Einstein, il grande racconto dell’astronomia

TEATRO VITTORIA, dal 28 Marzo al 2 Aprile 2023 –

“Perché portare Einstein a teatro?”

Questa la domanda che Piergiorgio Odifreddi, matematico, logico e saggista, immagina che il nostro desiderio di sapere ci abbia suscitato.”La stella” di cui percepiamo la mancanza (la parola desiderio, infatti, questo significa) e che ci predispone ad ascoltare un “racconto”. Il suo: il grande racconto dell’astronomia, questa scienza così densa di stupore intelligente. Sì, perché il sentimento di meraviglia e l’analisi calcolata non sono in contraddizione. Anzi, le più importanti esclamazioni sono preparate proprio dalle più profonde interrogazioni.

Ecco allora che Odifreddi, da buon narratore, anziché esaudire subito il nostro desiderio in qualche modo continua ad accrescerlo. Con un pizzico di sana impertinenza, insiste e ci solletica dicendoci che in effetti “Einstein non è un personaggio inventato ( come generalmente sono quelli che accoglie il teatro) ma è più di un personaggio di fantasia” .

Ora, se è pur vero che nulla, forse, si realizzerebbe senza la fantasia, che cosa si intende davvero per “fantasia” ? Potremmo dire che non è una forma di intelligenza, né un sentimento ma quel “quid” che permette di collegare elementi apparentemente lontani, aprendo la mente a una visione alternativa di ciò che potrebbe accadere.

Joan Mirò – Fantasia –

In questo senso, l’arte, la tecnologia, la scienza e persino la società civile devono molto alla fantasia, all’immaginazione, alla creatività, all’inventiva. E in effetti Einstein è stato l’uomo che più di altri ha cambiato la nostra percezione del mondo. Questa, allora, è la chiave di lettura della mappa da utilizzare per “viaggiare nel tempo” insieme a Odifreddi.

La sua narrazione partirà da Copernico (1473 – 1543) per arrivare fino ad Einstein (1879 – 1955) prestando attenzione, però, non solo a come questi uomini hanno cambiato la visione del mondo grazie alla loro “fantasia” ma anche grazie ai loro “errori”.

Gli errori sono infatti quel “di più” di cui Odifreddi ci aveva parlato: “Einstein non è un personaggio inventato ma è più di un personaggio di fantasia”. Gli errori, sì, così fertili: soprattutto per chi viene dopo. Questo si verificò con la teoria eliocentrica di Copernico, che passò attraverso la riflessione di Giordano Bruno e poi attraverso quella di Galileo Galilei. Fino a Newton, le cui formule matematiche, una vera e propria novità del periodo, passarono osmoticamente i confini delle scienze per trovare accoglienza anche tra i confini della letteratura. Voltaire, Emilie du Châtelet, Diderot e lo stesso Tolstoj presero a utilizzarle nei loro testi letterari. Anche Einstein partirà da Newton per andare “oltre”.

Sarà anche per questo che Odifreddi conclude la sua narrazione affermando che “gli scienziati sono gli uomini più religiosi”, coloro cioè che approntano delle scelte, prestando molta attenzione ai fatti.

Piergiorgio Odifreddi

Un teatro di narrazione quello di Piergiorgio Odifreddi che mira a mostrare la pervasività della scienza in generale, e della matematica in particolare, nella cultura umanistica: soprattutto nella letteratura, nella musica e nella pittura, ma anche nella filosofia e nella teologia.

Sergio Maifredi

L’attenta regia di Sergio Maifredi fa sì che il testo guidi una narrazione agile; ed effettivamente il racconto si dispiega in maniera molto leggera. Solo apparentemente compassata, la narrazione risulta in realtà disseminata di guizzi ironici e garbatamente impertinenti, funzionali a mantenere desta l’attenzione per oltre due ore.

E quindi se è vero che ciò che caratterizza il “teatro” è il desiderio di guardare, di osservare, allora Einstein, e i vari personaggi della matematica, a buon diritto possono essere accolti in teatro. Uomini desiderosi, tutti, di avere shakesperianamente una musa di fuoco che li levi al più fulvido cielo dell’immaginazione.

Mirrors

TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO, 24 Febbraio 2023 –

Chiedere a qualcuno di definirsi non è mai facile. A meno che non ci si accontenti di nascondersi dietro a delle “etichette”. Se si è adolescente, poi, la confusione è normale che regni sovrana. La verità più difficile da accettare è che possiamo raccontarci solo attraverso gli altri.

Una scena dello spettacolo “Mirrors” di Emilia Martinelli

I due adolescenti in scena, Alex e Alix, non lo sanno ancora ma lo hanno comunque intuito. Alix, infatti, il cui vero nome è Alice, ha sentito il bisogno di ri-nominarsi perché le andava troppo stretto “ereditare” un nome carico solo delle aspettative dei suoi genitori (che adoravano “Alice nel Paese delle Meraviglie” e fantasticavano una figlia che le somigliasse).

Jessica Bertagni (Alix) in una scena dello spettacolo “Mirrors” di Emilia Martinelli

In verità, il nome che abbiamo e che sembra essere così identificativo (non a caso lo chiamiamo nome “proprio”) identifica i desideri che gli altri (i nostri genitori) hanno avuto su di noi, nell’attenderci. Alix non lo sa ma sente l’esigenza di tramutare il nome ricevuto, in un nome “più vago, meno definito” – dice lei – nel quale potersi muovere con un po’ più di respiro.

Michele Breda (Alex) e Jessica Bertagni (Alix) in una scena dello spettacolo “Mirrors”

E in effetti (solo) questo è in nostro potere: fare qualcosa di personale di quello che gli altri ci hanno dato (il nome, la vita). Alex, uomo e quindi dalla mentalità più lineare, pensa di potersi raccontare parlando di ciò che gli piace e di quello che non gli piace. Gli piace la musica, soprattutto, perche copre o riempie (almeno per un po’) quel rumore bianco che lui associa al silenzio e che tanto lo inquieta. Ma soprattutto gli piace mangiare. Insomma entrambi, con percorsi diversi, hanno intuito che quel qualcosa che ci “definisce”, quel “quid” che ci permette di raccontarci in maniera autentica, fa capo ai nostri desideri.

Michele Breda (Alex) e Jessica Bertagni (Alix) in una scena dello spettacolo “Mirrors” di Emilia Martinelli

Ciò che facciamo in nome del nostro desiderio ci rappresenta. Ma ciò che ci fa esistere davvero è essere l’oggetto del desiderio degli altri. Chi non ci considera, ci rende invisibili. E i ragazzi lo sentono moltissimo. I due attori della Compagnia “Fuori Contesto” Jessica Bertagni (Alix) e Michele Breda (Alex) brillano in autentica naturalezza nel rimandarci desideri, incertezze e timori propri dell’adolescenza. Facendo luce sul diverso modo di reagire insito nella natura femminile e in quella maschile, sanno raccontarci di quel “senso di vuoto” così difficile da colmare.

Michele Breda (Alex) e Jessica Bertagni (Alix) in una scena dello spettacolo “Mirrors” di Emilia Martinelli

Finendo poi, insospettatamente, ad intuire che in realtà è preferibile non colmare completamente quell’ impellente “senso di vuoto”, perché è proprio da lì che si origina il piacere solleticante della curiosità, della ricerca. Questo dichiara quella “tavolozza di colori emotivi” di Alix: lei che, alla richiesta del compito in classe di argomentare il titolo “chi sono?”, curiosando proprio nel suo vuoto, sceglie di parlare della ricerca della propria identità collegandosi al passaggio che avviene tra “Alice nel Paese delle Meraviglie” a “Alice attraverso lo specchio”.

Michele Breda (Alex) e Jessica Bertagni (Alix) in una scena dello spettacolo “Mirrors” di Emilia Martinelli

Ed è interessantissimo scoprire come la mentalità lineare maschile porta invece Alex a rispondere al titolo dello stesso tema attraverso “una fotocopia” della propria carta d’identità. Lui preferisce raccontarsi con ciò che risulta misurabile; lei invece attraverso l’incommensurabile. Comune, invece, è il bisogno di musica: di un linguaggio più immediato, col quale legarsi quasi in simbiosi.

Emilia Martinelli, la regista dello spettacolo “Mirrors”

Di questo spettacolo profondo e insieme godibilissimo non può non apprezzarsi la scrittura e la regia di Emilia Martinelli, capace di proporre un affresco accurato di una stagione della vita che non è anagraficamente confinabile. Per rimanere vivi: continuando a “capovolgere i nostri pensieri” . Al termine dello spettacolo non sorprende scoprire il fatto che questo progetto sia risultato vincitore al bando “In Viva Voce” promosso da ATCL. Uno spettacolo realizzato partendo da una ricerca sul campo, che ha coinvolto circa 300 adolescenti delle scuole e dei laboratori di teatro, condotti a Roma, dalla regista della compagnia.

Il Teatro della Biblioteca Quarticciolo

Il Teatro Biblioteca Quarticciolo traboccava di presenze e di energie vivissime e diversissime tra loro ma tutte accomunate dall’esigenza di rimanere incollate alla narrazione sulla scena. Nessun telefonino è riuscito a rovinare questo incanto. 

Lo spettacolo replicherà:

– il 28 febbraio con un matinée al Teatro Comunale R. Falk di Tarquinia

– a Marzo nelle scuole della Regione Lazio.


Movimento scenico Chiara Casciani ed Emilia Martinelli

I ragazzi e le ragazze nei video: Viola Bufacchi, Elsa Ceddia, Lukman Cortoni, Alessio Falciatori, Anna Profico, Daniele Prosperococco.

Assistente alla regia Carlotta Solidea Aronica

Scenografie digitali e grafic design Luigi Vetrani

Video ragazzi e ragazze, stage mapping e mixer video live Stefano Fiori

Disegno luci David Barittoni

Realizzazione oggetti di scena Vasco Araldi

Produzione: Compagnia Fuori Contesto, Hubstract Made for Art

Con il contributo della Regione Lazio


Tommy

TEATROSOPHIA, dal 20 al 22 Gennaio 2023 –

Quanto bisogno abbiamo di uno spazio tutto nostro, solo nostro, da tutelare e che ci tuteli, per poterci sottrarre alla luce accecante degli occhi degli altri? E a quella, ancora più insopportabile, dei nostri occhi ? Quando non basta più far calare il sipario delle palpebre per non vedere. E per non farsi vedere. Quando il voltare la testa dall’altra parte o il cambiare discorso da parte degli altri ci rinnega. Un luogo non solo fisico ma anche mentale, dove andare a ritrovare noi stessi. E gli altri: così come li vorremmo. Un luogo che ci accolga: che come una madre ci faccia riscoprire la voglia di vivere e che come un padre ci inizi all’arte del desiderio di desiderare. Attraverso sane regole. Sani divieti.

Giuseppe Manfridi, autore del testo “Tommy”

Questo testo frammentato e frammentante fino al parossismo, uscito dalla già acuta penna di un giovanissimo Giuseppe Manfridi appena ventenne (ora uno dei massimi drammaturghi italiani e autore di commedie rappresentate in tutto il mondo) e interpretato da un altro ventenne, il talentuoso Giuseppe Arezzi, con trasporto fremente e abbandonato, allucinato e lucido, ci agguanta.

Giuseppe Arezzi (Tommy) in una scena dello spettacolo “Tommy” di Giuseppe Manfridi

E lo fa così tanto, da farci riuscire a tollerare il suo dilaniante stare “dentro”, con un “fuori” che continua a bussare. Complice la natura della spazio scenico del Teatrosophia: un ambiente “uterino”, in simbiosi con questo singolare taglio che il regista Vittorio Bonaccorso ha scelto di dare al testo originale. Dove tutto è a soqquadro: da quel che resta del mobilio, fino ai micro elettrodomestici.

Giuseppe Arezzi, il protagonista del monologo “Tommy” di Giuseppe Manfridi

Uno scompiglio quello del soqquadro causato, come anche la natura della parola ci suggerisce, dal togliere un elemento di sostegno che tiene a squadra un argine. Evento ambientale che trova già un primo significativo sintomo nello “starnuto”, per di più continuo fino a divenire compulsivo, di Tommy. Non si direbbe ma è uno dei momenti della vita in cui siamo più vicini alla morte, quello dello starnuto. La pressione interna dei polmoni aumenta enormemente, prima della “deflagrazione”. Per un attimo le vie aeree si ostruiscono e il battito cardiaco subisce un’impennata. Ma se compulsivo, lo starnuto è anche una disfunzione dell’attività mentale, manifestata da pensieri la cui ansia può essere eliminata solo eseguendo azioni ossessivo-compulsive. Lo starnuto ne è un esempio.

Un po’ come Cosimo ne “Il barone rampante” di Italo Calvino, Tommy sente l’urgenza di trovare asilo altrove: non in alto tra querce, ontani e lecci ma in basso, in uno sgabuzzino. Buio. Inizialmente risulta sufficiente evadere per mezz’ora ma poi l’esigenza diventa più pressante fino a portarlo a scegliere di rimanere lì costantemente. Perché lì, dice, riesce a non starnutire. Ma davvero?

Vittorio Bonaccorso (il regista), Giuseppe Arezzi (l’interprete) e Giuseppe Manfridi (l’autore)

Agnello di Dio

TEATRO PARIOLI, dall’11 al 15 Gennaio 2023 –

Uno spettacolo sulla vocazione a desiderare.

Sul prurito provocato da certi dubbi riguardo il “chi siamo” e  sul che “cosa desideriamo” davvero. Fuori da ogni condizionamento esterno. A cosa siamo “chiamati?”. Qual è il nostro talento? Perché tutti ne abbiamo uno: è una certezza. 

Fausto Cabra (il padre) e Alessandro Bandini (il figlio) in una scena dello spettacolo “Agnello di Dio”

La vocazione ad “osservare”, ad esempio, è il talento di Daniele Mencarelli, autore di questa sua prima drammaturgia ma già da tempo scrittore di successo e vincitore, tra gli altri,  anche del Premio Strega Giovani 2020. Proprio questa vocazione lo porta a calare nella realtà quotidiana interrogativi chiave sul nostro modo di stare al mondo. In questo testo, fluidamente denso, l’autore ci porta a mettere a fuoco tematiche che, per natura, siamo portati a preferire tacere. 

Daniele Mencarelli, autore del testo dello spettacolo “Agnello di Dio” di Piero Maccarinelli

Che cosa si nasconde dietro il desiderio di un ragazzo di diciotto anni di voler mettere al rogo tutto ciò che gli è stato insegnato, così da sentirsi finalmente libero?  Ma libero da cosa?  Sia il padre, convocato con il figlio in Presidenza, sia la Rappresentante scolastica, sollecitano domande alle cui risposte poi reagiscono con disincanto. Piuttosto minimizzano. Non riescono ad entrare in empatia con il disagio del ragazzo. Come mai? Forse perché, più coinvolti di quanto lascino trasparire, gli interrogativi sollevati dal ragazzo hanno pungolato anche i loro 18 anni scegliendo però di non ascoltarli? E ora, forse, proprio questo evento porta a riaprire una ferita che ci si illudeva di aver dimenticato.

Viola Graziosi (la Preside) e Alessandro Bandini (il figlio) in una scena dello spettacolo “Agnello di Dio”

La raffinata regia di Piero Maccarinelli sa valorizzare ciò che nel testo chiede luce, rispettandone le ombre. All’ingresso del pubblico, il sipario è già aperto e la scena ci si offre al buio, in tutta la sua ambiguità, bagnata solamente dalle luci di sala. Poi le posizioni s’invertono: ora noi del pubblico accettiamo di lasciarci avvolgere dalle nostre ombre così da permettere l’arrivo della luce su ciò che si lascerà svelare sulla scena. Anche le note del magnificamente scarno “Miserere” composto dal celebre Maestro Antonio di Pofi ci invitano  a partecipare, a comprendere e a perdonare.

Piero Maccarinelli: il regista dello spettacolo “Agnello di Dio”

In un ufficio particolarmente elegante e stiloso, la Preside di una prestigiosa scuola cattolica paritaria (una Viola Graziosi che sa come lasciar trapelare le contraddizioni del suo personaggio lasciando che a parlare le diverse lingue siano le mani, la voce e lo sguardo) convoca un padre yuppie ( lo interpreta in tutte le sue sfaccettature il talentuoso Fausto Cabra) accompagnato dal figlio diciottenne, allievo della scuola (un intenso Alessandro Bandini). Le tensioni dell’ incontro saranno continuamente sospese dall’entrata in campo di Suor Cristiana (una deliziosamente musicale Ola Cavagna).

Viola Graziosi (la Preside) con Ola Cavagna (Suor Cristiana) in una scena dello spettacolo “Agnello di Dio”

Lo spettacolo si chiude circolarmente con le note del “Miserere” del Maestro Antonio di Pofi, suggellando una chiusura spiazzante. Un’autentica prova di “maturità”.