Bambola – La strada di Nicola

TEATRO LO SPAZIO, dal 30 Marzo al 2 Aprile 2023 –

La nostra identità è davvero espressa dal nostro nome proprio ? E come potrebbe ? Il nostro nome è scelto da altri, i nostri genitori, che inevitabilmente finiscono per caricarlo di tutte le loro aspettative. E’ un po’ come se già prima di nascere “venissimo scritti” da altri . Ma a noi resta ancora la libertà di scrivere qualcosa di “davvero nostro” .

Paolo Vanacore, autore del testo dello spettacolo “Bambola, la strada di Nicola”

Questo ci ricorda il testo pieno di bellezza “Bambola, la strada di Nicola” scritto da Paolo Vanacore, interpretato con estroso ardore da un poliedrico Gianni De Feo e musicato dal Maestro Alessandro Panatteri.

Il Maestro Alessandro Panatteri

Nicola è il nome di ripiego di Nicoletta (Strambelli, in arte Patti Pravo) la dea adorata dalla madre di Nicola: quel tipo di donna che la mamma non era riuscita ad essere. Ma ora poteva riuscirci sua figlia: si sarebbe chiamata come lei, Nicoletta, e avrebbe ereditato la sua stessa personalità: libera, vera, autentica. La signora non lascia minimamente spazio, tra le sue aspettative, alla possibilità di poter dare alla luce un figlio. Quando accade se ne dispera. E non smette di farlo, silenziosamente, per tutta la vita.

La cantante Patty Pravo

Tra frustrazione e inevitabile assecondamento, Nicola cresce. Ma già da bambino inizia a sentire “di essere chiamato” per lasciarsi andare in un’altra direzione. Il primo segnale lo sperimenta nei momenti in cui suo padre, che non nutre invadenti aspettative su di lui e lo ama così com’è, riesce a ritagliarsi degli spazi da dedicargli. Quando cioè, soliti stendersi a terra, il piccolo Nicola ama chiudersi in posizione fetale all’interno del corpo di suo padre, come in un guscio. Quasi l’immagine di una nuova gestazione.

Un paradiso tu vivrai se tu scopri quel che hai…” . Scoprire ciò che si ha, scoprire il proprio “valore”, la propria autentica identità e potervi accedere per “realizzarsi” come persona: questo cantava Patty Pravo, un’avanguardia negli anni ’60. Ma quanta (apparente) sicurezza siamo disposti a cedere per non tradire il nostro desiderio, il nostro talento, senza farlo dipendere totalmente dagli altri ?

Gianni De Feo, interprete e regista dello spettacolo “Bambola, la strada di Nicola”

Il padre di Nicola muore quando lui ha solo sette anni e dieci anni dopo sua madre sceglie di suicidarsi. Nicola resta orfano e qualcosa, già vivo in lui, inizia a prendere forma: Bambola. Un nome che Nicola sceglie pensando a quel tipo di donna cantato da Patty Pravo. Una donna che aspetta godottianamente qualcosa che deve arrivare e che con sensibilità leopardiana non può fare a meno di rivolgersi alla Luna per constatarne però ogni volta il suo disinteresse.

Gianni De Feo, interprete e regista dello spettacolo “Bambola, la strada di Nicola”

Una storia avvincente, personale e insieme universale, immersa nella Roma degli Anni ’60, dove nelle periferie si vivevano i fermenti dei moti di emancipazione quali il femminismo, la libertà sessuale, la contestazione giovanile. Periferie laboratorio, dove Pasolini ambientava, tra l’altro, le interviste dei suoi “Comizi d’amore”. Tra le voci di un’umanità che inizia a trovare l’ardire di parlare di sessualità, intervistato è anche un Giuseppe Ungaretti che dichiara che in amore non esiste un concetto di “normalità” che lega gli uomini alla propria natura. A salvarci è solo uno “sforzo di poesia”.

Giuseppe Ungaretti e Pier Paolo Pasolini in “Comizi d’amore”

Poesia che Gianni De Feo dimostra di saper portare in scena: sua infatti è la capacità di utilizzare il corpo per catalizzare l’attenzione per poi scoccare il dardo dell’emozione sul pubblico. Con grande controllo di gestualità e mimica: senza mai incorrere in eccessi.

Gianni De Feo, interprete e regista dello spettacolo “Bambola, la strada di Nicola”

La cifra stilistica di Gianni De Feo trova espressione in una capacità registica ed attoriale sincretica, che si avvale della complice sinergia di linguaggi diversi. La canzone, ri-arrangiata per essere messa al servizio dell’interprete ad esempio e’ una componente drammaturgica imprescindibile che, unita alla lingua da proscenio, dà vita ad una proposta di teatro canzone davvero molto interessante. Frutto della particolare affinità tra Gianni De Feo, Paolo Vanacore (autore del testo), il Maestro Alessandro Panatteri e Roberto Rinaldi (curatore delle scene e dei costumi).

Gianni De Feo, interprete e regista dello spettacolo “Bambola, la strada di Nicola”

Peng

TEATRO VASCELLO, dal 7 al 12 Marzo 2023 –

Un gorgoglio: questo è l’indizio che riceviamo prima di capire che siamo all’interno di un utero. È il  liquido amniotico a gorgogliare. Al suo suono si associa quello della voce  dei pensieri di uno strano neonato, che si presenta confidandoci il suo nome: Peng. Lo sa perché, sopra il sottofondo continuo della televisione che va, sente i suoi genitori fantasticare sulla scelta del destino da abbinare al suo nome proprio. E come ascoltando il mondo da un oblò (curatore dei suoni è Dario Felli), Peng si annoia un po’. 

Fausto Cabra (Peng neonato) nello spettacolo di Giacomo Bisordi

E allora per riempire l’attesa che lo separa dalla sua “uscita”, anche lui passa il  tempo a fantasticare sul suo nome. E lo fa derivare, etimologicamente, dal francese. In particolare, da quegli Ugonotti che sapevano, loro sì, come non annoiarsi: uccidendo migliaia di persone. In effetti questo sarà il destino collegato al suo nome: per poter essere l’ “unico”  figlio, Peng strangola sua sorella gemella cosicché non esca dall’utero. Dal parto verrà alla luce così “il primo figlio-bestia”. Già cresciuto: cammina, parla e ha i denti.

Una scena dello spettacolo “Peng” di Giacomo Bisordi

Ma che notizia !!! Ne approfitta subito un giornalista che propone ai genitori di diventare protagonisti di una sorta di reality. Pur di essere visti e seguiti dal grande occhio della telecamera, tutti i protagonisti della vicenda “vengono alla luce” attraverso una vera e propria competizione ad essere “il” protagonista. L’unico.

Fausto Cabra (Peng neonato) e Ado Ottobrino (suo padre) in una scena dello spettacolo di Giacomo Bisordi

La scena (curata da Marco Giusti) semplice ed essenziale ma sempre efficacissima nel suo cambiare “a vista” a seconda delle  situazioni, si avvale della presenza di due schermi: uno per vedere l’inquadratura della videocamera e l’altro per far andare programmi televisivi. In particolare televendite, il cui monopolio è in mano ad una melliflua  presentatrice-divulgatrice: la mirabile Manuela Kustermann

Ma chi sono i genitori di questo Peng?

Ado Ottobrino (padre), Sara Borsarelli (madre), Fausto Cabra (Peng) e Francesco Sferruzza Papa (giornalista) in una scena dello spettacolo di Giacomo Bisordi

Indossano una tuta rossa Adidas come fosse una divisa. E la fanno indossare anche al figlio. Apparentemente si propongono come esempi di autenticità: mangiano sano, praticano discipline orientali, accolgono chi è in difficoltà. Ma in realtà il loro credo è la violenza, suggellata dalle note  del “Lascia ch’io pianga” di Händel. Perché “ciò che è più efficace, è irrazionale”.

Fausto Cabra (Peng) in uno scena dello spettacolo di Giacomo Bisordi

Peng, invece, non eredita la maschera dell’ipocrisia borghese dei suoi genitori. Viene subito alla luce come un crudele violento. E se ne compiace. Non si nasconde dietro alle buone maniere e va fiero delle rovine che lascia al suo passaggio. È una bestia sincera. Sia nascosto dall’ipocrisia sia scevro, quello in scena è un mondo che ha perso la sua “humanitàs”, quel misto di autentica solidarietà, compassione, comprensione, amore, perdono, cura, gentilezza.

Fausto Cabra (Peng bambino) e Francesco Giordano (Leone qui) in una scena dello spettacolo di Giacomo Bisordi

Qui “vale” ciò che puoi far vedere agli altri. Persuadendoli. Per essere un vero protagonista omologato. Dove non serve conoscere ma comprare. Dove ci si orienta attraverso i dictat  “mai più senza …”  e ” dillo guardando nella telecamera n….”. Perché la gente vuole che succeda sempre qualcosa nella vita degli altri, per distrarsi dalla propria: è lo show business

Giacomo Bisordi, il regista dello spettacolo “Peng”

Il regista Giacomo Bisordi  sceglie di portare in scena un testo denuncia di Marius von Mayenburg (scritto dopo l’elezione di Donald Trump) riadattandolo, attraverso la traduzione di Clelia Notarbartolo, alla situazione italiana. Ne scaturisce un lavoro volutamente feroce. Senza ipocrite edulcorazioni. Crudo ma necessario. L’originale regia si avvale della complicità di attori davvero molto efficaci, ciascuno nel ruolo o nei ruoli che è chiamato a rendere. Sono Aldo Ottobrino, Sara Borsarelli, Francesco Sferrazza Papa, Anna C. Colombo e Francesco Giordano. Su tutti brilla “la bestia” Fausto Cabra. Uno spettacolo che indaga sul tabù che ci porta a ridere di ciò di cui dovremmo vergognarci. Ma anche così è la natura umana.

Il cast agli applausi

Diario licenzioso di una cameriera

TEATROSOPHIA, 11 – 13 novembre 2022 –

E’ in una stazione, luogo dove s’incontrano vite (e metafora della vita che, come un treno, sfreccia tra paure, sogni e desideri) che noi incontriamo Célestine (un’ammaliante e profonda Giovanna Lombardi).

Lei è (apparentemente) l’unica protagonista del “Diario licenzioso di una cameriera”: emozionante adattamento del regista Gianni De Feo della pièce del rinomato drammaturgo Mario Moretti, che a sua volta adattò dal testo originale di Octave Mirbeau “Journal d’une femme de chambre“. 

Seduta, ma cangiante come i colori dei cieli dolci e piovosi della Normandia, Célestine aspetta di arrivare alla sua nuova destinazione lavorativa, al suo nuovo destino. È di una bellezza austera e sensuale: sembra uscita da un manifesto di Toulouse Lautrec (i costumi sono di Roberto Rinaldi).

Henri de Toulouse Lautrec, Divan Japonais – 1893-

Quando inizia a rivolgerci la parola siamo invasi dalla sua malizia. Ci arriva dalla sua voce golosa; dal suo corpo che si offre e si cela; dalla sua bocca così morbida e umida; dal suo tatto così avido di superfici da esporare.

Una scena del “Diario licenzioso di una cameriera ” di Gianni De Feo

E dai suoi gesti così in simbiosi con la musica. Ma sono i suoi occhi a stregarti e a portarti via con lei. Dovunque il suo capriccio decida di andare. Occhi che proiettano paure, eccitazioni, gioie. Occhi che sanno parlare anche in quei silenzi così potentemente densi. Nella malìa della sua narrazione, Célestine denuncia l’ipocrisia dei suoi datori di lavoro, appartenenti a quella borghesia che ostenta “case linde e pinte dietro facce disgustose”.

Una scena del “Diario licenzioso di una cameriera ” di Gianni De Feo

Lei presta servizio come cameriera e si descrive in una maniera che potrebbe farla risultare un’opportunista. Lo è. Anche. Ma non solo. Il suo non è un mero scambio di servizi. Lei “sa guardare”. Non solo con gli occhi ma anche con la mente. E con il cuore.

Una scena del “Diario licenzioso di una cameriera ” di Gianni De Feo

Ha la capacità di visualizzare anticipando gli eventi che la coinvolgono e poi la prontezza di sincronizzarvisi. Per questo quando ci parla degli uomini e delle donne che ha incontrato, lei “scatta” veri e propri “ritratti” umani. Non si accontenta di lavorare per vivere. Vuole “sentire”, piuttosto, cosa significa vivere. In quanti modi si può vivere. Quanto può essere seducentemente contraddittoria la vita.

Una scena del “Diario licenzioso di una cameriera ” di Gianni De Feo

Come può accadere di essere attratti dalla violenza che si mischia alla protezione e dalla malattia che è anche fonte zampillante di vita?

Eppure accade, se non ci si ferma sulla soglia delle ipocrite classificazioni borghesi. Perché se si ha davvero fame di vita, non si può non riconoscere che il bene non si dà mai disgiunto nettamente dal male. Giudicare non ha più senso, allora. E non è più vero, come aveva dichiarato inizialmente, che lei sia impenetrabile: che nulla la meravigli. Lei sa di essere “una donna che fa sangue”, che ha bisogno di sedurre e di essere sedotta. Sa che la sua luce è data dalle sue ombre e non teme di rivelarle, quando anche l’altro le fa dono di ciò che non ha.

Questo adattamento del “Diario licenzioso di una cameriera” di Gianni De Feo è uno spettacolo magnetico: un inaspettato viaggio emozionale . Merito di una regia curatissima, introspettiva e raffinatamente sfacciata. Le scene (di Roberto Rinaldi) sono semplici ma efficaci pennellate di ottimo gusto e il disegno luci, unito alla complicità delle scelte musicali, fonte diegetica: alcuni momenti sono costruiti su immagini scritte con la luce.

L’opera del fantasma

TEATRO MARCONI, dal 3 al 13 Novembre 2022 –

Negli accoglienti spazi del Teatro Marconi, ieri sera ci si è ritrovati per l’apertura della nuova stagione teatrale. Nel loro bistrot si è soliti colmare l’attesa dell’inizio dello spettacolo parlando di nuove e vecchie tendenze teatrali, fino a che non viene fatta sala e si scende in teatro.

In scena sei giovani attori volano con il ritmo e trascinano la platea con inesauribile energia.

Mettono in scena le assurde e strampalate vicende di una compagnia teatrale che durante l’allestimento del proprio spettacolo si trova ad assistere alla morte improvvisa del regista. Proprio lì, sulla scena. Ma in realtà il regista non li lascerà mai, restando tra loro in veste di fantasma-investigatore. E ne scoprirà delle belle !

Lo spettacolo è scritto (assieme a Mattia Marcucci) e diretto da Chiara Bonome, che è anche in scena come attrice.

Il loro è un recitare fatto di stop and go, di non-sense e di presenze che sono tali solo per gli spettatori (e non per gli attori). La tradizionale percezione dello spazio scenico lascia il passo quindi ad un interagire che non assomiglia a quello che avviene nella vita reale. Ne deriva uno spiazzamento esilarante, montato dentro un susseguirsi di situazioni cariche di ironia.

Una black comedy davvero brillante

Resterà in scena fino al 13 novembre p.v.