se domani (o doman l’altro) al Teatro Argentina sarà venuto !!!
È un meraviglioso Elogio dell’Immaginazione lo spettacolo del fantasmagorico Roberto Gandini, regista nonché presentatore di questa strabiliante performance. Per accendere le fiamme della fantasia, quasi come un re, un Enrico V shakespeariano, attraverso un fulgido prologo, invita i bambini a sciogliere le briglie della fantasia.
Roberto Gandini, il regista di “Storie di Natale”
Con la sua particolare maniera, sa solleticarli e insieme incantarli. Effetto non diverso sortisce sugli adulti, numerosissimi nella Sala Squarzina, che gareggiano con e forse più dei bambini per intervenire.
Fabio Piperno e Francesca Astrei in una scena di “Storie di Natale”
Una volta liberata e dato sfogo alla fantasia, Roberto Gandini lascia la platea nelle mani creative dei suoi fidi attori: alcuni sono volti ormai noti del Laboratorio Piero Gabrielli come Fabio Piperno e Danilo Turnaturi; altri sono professionisti come Francesca Astrei, Maria Teresa Campus e Gabriele Ortenzi.
Gabriele Ortenzi, Maria Teresa Campus e Francesca Astrei in una scena di “Storie di Natale”
E dopo aver allenato la capacità a creare ponti (tipica della fantasia) con “prefissi fantastici” e invenzioni varie alla Gianni Rodani, si è ora pronti e predisposti all’ascolto di racconti e di storie con più finali. Senza dimenticare la magia delle canzoni, accompagnate dal vivo dalle tastiere di Flavio Cangialosi.
Francesca Astrei con Danilo Turnaturi in una scena di “Storie di Natale”
Perché il fuoco che alimenta l’ascolto sa mettere pace, quando ” i perché ” degli altri vengono ascoltati e rispettati. Solo così “sul cipresso possono posarsi fiori di pesco” . E a teatro questo si fa: si festeggia capodanno tutto l’anno, perché con la fantasia si crea magia. Tanto che per poter fare il re, “basta saper fare yeah! “.
Il regista Roberto Gandini e l’Albero di Natale di Paolo Ferrari, realizzato con 2500 bottiglie riciclate
Tutto nasce dal caos. Tutto è un continuo flusso in divenire. Come quello del mare che “fino ai piedi vieni con un sommesso fragorío a stendermi le spume, mansueto. Come un mercante di merletti… Bravo! Uno ne stendi, e tosto lo ritrai, ed ecco un altro, e un altro ancora… Scempio fai cosí della tua grandezza, ignavo?” (Guardando il mare, dalla raccolta “Fuori di chiave”, 1905 ). Così prende avvio il multiforme spettacolo scritto (assieme a Roberto Scarpetti), pensato e diretto dall’estroso Roberto Gandini per la Piccola Compagnia del Laboratorio Integrato Piero Gabrielli, in scena al Teatro India fino al 22 ottobre p.v.
Immensi teli bianchi cangiano nel blu oltremare, accolgono il vento gonfiandosi e poi sinuosamente ondeggiano. Portano a riva il rumoreggiare di voci di misteriose creature: “Dove siamo? Che facciamo? Che imbarazzo! Quando arriva?” . L’onda s’infrange, si ritira; ed ecco scendere dal fondo della platea queste creature gettate sulla sabbia dalla furia del mare della vita. Ad accoglierle sul palco, modellato dalle onde in “terrazzamenti”, Pirandello e Fantasia. Sono quattro creature immerse ancora nel caos, anche fuori dall’acqua: litigano per prendere parte all’apertura dell’udienza domenicale, che Pirandello è solito concedere ai suoi “speciosissimi” personaggi nel suo studio.
Invadono così la scena, costituita da “terrazzamenti” praticabili che ospitano un palcoscenico multiplo, dove convivono più scene contemporaneamente. Un teatro che parla agli occhi e non solo alle orecchie (le scene sono del noto “ricercatore di combinazioni” Paolo Ferrari). Un teatro che permette il trasformarsi del mondo sul palcoscenico. E fuori da esso: Gandini, seguendo Pirandello, interpreta ‘visivamente’ sulla scena ciò che i testi letterari suscitano. E poi abolisce il concetto di quarta parete, coinvolgendo attivamente il pubblico alla vita agita dagli attori sulla scena, in una critica dinamica “a specchio”. E’ quello che si richiede alla neo-nata figura del “regista”.
L’austera ed efficace eleganza dei costumi è di Tiziano Juno, che sottolinea con le sue scelte anche l’elogio del tailleur da donna, che vede il suo nascere e diffondersi proprio in quegli anni. Gli attori danno prova che è possibile brillare di luce propria per fondersi in un “unicum” sinfonico di gesti, di parole e di intenso ascolto.
Roberto Baldassarri
Roberto Baldassarri è un Luigi Pirandello (molto attento anche alle posture dell’uomo Pirandello) che con elegante accoglienza include costruttivamente il pubblico nella rievocazione della vita sulla scena, andando oltre le emicranie provocategli da quell’eccesso di vitalità dei personaggi non ancora colti nella loro unicità e non ancora coordinati “registicamente”. È un Pirandello quello di Gandini che non esclude momenti di fragilità, come quando il proprio vissuto rischia di specchiarsi in quello della Figliastra dei Sei Personaggi in cerca d’autore.
Fabio Piperno
Fragilità brillantemente superata grazie al contributo del suo sagace “aiuto regista”, Fantasia, abitato dal cruccio di non potersi scegliere il proprio nome: destino che accomuna tutti i personaggi ma anche tutti gli esseri umani. Fabio Piperno si rivela dando prova di elegante duttilità anche come “alter ego” dell’autore Pirandello. Tra le due “maschere”, potente è l’ascolto.
Stesso cruccio sul nome ha il Dottor Fileno de La tragedia di un personaggio, il più ambizioso dei personaggi presenti all’udienza, insoddisfatto dell’ascolto ricevuto dal precedente autore che non ne ha saputo valorizzare la grandezza. L’ambizione del personaggio è poeticamente superata dalla splendida meraviglia che trabocca dallo sguardo dell’interprete (Edoardo Maria Lombardo) e dalla particolare metrica, incalzata da efficacissime micro pause.
Edoardo Maria Lombardo
Vitali pause, o meglio sarebbe dire “vitali evasioni uditive”, ha inaspettatamente scoperto di vivere il Ragionier Belluca de Il treno ha fischiato, impossibilitato a gestire diversamente l’opprimente e dolorosa esistenza quotidiana. Tanto alienante nella quotidianità quanto creativamente liberatoria all’udir l’allucinazione del fischio del treno. Dell’interprete (Danilo Turnaturi )non si può non apprezzare l’ottima espressività corporea, fatta di piccolissimi ma efficacissimi dettagli.
Danilo Turnaturi
Incontenibile e quindi non facilmente arginabile è anche il desiderio vitale, fatto di sospiri e spasmi, della Sig.ra Perella de L’uomo, la bestia e la virtù (reso con efficacia “acrobatica” da Francesca Astrei) che, laddove non riesce a trovare un contenimento nei gesti, al minimo solletico emotivo, sbuca fuori con veemenza in un potentissimo gorgoglio vocale, quasi un grammelot, dove la parola corre “molto molto” più velocemente del pensiero. Interessante registicamente anche la sua prossemica.
Francesca Astrei
Simile difficoltà trova Pirandello nel concedere uno “spazio di rispetto” alla storia, dai risvolti incestuosi, della Figliastra dei Sei personaggi in cerca d’autore, qui interpretata da Antonietta Bello, la cui inespressa voglia di tenerezza viene, in un’interessante analisi del personaggio, celata con notevolissimo fascino, in un’alterigia felina. Sempre suggerita. Mai sfacciata.
Antonietta Bello
Ma proprio quando il caos iniziale sembra prendere una forma, un qualche ordine, è lo stesso Pirandello a seminare dubbi. Anche tra il pubblico. E così, come si fa con i mandala, arriva il momento di dare spazio al nuovo, al mutevole ed incessante fluire.
I personaggi, come surfisti attendono l’onda in arrivo, per un attimo la cavalcano e poi si fondono ad essa. I teli blu oltremare tornano a gonfiarsi e ad inglobare tutto ciò che incontrano. È la straziante bellezza del mistero della vita.
Il regista Roberto Gandini e il suo gruppo di lavoro al completo
Cosa ci permette di recuperare “restare sospesi”, faccia a faccia solo con noi stessi?
Il regista Roberto Gandini, in un interessantissimo esperimento di semiotica, sceglie di amplificare l’esperienza “di allontanamento” appena vissuta dai ragazzi a causa dell’emergenza sanitaria, immaginando di far vivere loro, subito dopo, non appena rientrati in presenza nelle aule, un’esperienza prossemicamente opposta: “di forzato avvicinamento”, causa una successiva emergenza climatica. Perché il Teatro, come Gandini ha tenuto a esplicitare nella breve presentazione allo spettacolo, costituisce il miglior farmaco ai mali della vita. Ma “farmaco” etimologicamente significa sia medicina che veleno. E allora sarà il regista stesso, nelle vesti di “medico”, sulla scia di quanto asseriva Paracelso («Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto») a stabilire la dose più opportuna da somministrare ai pazienti (attori e spettatori).
Effetti sonori e luminosi fanno entrare in scena la tempesta climatica (ed emotiva) che si sta per abbattere sui ragazzi di una scuola. Sono reduci da un’esperienza di traumatica lontananza ma anche ora che si è tornati “in presenza”, prossimi l’uno all’altro, rassicuranti referenti della loro vita continuano ad essere i cellulari. E continuano ad esserlo anche nello shock iniziale dell’annunciato sequestro sanitario. Almeno fino a quando la tempesta garantisce ancora “campo”. Ma “il segnale” ad un certo punto salta. E come nel blackout dei blackout, i ragazzi restano totalmente al buio, disorientati. Privi di coordinate “di rete”. Neanche la flebile luce dello schermo del cellulare rischiara i loro volti. E restano per la prima volta davvero sospesi nel vuoto buio dell’attesa. Soli con se stessi, a contatto con altri nelle stesse condizioni. Prossemici nel panico, insieme ad atteggiamenti deliranti iniziano a farsi strada strategie di sopravvivenza: dapprima egoisticamente individuali ma poi anche collettive.
Annullate le consuete coordinate temporali, le lavagne, da strumenti d’insegnamento, diventano, grazie ad un’acuta intuizione scenografica, “quadri temporali” nei quali “lasciare il segno”, ora, dello scorrere dei giorni, delle settimane. E laddove tutto stagna e l’orizzonte perde (apparentemente) profondità, scenograficamente cala un fondale stracciato, a brandelli, unica e immensa “rete” di ragnatele. I giorni non si distinguono dalle notti in questo limbo ma proprio l’assenza di distrazioni permette ai ragazzi di sentire “rumori” : il rumore dei loro pensieri. Finalmente, in questa drammatica situazione, hanno la possibilità di sperimentare “la connessione” con loro stessi. E allora i rumori diventano preziose emozioni a cui si riesce a dare un volto: nausea, ansia, rabbia, fame di attenzioni, fame di segni. Fame d’amore.
Il nutrimento alimentare, di scarsa qualità e anaffettivo, cade dall’alto e diventa causa di egoismi, soprusi e violenze. Ci si scopre in tutte le proprie ombre umane. Ma occorre il vuoto per poter riscoprire il pieno. E così riaffiora sempre più prepotentemente la voglia di famiglia, sì proprio quella che prima era solo “un accollo”. E poi la voglia di “condividere”, attraverso la parola e il contatto, segreti, bisogni ed esigenze. Anche privatissime. Capaci di superare la vergogna, scopertisi ora umanamente uguali. Eppure così seducentemente diversi. Ma soprattutto ricchi in immaginazione: la musa di fuoco capace di colmare ed esaltare la limitatezza della realtà.
I 35 ragazzi, che per la durata di gran parte delle prove sono stati preparati in piccoli gruppi, in conformità alle indicazioni previste dalle regole sanitarie e che solo poco prima dello spettacolo hanno provato tutti insieme, hanno dimostrato affiatamento e complicità sincronici, brillando nelle coreografie musicali.
Lo spettacolo gode della precisione di un orologio e risulta godibilissimo. Interminabili gli applausi con la platea insorta in piedi a reclamare un bis.