, abbiamo la responsabilità di far valere le nostre “storie”.

Il valore di una storia, infatti, tanto che riguardi fatti umani realmente accaduti oppure invenzioni di fantasia, è ciò che più ci caratterizza come esseri umani. Significa saper custodire una memoria e apprendere da ciò che i nostri simili hanno fatto in passato. Ma una storia è anche ricerca, indagine. Continua.

Anche nei momenti di “crisi”, perché la crisi è sì un momento di forte turbamento ma soprattutto è un momento in cui si verifica l’urgenza di una scelta. Come “la narrazione” così anche “la crisi” infatti è una delle cifre della vita, che racchiude il fascino di un pericolo che può diventare una preziosa opportunità. Al di là di un: “Basta che famo i soldi !”.

Massimiliano Bruno

La scrittura e la narrazione di Massimiliano Bruno brillano in chiarezza per immagini: è sua la capacità di raccontare rendendo “visibili” i concetti, riuscendo a coniugare la profondità di un delfico appassionarsi a conoscere se stessi ad una rara leggerezza. Quella calvinianamente intesa.


Qui, le diverse distribuzioni dello spettacolo:


3 – 7 Maggio Massimiliano Bruno, Giulia Napoli, Lara Balbo, Matteo Milani, Anna Malvaso, Giorgia Remediani, Daniele Locci, Francesco Mastroianni, Giulia Cavallo, Daniele Di Martino, Filippo Macchiusi, Cristina Chinaglia


8 – 14 Maggio Massimiliano Bruno, Malvina Ruggiano, Martina Zuccarello, Alessia Capua, Niccolò Felici, Federico Capponi, Francesco Mastroianni, Kabir Tavani, Francesca De Cupis, Sofia Ferrero, Giorgio Petrotta, Giulia Fiume


15 – 21 Maggio Massimiliano Bruno, Sara Baccarini, Tiziano Caputo, Agnese Fallongo, Giuseppe Ragone, Rosario Petix, Chiara Tron, Daniele Trombetti, Germana Cifani, Federico Galante, Clarissa Curulli, Liliana Fiorelli.

Lo spettacolo sarà diverso ogni settimana ma i tre allestimenti non saranno propedeutici l’uno all’altro.


Luci: Salvatore Faraso

Costumi: Valentina Stefani

Scenografia: Alessandro Chiti

Coordinatrice Susan El Sawi

Aiuto Regia: Sara Baccarini 

Assistenti alla regia: Lorenza Molina, Roberta Pompili, Paolo Sebastiani

Produttore esecutivo: Enzo Gentile

Produzione Il Parioli


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Molly B.

19 marzo 20232 aprile 2023 Sonia RemoliLascia un commento

TEATRO ARGOT STUDIO, dal 16 al 19 Marzo 2023 –

Prendendo posto nell’intima sala del Teatro Argot non si può non costeggiare il letto disfatto nel quale giacciono un uomo e una donna. Sembrano addormentati, probabilmente colti dalla mollezza della fine di un convegno amoroso: sono rimasti sfalsati, lei con la testa tra i cuscini, lui con la testa tra i piedi di lei.

Il letto che li ospita ha un’insolita testiera nella quale sono stati attirati e catturati tutti gli oggetti di scena, quelli che possono arredare uno spazio. Come se una potentissima forza di attrazione li avesse calamitati. E bloccati. Per dare vita ad un altro spazio. Tutto suo. Solo suo. E insieme di tutti.

Iaia Forte (Molly B.) in una scena dello spettacolo omonimo diretto da Carlo Cecchi

È una notte d’estate dai sentori ancestrali: canta la cicala e a lei, talvolta, s’unisce l’upupa. La donna, immersa profondamente in questa atmosfera magico-onirica, inizia a muoversi nel letto e nel dormiveglia, quasi come un ulteriore uccello, inizia ad emettere suoni che via via vanno assumendo la chiarezza di una serie di affermazioni: “sì … sì … è così …” .

Ora, può prendere avvio una lunghissima moltitudine di pensieri, di ricordi, di suggestioni, tipiche di chi si muove in quello stato primordiale qual è la fase tra la veglia e il sogno. È l’amore, l’argomento che li unisce tutti: l’amore come spinta vitale, come appetito, come affamato bisogno d’incontro e di scontro. Di complicità e di schermaglia. Di bugie e di confessioni. Di maschile e di femminile. In una parola: fame di sedurre e di essere sedotti.

Iaia Forte (Molly B.) in una scena dello spettacolo omonimo diretto da Carlo Cecchi

Questo movimento dell’immaginazione richiama, coinvolge ed accende il corpo di lei che, dall’iniziale posizione fetale, inizia ad aprirsi sempre più generosamente, fino a bagnarle gli occhi.

Iaia Forte (Molly B.) in una scena dello spettacolo omonimo diretto da Carlo Cecchi

Iaia Forte dimostra una potenza straordinaria a lasciarsi possedere dall’immaginazione. È talmente coinvolta che sembra rapita da un “daimon” che la rende sacra e le permette di fingersi, anzi di essere, maschile e femminile. E poi femminile e maschile. In un continuo scambio di ruoli. Non ci guarda, ma noi del pubblico il suo sguardo lo percepiamo con nitidezza: si insinua ovunque. 

Iaia Forte (Molly B.) in una scena dello spettacolo omonimo diretto da Carlo Cecchi

Lei è Mollly Bloom e siamo nel diciottesimo e ultimo episodio dell’ “Ulisse” di James Joyce, noto come il “monologo di Molly Bloom”. Un flusso ininterrotto di oltre quaranta pagine, che conta due soli segni di punteggiatura. E’ costituito da otto enormi frasi nelle quali Molly inizia a riflettere, prima di addormentarsi, su di una richiesta che il marito Leopold le ha fatto nel capitolo precedente. Per passare poi a considerazioni sui propri amanti, su di sé, sugli altri personaggi incontrati durante il romanzo, in un flusso incessante di idee, memorie, sensazioni, percezioni che scorrono liberamente e senza pause o cesure, proprio come fanno i pensieri nella mente umana.

Iaia Forte

La succulenza vocale di Iaia Forte, diretta do sguardo di Carlo Cecchi, da sempre attento al gesto, all’esattezza dei ritmi vocali e alla sottolineatura sonora, fanno di questo monologo una trascinante partitura musicale che rivoluziona il senso dello spazio, dove quel palpabile e insieme impalpabile spessore del corpo si fa scenografia.

Carlo Cecchi, regista dello spettacolo “Molly B.” con Iaia Forte

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La donna invisibile

11 marzo 202311 marzo 2023 Sonia RemoliLascia un commento

TEATRO TRASTEVERE, dal 10 al 12 Marzo 2023 –


Testo risultato vincitore al Premio Letterario V Municipio

con mise en éspace presso Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma–


Ha ricevuto la Menzione d’onore al concorso Teatro in Cerca d’Autore 2021–


Quello di Eva Gaudenzi è un accattivante teatro di narrazione. Il suo è un brillante monologo in cui ci parla, con scoppiettante ironia, della disperata ricerca da parte di una giovane donna, Adelaide Scomparin, di quel particolare “potere che rende speciali” .

Eva Gaudenzi

La carrellata dei ricordi di questa rocambolesca ricerca, vibra di un ritmo irrefrenabile e gravità intorno ad un aspetto della sua vita: le esperienze attoriali. Da piccola la definivano “tarda” : lenta, non sveglia, insomma. E le rifilavano solo parti “immobili” da “pura”: dalla pastorella alla suora. La morfologia è importante, si sa.

Eva Gaudenzi

E lei, cambiandosi al volo “a vista”, sa come far parlare tutti i personaggi coinvolti, dando vita ad uno splendido affresco. Ma poi, un giorno, arriva l’evento che contribuirà a dare un diverso orientamento alla sua ricerca.

I Fantastici 4

Morendo, il nonno le lascia in eredità uno “scrigno” colmo di fumetti de “I Fanyastici 4”. Dei quattro paladini che hanno deciso di mettere i lori “poteri speciali” a servizio dell’umanità, lei sente una potente affinità con Susan, “La Donna Invisibile“.

Eva Gaudenzi in una scena dello spettacolo “La donna invisibile” diretto da Emanuela Bolco

E così dai testi sacri delle agiografie delle sante, donne passivamente “invisibili” proposte dall’educazione cattolica a lei impartita, la giovane Adelaide arriva a non staccare gli occhi dalla sua eroina dei fumetti, dal potere così misterioso.

Eva Gaudenzi

In un sapiente gioco di continue rotture della quarta parete, seguite ed esaltate da un raffinato ed intimo disegno luci (lo spettacolo è diretto da Emanuela Bolco) la giovane acquisisce la linfa necessaria per poter proporsi a nuovi provini.

Eva Gaudenzi

Nell’ultimo, relativo a “Gli spettri” di Ibsen, dove ormai pronta a fare il salto di qualità (“la gente se lo aspetta”) si propone con la tutina da “Donna Invisibile”, succederà qualcosa di inaspettato: esposta, come Susan, ad una tempesta (emotiva) cosmica, riceverà poteri “sovrumani’.

Acquisirà la consapevolezza che il potere speciale è contare su se stessa. 

Eva Gaudenzi


ASSOCIAZIONE CULTURALE

” Pane e Parole “

L’associazione culturale “Pane e Parole” nasce nel 2016 da un’idea di Eva Gaudenzi (attrice, autrice e storyteller), Simona Coschignao (cuoca e sommelier) e Gabriele Peritore (poeta e scrittore).

Eva Gaudenzi e Simona Coschignao

La compagnia si occupa di produzione teatrale, piccolo catering e teatro a domicilio. Insieme, hanno immaginato una formula che unisse poesia, teatro e cucina.

Una situazione a domicilio

All’attivo diverse performance per l’inaugurazione di gallerie d’arte e vernissage; monologhi a domicilio abbianti ad assaggi di finger food.

Eva Gaudenzi si esibisce in una terrazza

In repertorio il monologo “Focumeo” scritto e diretto da Eva Gaudenzi e “Parto-monologo di sola andata verso la maternità”, che ha debuttato al Teatro Studio Uno di Roma nel febbraio 2018.

All’aperto, in città

Quest’ultimo seminifinalista alla rassegna di monologhi ShortLab diretta da Massimiliano Bruno e vincitore del premio Folle d’Autore 2018 intitolato ad Aldo Nicolaj. Lo spettacolo è stato rappresentato diverse volte a domicilio nella città di Roma.

Eva Gaudenzi

Ma il piccolo catering può viaggiare anche da solo, così come il repertorio di teatro a domicilio: non solo Pane e Parole ma anche…Pane o Parole.

Eva Gaudenzi

Parallelamente alle attività teatrali per adulti, conserviamo uno spazio speciale anche per i bambini: spettacolo teatrale a domicilio (volendo anche un piccolo laboratorio creativo dopo lo spettacolo) con merenda personalizzata. La sezione Bambini si arricchisce della collaborazione fra Pane e Parole e gli amici dell’associazione culturale J33tre, la cui presidente Beatrice Presen è per noi (e con noi) attrice e burattinaia.

Beatrice Presen e i suoi burattini


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La Papessa

17 febbraio 202318 febbraio 2023 Sonia RemoliLascia un commento

TEATROSOPHIA, dal 16 al 19 Febbraio 2023 –

Che sia una donna “pericolosa” lo si intuisce immediatamente: non ha bisogno di cercare la luce, piuttosto la rifugge. È lei la luce. E l’ombra. Non ha bisogno di particolari scene per esprimersi: è lei l’espressione. In lei tutto recita: dai denti alle sopracciglia. 

Beatrice Schiaffino (La Papessa) in una scena dello spettacolo

Ci cerca. Ma ci ha già sentiti nel buio. Si presenta. Ma è più un’apparizione. Non è solo una donna. Non è solo un uomo. È un’epifania. Ci parla di lei, quella che fu ( forse ) La Papessa: del suo essere, non essendo stata. Non è stata docile: unica dote che ad una donna si richiedeva. No: lei ha sempre cavalcato l’estro del pensiero indipendente. Coltissima ma sempre selvatica, come le erbe: quelle voci della terra con le quali sua madre entrava in comunicazione. Le erbe: alfabeto di un altro mondo.

Beatrice Schiaffino in una scena dello spettacolo “La Papessa” di Carmen Di Marzo

Fin dall’inizio cogliamo in lei un’impetuosa impazienza. Quella di chi sta contenendo l’urgenza di infiammare questo incontro, aspettando il momento in cui il nostro coinvolgimento arriva ad essere più potente. Per trasferirci “l’oracolo” che questo incontro suggella: fare della propria vita ciò che si brama essere. Sfidando il rischio, servendosi dell’astuzia, rubando con gli occhi, prima che con la mente. Affamati di sapere. Ebbri di conoscere. Ingordi di vita. 

Beatrice Schiaffino in una scena dello spettacolo “La Papessa” di Carmen Di Marzo

Non sarà un caso se nella cartomanzia “La Papessa” rappresenta la conoscenza segreta: quella che riesce a penetrare nella dualità tra l’universo materiale e l’universo spirituale. Se nell’alchimia rappresenta l’attrazione. Se ne I Ching è in analogia con il segno V (L’Attesa) e il segno XLIV (Il Farsi Incontro). Se nella magia è la conoscenza per operare bene. 

Petre Pater Patrum, “Papissa Pandito Partum“

La Papessa Giovanna si narra sia stata l’unica figura di papa donna, che avrebbe regnato sulla Chiesa col nome pontificale di Giovanni VIII, dall’855 all’857. È considerata dagli storici alla stregua di un mito o di una leggenda medievale, alimentata dal potere temporale francese in conflitto col papato. Raccontano che La Papessa sia rimasta incinta del suo amante. Durante la solenne processione di Pasqua nella quale il Papa tornava al Laterano dopo aver celebrato messa in San Pietro, mentre il Corteo Papale era nei pressi della basilica di San Clemente, la folla entusiasta si strinse attorno al cavallo che portava il/la Pontefice. Il cavallo impaurito reagì violentemente provocando a “Papa Giovanni” un travaglio prematuro. Scoperto il segreto, La Papessa Giovanna fu fatta trascinare per i piedi da un cavallo attraverso le strade di Roma e lapidata a morte, nei pressi di Ripa Grande, dalla folla inferocita. Fu sepolta nella strada dove la sua vera identità era stata svelata: tra San Giovanni in Laterano e San Pietro in Vaticano.

Il rito

Parte essenziale della leggenda è un rito mai svoltosi, ma fantasticato e ripreso, in chiave anti-romana, da autori protestanti del Cinquecento: s’immaginò che ogni nuovo papa venisse sottoposto ad un accurato esame intimo per assicurarsi che non fosse una donna travestita (o un eunuco). L’esame avveniva con il nuovo papa assiso su una sedia di porfido rosso, nella cui seduta era presente un foro. I più giovani tra i diaconi presenti avrebbero avuto il compito di tastare sotto la sedia per assicurarsi della presenza degli attributi virili del nuovo Papa. «D’allora st’antra ssedia sce fu mmessa / pe ttastà ssotto ar zito de le vojje / si er pontefisce sii Papa o Papessa» – scriveva Giuseppe Gioachino Belli, nella sua poesia “La papessa Ggiuvanna”). Pur trattandosi di una storia leggendaria, a essa hanno dato credito letterati come il Boccaccio (nel De mulieribus claris, 1362) e il Petrarca (nelle Vite dei pontefici e imperatori romani, 1370 ca.), oltre a numerosi storici e autori di cronache e, in fondo, fino alla Riforma protestante questa credenza non è stata efficacemente messa in dubbio.

Beatrice Schiaffino

Questo appassionato e appassionante monologo, interpretato da una ieratica e numinosa Beatrice Schiaffino, è curato nella regia da un’altra donna “pericolosa”, dal famelico istinto: Carmen di Marzo.

Carmen Di Marzo, regista dello spettacolo “La Papessa”

Il testo è di Andrea Balzola; le musiche originali di Alessandro Panattieri; i costumi di Loredana Redivo. Le fotografie di scena di Claudio Polvanesi.

In scena fino a Domenica 19 Febbraio !!! 

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Siamo tutte Frida

21 ottobre 202221 ottobre 2022 Sonia RemoliLascia un commento

TEATRO ARCILIUTO, dal 18 al 23 Ottobre 2022 –

Arriva con la pioggia: lei stessa si fa pioggia. Una melodia al pianoforte ne riproduce il ritmo e il peso. La vediamo scendere dietro una finestra illuminata e poi entrare in sala, catturata dal mistero di una tela bianca. La fissa, poi prende in mano il pennello. E, liberando le emozioni che la invadono, le traduce in canto: sarà la voce a guidare la mano, dal tratto davvero molto interessante.

Rosanna Fedele interpreta una Frida Kalho (i testi infuocati dello spettacolo sono tratti dal libro di Pino Cacucci “Viva la vida!“) quotidiana nella sua eccezionalità, vestita in tuta sportiva, a sottolineare ancor più che “Siamo tutte Frida”. Può capitare a chiunque di vivere un amore che è “un lento avvelenamento” e tardare ad allontanarsene, perché è insieme “arsura e pioggia”. E poi disprezzarsi per come ci si è lasciate martoriare. 

Attraverso un uso ammaliantemente icastico della voce, che Rosanna Fedele modula in simbiotico accordo al corpo e allo sguardo, la sua Frida inizia a confidarci il primo incontro con la morte, efficacemente riprodotta dall’inventiva di Alessandro Baronio. Accetta di “danzare” con lei quel giorno dell’incidente in autobus: ne esce in brandelli e il suo corpo risulta “un rompicapo per chirurghi senza fretta”. Le dicono che non si sarebbe più alzata da quel letto. E invece lei riprende a camminare.

Ma non fu un miracolo: solo un diverso passo di danza con la Morte che, poco dopo, riprendendo lei a guidare la danza, le sottrae tutti e quattro i figli. Un dolore immenso, il più grande. Ora, rivivendolo, cerca di incanalarne la potenza dilaniante nel disegnarne i loro quattro ritratti. Immaginandoli, non avendoli mai conosciuti. Ma non è sufficiente: il dolore sfugge agli argini. E allora li canta (i testi delle canzoni sono di Rosanna Fedele, musicati da Paolo Bernardi).

Ritorna poi al suo Diego, al loro primo incontro mentre lui dipinge “eterni murales” e lei gli propone di visionare “senza inutili complimenti” i suoi dipinti. Ma qualcosa torna ad eccedere in Rosanna/Frida: un dolce e straziante ricordo la spinge a lasciare un segno dell’amore che la pervade sul murales di scena. Ma è inutile: è troppo invadente e lei non oppone più resistenza.

Si lega allora a lui, anche fisicamente grazie al guizzo registico di Andrés Rafael Zabala, e si fonde al mascherone di Diego Rivera, creato per l’occasione sempre da Alessandro Baronio. L’elefante e la colomba: così scrivono i giornali il giorno successivo al loro matrimonio. Ma lei non ha dubbi: è la sua personale rivoluzione. È la sua ossessione: “Diego nelle mie urine; nella punta della matita; nell’immaginazione; nella malattia…”. Un legame che “stringe” fino alla lacrime: “io ho avuto tutto, malgrado me”. Torna a rifugiarsi nel canto ma la sua è ora una preghiera, un’invocazione disperata: “ma che diritto ho io di volerti diverso!”. La stanchezza la invade: non sente più la forza di attaccarsi alla vita come una sanguisuga. Si scioglie. In pioggia.

Uno spettacolo incantevole in un luogo incantevole: per non dimenticare Frida Kahlo. Per non dimenticare le donne.  


Lo spettacolo è fruibile anche sulla piattaforma a pagamento CHILI TV


I PROTAGONISTI

Rosanna Fedele

Una vita all’insegna dell’eclettismo. Disegnatrice, stilista, pittrice, cantante e attrice. Si dedica con successo al doppiaggio e alla recitazione. E’ protagonista di diversi cortometraggi e pubblicità e nel 2015 è protagonista del film “A Dark Rome” di A. R. Zabala che ottiene riconoscimenti e premi a livello internazionale (MFF di New York, Marbella International Film Festival per citarne alcuni). L’amore per la musica e il canto restano una costante sin dall’infanzia. Il trasporto, in gioventù, per i film “musicali” si tramuta in passione per il jazz. Nel 2010 si dedica alla realizzazione del suo primo album “What is it For?”, titolo del brano originale contenuto nel disco distribuito dalla Philology Records per la Revelation Series. Il desiderio di espressione personale si fa sempre più forte. “Sogni Diversi”, un album in uscita a dicembre 2015, in collaborazione con il Paolo Bernardi Quartet, è il risultato di questo percorso nel quale la cantautrice mette in musica i propri sentimenti, dove le sonorità jazz sono di sostegno alla complessità e alla bellezza della lingua italiana: un omaggio alle proprie radici, alla propria terra.

Il pianista Paolo Bernardi

Nato a Roma, ha compiuto studi musicali classici, diplomandosi in pianoforte presso il conservatorio “Respighi” di Latina; successivamente, ha affrontato lo studio della musica jazz sotto la guida di validi maestri, quali Cinzia Gizzi, Riccardo Biseo, Rita Marcotulli e della composizione con Luigi Verdi, Alfredo Santoloci e Javier Girotto. Si diploma in Musica Jazz e successivamente consegue la laurea di II livello in Jazz presso il Conservatorio “S. Cecilia” di Roma, sotto la guida del M. Paolo Damiani col massimo dei voti e la lode. Ha, all’attivo, numerose registrazioni pubblicate da DODICILUNE, PHILOLOGY, ISMA RECORDS,SINFONICA JAZZ–NUOVA CARISH,SIFARE,collana L’ESPRESSOREPUBBLICA con un progetto di Massimo Nunzi. Nel 2008 nasce il PAOLO BERNARDI QUARTET. Con tale formazione si esibisce in prestigiosi locali romani e in rassegne nazionali significative, ottenendo un consistente riscontro positivo di critica. Laureato, con lode, presso l’università “La Sapienza” di Roma in Lettere moderne con indirizzo musicale, è giornalista pubblicista freelance.

Lo scenografo Alessandro Baronio

Alessandro Baronio, artista romano, umanista, animalista, sognatore, emozionato, “viaggiatore di sogni deragliati”, Alessandro Baronio è stato scenografo teatrale e ha lavorato per Xfactor, per Elisa nel suo tour, per Marco Mengoni, Nina Zilli, Anna Oxa, Angela Finocchiaro solo per citarne alcuni. E’ designer, ceramista, fotografo, restauratore e si occupa, tra le altre cose, di laboratori didattici con materiali di recupero per ragazzi delle scuole. Attento alla forma, attento al valore artistico del progetto cerca di coniugare sempre qualità e sostenibilità.

Il regista Andrés Rafael Zabala

Andrés Rafael Zabala, nato in Argentina e cresciuto fra l’Austria e l’Italia, è laureato in Cinema e Tv e diplomato operatore di ripresa. Nella sua carriera ha curato la regia di spot pubblicitari, video aziendali, documentari,e reality show per Canale 5, RAI 2, Studio Universal, Tele+ e Sky. In qualità di filmmaker, ha all’attivo nove cortometraggi che si sono aggiudicati importanti riconoscimenti. Il suo primo lungometraggio indipendente “A Dark Rome”, oltre ad essere stato selezionato in dieci festival nazionali e internazionali, ha vinto il premio “Best Thriller on 2015” al Macabre Faire Film Festival di New York. Andrés Rafael Zabala svolge da alcuni anni, parallelamente alla sua attività di regista, l’attività di docente di Regia e Cinematografia. Nel 2020 è uscito il suo libro “Registi disobbedienti – La cinematografia di ieri e di oggi oltre le regole”. (Edizioni Efesto – 2020). Dopo la “La prima notte” scritta e diretta da lui stesso, “Siamo tutte Frida” è la sua seconda regia teatrale. L’ultimo lavoro cinematografico “Malleus” sarà presentato a Febbraio 2023 al Festival di Londra.

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La vita davanti a sé

20 ottobre 202220 ottobre 2022 Sonia RemoliLascia un commento

TEATRO QUIRINO, Dal 18 al 30 Ottobre 2022 –

A pochi minuti dall’inizio dello spettacolo, la voce di Silvio Orlando si diffonde in sala: si scusa di essere molto raffreddato e conclude, con il suo caratteristico mélange di emozioni: “ad ogni modo, il teatro è bello anche quando l’attore muore in scena !”. Aggiunge poi un’ironica analisi dello spettatore che durante la rappresentazione non riesce a staccarsi dal proprio smartphone: dice di comprendere questa subdola simbiosi e per venire incontro a tale “ineluttabilità”, ri-inizierà daccapo lo spettacolo ogni volta che vedrà illuminarsi uno schermo.

In verità, il suo, non è solo un sagace avviso al pubblico ma un vero e proprio “prologo” allo spettacolo. Ma questo lo si capisce solo dopo, alla fine. Quando la tenera narrazione affamata d’amore del sessantacinquenne Silvio Orlando, credibilissimo nella pelle di un bambino di dieci anni, ci suggerirà che non deve esistere imbarazzo verso nessuno stato di diversità o verso ogni sensazione di incompletezza. E che di fronte alle difficoltà, non bisogna arrendersi mai, mettendo in campo tutta la nostra creatività ma soprattutto sfoderando “la carne viva del cuore”.

Il sipario si apre su un quartiere della periferia parigina: tra lirici fili di lucine si erge il palazzo, dove al sesto piano Momò (il bambino protagonista) è accolto nell’asilo-parcheggio di Madame Rosa. Poetica la scelta scenografica di rendere il palazzo dell’audace quartiere multietnico di Belleville come una torre a sei blocchi, alludendo al più classico dei giochi per bambini (le scene sono di Roberto Crea). Una torre sgangherata che solo l’abbraccio incondizionato di Madame Rosa riesce a tenere in un qualche equilibrio. Nella “piazzetta” circostante suona un’orchestrina (l’Ensemble dell’orchestra Terra Mare diretta da Simone Campa): preziosa presenza elegiaca e squisito sostegno emozionale. Una situazione che sarebbe interessare ambientare anche in uno spazio esterno.

Un testo, quello del romanzo “La vie devant soi” di Romain Gary, che Silvio Orlando sceglie di adattare dopo esserci “inciampato” nel 2017 in occasione di una lettura e che poi non si è più tolto dalla pelle. Sarà perché il romanzo è una storia di relazioni, di affetti, di solidarietà, di reciproca cura fra persone sole ed emarginate ma dotate di grande umanità.

Sarà perché è una storia che ci parla dell’importanza degli altri, senza i quali è impossibile vivere: una storia che ci invita ad osservare con cuore aperto le persone che ci stanno intorno per andare incontro ai loro bisogni. Sarà perché Momò non sa nulla di sé, non conosce le proprie origini se non attraverso le reazioni degli altri e la fantomatica “vita davanti a sé” si rivela essere, per lui, più una minaccia che una promessa.

Sta di fatto che Silvio Orlando dichiara che sebbene il mondo si sia inaridito e nessuno sappia più cosa ci fa stare bene e qual è la maniera giusta per comunicare le nostre idee, questo testo ha contribuito a spingerlo ad essere e a sentirsi un essere umano migliore.

Complice il suo particolare mélange di ironia, autoironia e sincerità, la “connessione” con il pubblico è stata fortissima.

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La foto del carabiniere

23 luglio 2022 Sonia RemoliLascia un commento

MARCONI TEATRO FESTIVAL, 22 Luglio 2022 –

“I Padri sono Paesi”: così si apre l’appassionato e appassionante monologo, scritto ed interpretato da Claudio Boccaccini, tratto da una storia vera, di cui la sua famiglia fu protagonista. Un teatro di narrazione il suo, dove più che mai risulta fondamentale la relazione con lo spettatore, che avviene in una comunione percettiva, diretta, viscerale. Dove sono la voce, il corpo, i gesti e i pensieri dell’attore Boccaccini ad essere i fecondi elementi scenografici del testo.

Nell’affermare che i “Padri sono Paesi”, si allude al fatto che i Padri sono la nostra “lingua”, la nostra identità. E qui, nello specifico, la “lingua” che Tarquinio Boccaccini trasmette a suo figlio Claudio è un alfabeto di gesti (“che valgono più delle parole”), dove la sacralità dell’amicizia ne costituisce il fondamento “grammaticale”.

Come quella di Salvo D’Acquisto: un’amicizia che sa sublimarsi fino alla scelta di offrire in dono la propria vita per salvare quella dei suoi ventidue amici. Un dono che non conosce l’amarezza della rinuncia, né la sottomissione del sacrificio ma quasi l’effervescenza di un inno alla vita, che sa andare oltre la legge di natura e oltre il mero senso del dovere. Un “rubare”, quasi, la propria morte per moltiplicare la propria vita attraverso quella di altre 22 persone.

Perché, come diceva Gilles Deleuze, “etica è essere all’altezza di ciò che ci accade”. E un modo per esprimerla, ieri come oggi, è ripensare fuori da ogni retorica il tema della “fratellanza”. Nessuno di noi può vivere senza “l’ossigeno” dell’altro e Salvo D’Acquisto intuisce, vedendo i suoi amici scavarsi ciascuno la propria fossa, che quello era il momento in cui (poter) rispondere al grido inerme dei suoi “fratelli”. E nel momento in cui dice “eccomi” accorda la sua libertà al suo senso di responsabilità.

Claudio Boccaccini nello scrivere il testo di questo monologo dimostra di saper stendere un affresco esistenziale (e non solo di un epoca, come potrebbe sembrare ad un primo sguardo), dove l’epica del quotidiano si mescola a quella dell’eccezionalità. Lui ne è anche il carismatico interprete, nonché regista di grande suggestione.

Oltre a quello dell’amicizia, altro tema affrontato dal testo e reso da un’ardente narrazione, è quello della forza dirompente della giovinezza, intesa non tanto come una fase della vita ma come la definizione della vita stessa. Una vita che dà corpo a “giuste eresie”, a giusti modi di dire no: passaggi esistenziali, riti di iniziazione, attraversamenti della “linea d’ombra” . Mi riferisco non solo al gesto del ventitreenne vice-brigadiere ma anche al “no” disegnato da Tarquinio sui mezzi agricoli del padre pronti per la parata e poi alla folle corsa in lambretta del ragazzo che, pur di essere prima possibile vicino alla madre in difficoltà, finisce per investire l’auto nuova della famiglia Boccaccini .

Nella narrazione passa tutta la forza spasmodica di questa fertile energia giovanile. E il risultato è che il pubblico ne resta calamitato. Al tema del tumulto della giovinezza, e quindi di una stagione dell’essere figli, l’autore Boccaccini lega il tema del valore di essere padri. Il padre “è la legge delle leggi”, colui che introduce il senso del limite: non tutto è possibile. Ma è solo se il padre introduce questa legge, che nel figlio può originarsi il tumulto della giovinezza. Questo modo sano di essere padre, oggi un po’ evaporato, permette a Salvo, a Tarquinio e al ragazzo della lambretta di superare ciascuno il proprio limite esplorando qualcosa di nuovo. Con responsabilità. Abitati dalla duplice tensione, tutta umana, di cercare appartenenza ma anche erranza. Salvo sa qual è il prezzo del voler donare la propria vita e decide che vale la pena di pagarlo; Tarquinio prende atto dell’ira del padre che lo allontana ma ciò non blocca la sua crescita personale, né quella professionale e anche il ragazzo della lambretta, dopo la folle corsa, scoprirà l’importanza di saper tollerare un’attesa.

Lo spettacolo, di una stupefacente potenza sociale e politica, affronta seppur implicitamente anche il tema della guerra. E ci mostra, con leggerezza calviniana, come ogni guerra nasca dal rifiuto di accettare l’idea di inevitabili perdite. Qui, nello specifico, è la morte accidentale di due tedeschi a far scattare l’allucinazione della possibilità di avere tutto; si spiega così la delirante idea di rastrellare e uccidere 22 innocenti italiani.

Per questo risulta importante capire, e lo spettacolo in questo è estremamente prezioso, “che le istituzioni sono commoventi: e gli uomini in altro che in esse non sanno riconoscersi. Sono esse che li rendono umilmente fratelli” (P. P. Pasolini).

Con questo spettacolo Claudio Boccaccini consegna al pubblico occasioni di trasformazione sociale e politica invitandolo, al di là dell’intrattenimento, verso una maggiore comprensione. Perché fare teatro e andare a teatro significa abbattere le nostre frontiere, trascendere i nostri limiti e quindi realizzare noi stessi.

E se è vero che per gli esseri umani così come per gli dei l’unica morte possibile è quella dell’oblio, allora è necessario continuare a ricordare.

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Questa è casa mia

8 aprile 20228 aprile 2022 Sonia RemoliLascia un commento

TEATRO VITTORIA, Dal 5 al 13 Aprile 2022 –

Un ragazzo, una sedia, una storia: non serve altro al talentuoso Alessandro Blasioli. E poi molto fumo: quello che continua ad avvolgere la storia della ricostruzione della città dell’Aquila, a tredici anni dal terremoto. E moltissime ombre: loro, forse, le vere protagoniste dello spettacolo, ben rese dal disegno di Marco Andreoli.

Ombre di cui si veste il fantasmagorico interprete Alessandro Blasioli: è lui ad interpretare tutti i personaggi della storia. Lasciandoci letteralmente di stucco. Questo giovane trentenne usa il proprio corpo e la propria voce con una versatilità tale da riuscire a portarci ovunque lui voglia. “Ci crediamo” sia quando sceglie di fare il ragazzino, che quando fa il novantaquattrenne, fino a quando entra nell’essenza della segretaria della hall dell’Hotel “Provence”. Quest’ultima sembra gestire l’ospitalità dei terremotati com’era prassi nella “famosa casa di cura” di Dino Buzzati.

E per tutto lo spettacolo Blasioli tiene un ritmo serratissimo e insieme pieno di insospettate variazioni, da non lasciarti distrarre nemmeno per un attimo. E poi le parole: lui le pronuncia così plasticamente che immediatamente ti fa vedere l’immagine, o l’atmosfera di una determinata situazione. E allora basta la complicità di una luce di taglio e del garrito fuori campo dei gabbiani, per far entrare anche noi del pubblico nella scena della finestra aperta sulla spiaggia. Oppure per seguirlo nelle sue esplorazioni notturne, nel buio totale degli edifici terremotati, illuminato sinistramente solo da una torcia sotto al viso.

Di Alessandro Blasioli tutto recita, in una continua metamorfosi dall’elegante al grottesco, dal canto al ballo. Un brillante esempio di Teatro Civile e di Narrazione, proposto da un giovane eclettico, capace di fare fuochi d’artificio sulla scena.

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