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Spettacolo pluripremiato il 30 Agosto al Teatro Cortesi di Sirolo in occasione del Festival e Premio Franco Enriquez 2024 – per un Teatro, un’Arte e una Comunicazione di impegno sociale e civile –
Premio a Luciano Violante (cat. Teatro Classico e Contemporaneo Sez. Nuova Drammaturgia) – perché «la sua versione dei fatti é la versione di una donna imprigionata dal volere altrui che cerca di liberarsi dai vincoli patriarcali».
Premio a Viola Graziosi (cat. Teatro Classico e Contemporaneo Sez. Miglior Attrice)
Premio a Giuseppe Dipasquale (cat. Teatro Classico e Contemporaneo Sez. Regia e Scenografia). Il nuovo direttore di Marche Teatro -Teatro di rilevante interesse culturale- offre «uno sguardo caleidoscopico che ci rimanda ad un linguaggio cinematografico, all’immagine inconscia e metafisica. Circe è parte di un mondo fluido, Circe tra mito e realtà; prigioniera del suo abito crisalide e del suo stesso incantamento che le impedisce la piena libertà: ricca di rimandi iconografici da Bottazzi a Waterhouse in una sinergia tra mitologia e lirismo, il percorso di una donna alla ricerca dell’essenza dell’essere».
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TEATRO INDIA, dal 15 al 26 Novembre 2023
Che cosa significa “raccontare” ?
Il racconto è qualcosa di affidabile?
Il racconto è lo sforzo, il tentativo, di chi vuole comunicare qualcosa. Con una determinata intenzione.
Cosa sappiamo di Circe?
Il racconto più diffuso fa di lei una maga ingannatrice e malvagia. Ma è solo un punto di vista, un tentativo di comunicare qualcosa. Ci sarà dell’altro?

Luciano Violante
Da qui probabilmente nasce il desiderio di Luciano Violante, ex magistrato e politico italiano, di approfondire il fatto. Il mito, in questo caso. Ne scaturisce un testo davvero convincente che l’originalissima regia di Giuseppe Dipasquale e l’istrionica interpretazione di Viola Graziosi rendono irresistibile.

Giuseppe Dipasquale
Questo di Luciano Violante è il racconto su Circe, di Circe: la sua versione dei fatti. Il suo personale e consapevole entrare nell’habitus costruito per lei dagli altri. L’altra faccia della medaglia. La parte mancante, ad ora. Quella che era rimasta ingabbiata in una struttura rigida, mortifera. Che le toglieva respiro.

Viola Graziosi
È la sua voce a farsi corpo. Ma a differenza di un corpo, non è parte determinata di una materia. E’ tutta la materia, tanto è variegata – l’espressività vocale e mimica di Viola Graziosi è stupefacente, al di là degli accattivanti effetti sonori ad essa applicati.
E poi è essenza. Una voce caleidoscopica, dilatata, con echi. Una voce che si specchia e produce un rimando. Una voce epica: fisica e metafisica. Un canto: una melodia sì, ma anche un punto di vista: quell’angolo dell’occhio che produce quella particolare curvatura. Quel particolare sguardo. Ed è incanto.

Scenograficamente questo suo caleidoscopico sguardo è riprodotto quasi fosse una proiezione cinematografica. Una proiezione lisergica, inconscia, metafisica all’interno di un grande occhio che le fa da fondale. Lei così disponibile a farsi parte di un mondo fluido, marino e non solo. Lei così poliedrica, seppur incarcerata in un racconto che le tarpa il corpo.

L’appassionata regia di Giuseppe Dipasquale visualizza molto efficacemente questa prigionia: non ci sono quasi mai movimenti scenici in Viola Graziosi se non quei piccoli, flessuosamente ondulati, liquidi movimenti delle sue mani. Unitamente alla restituita possibilità di entrare e di uscire dal rigido habitus, confezionato sul precedente racconto intessuto su di lei.

Il magnifico apparato scenografico cita con originalità celebri opere iconografiche dedicate al mito di Circe : partendo dal dipinto del poliedrico pittore romano Umberto Bottazzi (1865 – 1932) per arrivare al britannico preraffaellita John William Waterhouse (1849 -1917). Ma è l’insieme degli sguardi della drammaturgia luminosa a vivificare – in sinergia al lirismo del testo di Luciano Violante – questo nuovo racconto restitutivo.
Eccolo. Fu il padre di Circe a scegliere per lei: le ordinò di rinunciare a tutti i privilegi di essere una divinità, anche se minore, per scendere tra i mortali. Una descensus che solo apparentemente ha il sapore di un esilio: in verità è una missione, una vocazione terapeutica. Un viaggio che lei solo percorrendolo dentro di sé può restituire a coloro che riescono ad avvertirne l’esigenza. Perché – le disse suo padre – “serve uno sguardo diverso sul mondo: serve lo sguardo di una donna”.

Nella sua discesa interiore – metaforico viaggio fino all’isola di Eea – a lei si uniranno dei mortali ingiustamente condannati a causa di racconti ingannevoli . Proprio come è successo a lei. Perché “per gli umani sovente la verità è piena di spine, mentre l’inganno di miele”.
L’isola di Eea diverrà così, nel nuovo racconto portato alla luce da Violante, un luogo di purificazione: dove, chi ne avvertirà l’esigenza, potrà fermarsi per purificarsi, per redimersi. Un luogo gestito solo da donne e dal loro sguardo sul mondo.

Viola Graziosi e Graziano Piazza (Ulisse)
Vi si fermeranno in molti: non ultimi gli uomini di Ulisse. Uomini affamati di cibo e di donne, di cui si considerano padroni. Allo specchiante sguardo di Circe non passa inosservato questa brama di sopraffazione, di illecito potere: nel suo sguardo ciascun membro della ciurma di Ulisse vede riflessa l’autentica natura ferina che cela.
Ma, essendo ancora incapaci di avvertire l’esigenza di un viaggio interiore purificatorio, è opportuno che vivano consapevolmente questa momentanea trasformazione propedeutica.
Poi arriverà Ulisse: colui che consapevolmente confeziona racconti mendaci. Lei lo disarma immediatamente. Ma lui oppone resistenza: “Io sono quello che sono”. E non si può mutare il cuore di un uomo, se l’uomo non vuole.
“Io voglio non aver catene, questa è la mia tragica libertà” – continua l’Ulisse di Violante.
Serve infatti un coraggio di donna, per affrontare se stessi.
Serve la capacità e la vocazione a desiderare di entrare in relazione con l’altro.
Relazione, non sopraffazione.

Preziosissimo questo progetto “DONNE! Trilogia sulle donne dal mito ai social” voluto dal Teatro di Roma.
Perché è importante raccontare, denunciare, far conoscere, rivelare nuovi sguardi su ciò che ci accade.
Perché è importante che i vari racconti entrino in relazione e si faccia chiarezza.
Recensione di Sonia Remoli




























