Recensione dello spettacolo FAHRENHEIT 451 – a cura de La casa d’argilla – regia di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni –

Spettacolo musicale / melologo sci-fi

“Era un piacere bruciare tutto ” .

Sì, può essere estremamente eccitante tenere tutto e tutti sotto controllo, sentendo pulsare nelle vene quell’esaltante sensazione di dominio, di potere assoluto, di sopraffazione. Senza permettere a nessun’altra emozione di influenzarci. Di invaderci. Tutti chiusi dentro questo confine rigido. Impermeabile.

Così entra in scena il fulgente Guy Montag di lacasadargilla, ensemble che ieri sera al Teatro India ha dato vita ad una infiammata ed infiammante messa in scena dell’omonimo spettacolo musicale/ melologo sci-fi tratto dal romanzo “Fahrenheit 451“.

Scritto da Ray Bradbury nel 1953 e ambientato in un imprecisato futuro, narra ( forse predicendo ) di una società distopica dove leggere o possedere libri è considerato un reato. Per contrastare questo pericolo viene istituito un particolare corpo di vigili del fuoco con l’insolita missione a bruciare ogni tipo di volume. 

“Bruciare sempre, bruciare tutto. Il fuoco splende e il fuoco pulisce”. 

Una brama ad essere “vigili” perversa: a cui qualcuno ha dato un altro verso, un altro valore. Un altro significato: non più quello di spegnere il fuoco per salvare, per donare aiuto. Bensì quello di appiccare il fuoco per distruggere chi ama leggere. Chi brucia di desiderio di sapere.

Perché leggere rivela i vari significati che si possono dare alle parole. E i significati che si danno alle parole sono importanti. Capirli risulta fatalmente pericoloso per chi è invaso dall’obiettivo di sopraffare gli altri. E subdolamente lusinga e fa credere di aver cura dell’Altro solo per indurlo a fare qualcosa che torni, in realtà, a vantaggio solo di se stesso. 

Guy Montag, zelante vigile del fuoco inconsapevole dell’inganno che il sistema sta propagandando, non è però immune dal percepire che successivamente all’eccitazione derivante dall’appiccare il fuoco con zelo e brama, si senta poi mortalmente svuotato. E non fuggendo da questa malinconica sensazione, riesce a percepire, una sera durante una passeggiata, l’ombrosa presenza di qualcuno che inspiegabilmente lo sta desiderando: qualcuno che sta aspettando il suo ritorno, sotto le stelle.

Clarissa, una giovane donna che osa, insieme alla sua famiglia, opporsi al regime dedicandosi alla lettura e preferendo vivere in natura piuttosto che di fronte a obnubilanti schermi televisivi. E Guy sperimenta con lei, per la prima volta, una sensazione insospettabilmente appagante. Finalmente la potente magia di un vero incontro: scoprire di amare dialogare con qualcuno a cui interessa ascoltarti. Per conoscersi, per scoprirsi. Per dare e per darsi: aprendo i propri confini all’osmosi, come membrane permeabili. Generosamente. La vera ricchezza di un’invasione. Come l’amore sa fare. 

lacasadargilla: Alice Palazzi, Maddalena Parise, Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni

La messa in scena di questo snodo cruciale della narrazione viene reso e valorizzato da lacasadargilla con la grazia di un incanto. Lei, Clarissa, arriva come anticipata da un refolo e emanando un canto favoloso, muovendosi e parlando con elegante leggiadria, quasi fosse una “Primavera” botticelliana.

Alla partitura del corpo e della voce, si legano sinergicamente una drammaturgia delle luci e una drammaturgia musicale particolarmente evocative. Liriche proiezioni floreali e sonorità eseguite dal vivo completano l’epifania, conferendo all’attimo la solennità di una conversione.

“Lei è felice ?” – chiede Clarissa a Guy. Una domanda proibita. Che insinua il dubbio sulla bontà del sistema. Un atteggiamento critico estremamente pericoloso perché induce a pensare. Saranno poi proprio i libri ad aiutare Guy a rispondere a questa domanda. Prova a parlarne lui anche con sua moglie Mildred, per condividere con lei il nuovo orizzonte esistenziale. Ma lei è totalmente assuefatta alla propaganda da non riuscire a cogliere la nuova carica emotiva del marito, se non come un tradimento al sistema. E di fronte al suo citare una poesia – la meravigliosa “Dover beach” di Matthew Arnold  – in risposta alle frivole argomentazioni delle sue amiche, Mildred lo denuncerà al sistema.

Siamo fatti così, noi essere umani: abbiamo un’anima che può aprirsi a diverse direzioni. Può sentire di essere spinta verso la libertà, verso lo spazio aperto della conoscenza, verso l’altruismo, verso la relazione, così da raggiungere un’autentica consapevolezza ma anche, ed è la nostra tendenza più originaria, essere pronta a barattare l’eccitante incertezza della libertà e della felicità per un’illusione di sicurezza, di calma protezione. Che ci vuole chiusi. Insensibili.

E poi, c’è sempre qualcuno che sceglie di approfittarsene. Perché un’indirizzo tutto umano è anche quello alla sopraffazione. Perché una donna e un uomo che abdicano alla libertà di pensiero e di espressione sono facilmente manipolabili. Allevabili, addomesticabili. E quindi innocui. Non pericolosi.

Perché rinunciano al libero arbitrio e quindi a sentire e a pensare e a esprimere qualcosa di diverso, di proprio. Preferendo scegliere di non scegliere e quindi lasciando scegliere l’Altro da sé. Apparentemente consapevoli ma quasi sempre vittime di subdole manipolazioni.

Saccheggiati, non a caso, di ciò che abbiamo di più prezioso: quel libero, creativo e quindi fertile arbitrio che ci rende unici, speciali. Consapevoli. Brillanti. Esplosivi.

L’urgenza preziosa e necessaria di lacasadargilla di dedicare così tanta attenzione al tema dell’ “invasione” nasce, oltre che dall’essere un tema sempre affascinante, anche dall’esigenza di riproporre e ricordare, attraverso la potenza rivoluzionaria dei libri, tutte le declinazioni che il concetto di “invasione” può assumere nei vari ambiti della nostra esistenza. 

Uno spettacolo infiammato e infiammante: come il teatro può e deve essere.

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sabato 2  domenica 3 settembre (ore 21:15)

SPETTACOLMULTIMEDIAL/ MELOLOGO SCI-FI

FAHRENHEIT 451

a cura di lacasadargilla regia Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni 
adattamenti Roberto Scarpetti

drammaturgia musicale Gianluca Ruggeri 
ambienti visivi Maddalena Parise costumi Camilla Carè 

drammaturgia delle luci Omar Scala disegno sonoro Pasquale Citera
con Arianna GaudioSilvio ImpegnosoFortunato Leccese, Anna MallamaciEmiliano MasalaGiulia Mazzarino, Alice Palazzi, Stefano Scialanga


percussioni Gianluca Ruggeri pianoforte Ivano Guagnelli, percussioni /el. devices Gianfranco Vozza, percussioniCarol Di Vito 

aiuto regia e coordinamento Matteo FinamoreMartina MassaroCaterina Piotti e Francesco Cecchi Aglietti


Recensione di Sonia Remoli


Recensione dello spettacolo CONSIGLI PER SOPRAVVIVERE IN NATURA – un progetto di Lacasadargilla – regia Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni

TEATRO INDIA, Festival IF/INVASIONI(dal) FUTURO_Dark Ages*2023, 31 Agosto e 1 Settembre

Che cos’ è davvero un’invasione? Questo moto tanto violento quanto pacifico, lento o improvviso, momentaneo o perdurante ? Ma soprattutto qual è la sua cifra, la sua essenza ? Siamo davvero, noi umani, la specie superiore ? Siamo davvero noi i più intelligenti ?

Festival if/invasionidalfuturo_darkages*2023- aspettando l’inizio del melologo scifi “Consigli per sopravvivere in natura”, al Teatro India di Roma

In questi giorni, più precisamente dal 28 agosto al 3 settembre p.v., il Teatro India si lascia invadere e contaminare da realtà diverse, rendendosi permeabile all’osmosi con forme artistiche di disparata natura: narrazioni miste e atipiche di matrice antropologica, scientifica o storica e poi mondi alieni e alterati, con qualcosa di inquietantemente prossimo al reale.

Un dispositivo misto che alterna, nei diversi orari della giornata, spettacoli multimediali e melologhi sci-fi, laboratori, un’istallazione/performance musicale, una video istallazione multimediale, una conferenza di filosofia, un inedito progetto biennale, una biblioteca condivisa, una libreria e un palinsesto radiofonico quotidiano sulla piattaforma spreaker.

Questa è la decima edizione del Festival IF/INVASIONI (dal) FUTURO_Dark Ages*2023. 

Al Festival if/invasionidalfuturo_darkages*2023 l’installazione multimediale EU_PH0_R1A. A Shining Darkness di Alessandro Ferroni e Maddalena Parise – Teatro India di Roma –

Un progetto promosso da Roma Capitale -Assessorato alla Cultura- e curato da lacasadargilla: una realtà che riunisce intorno a Lisa Ferlazzo Natoli (autrice e regista), Alessandro Ferroni (regista e disegnatore del suono), Alice Palazzi (attrice e coordinatrice dei progetti) e Maddalena Parise (ricercatrice e artista visiva), “un gruppo mobile” di attori, musicisti, drammaturghi e artisti visivi.

Un ensemble allargato, il loro: un’unione di parti, ovvero una realtà che sceglie di essere una complessità, dove la personalità di ciascuno degli artisti in qualche modo “perde spicco” affinché risulti più completa l’armonia d’insieme.

Una realtà, quella della casadargilla, che fa quindi della fertilità dell’ invasione la sua filosofia. Il suo modo di essere e di stare al mondo. Non a caso la loro peculiare vocazione artistica è la realizzazione di progetti speciali “allargati” alle diverse arti. Un’invasione che impreziosisce il dialogo tra le diverse discipline artistiche. Alla base della loro ricerca, il vasto tema dell’estinzione di quei sistemi delicati e complessi che reggono relazioni, immaginazioni, antropologie ed ecosistemi.

Alice Palazzi, Maddalena Parise, Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni

Da questa ricerca di una fertile osmosi che, sola, permette la sopravvivenza di tali sistemi prende vita anche il primo dei loro due spettacoli musicali/melologhi sci-fi presenti a questa nuova edizione del Festival IF/INVASIONI (dal) FUTURO_Dark Ages*2023: “Consigli per sopravvivere in natura”.

L’afflato di tutto l’ensemble coinvolto in questo progetto ha offerto al pubblico, copiosissimo in sala, la magnifica possibilità di elaborare la narrazione dei racconti in scena (una selezione di racconti introvabili di quattro autrici di distopie estreme che sfiorano un orrore tutto umano: Lo psicologo che non voleva far male ai topini di Alice Bradley Sheldon; Figlio di sangue di Octavia Butler; Più vasto degli imperi e più lento di Ursula Le Guin e Palla di pelo di Margaret Atwood) come “un movimento” immaginifico e riflessivo.

Un momento del melologo sci-fi “Consigli per sopravvivere in natura” ( foto di Claudio Riccardi )

In uno spazio scenico aperto e quindi disponibile ad essere invaso, velate membrane protettive disegnano ambienti fluidi dove attori e i musicisti sempre in scena (tutti efficacissimi nelle loro partiture di corpo e voce) sostano, si muovono, assaporano le zone di confine e se ne inebriano.

Una sapiente drammaturgia delle luci crea ambienti umani dalla raffinata solitudine hopperiana, sottoposti alla tentazione a sfumare in nuovi ecosistemi: è l’ebrezza della clorofilla. E non solo. Complici i fascinosi ed enigmatici ambienti visivi e l’ossessionante e seducente disegno del suono capace di contribuire a rendere plastica la suggestione che la paura sia solo l’altra faccia del desiderio.

Un momento del melologosci-fi “Consigli per sopravvivere in natura” ( foto di Claudio Riccardi )

La cura dei costumi si esprime attraverso la scelta di vestire gli attori in eleganti abiti in tessuti rigorosamente osmotici, quali il lino e il cotone.

Perché noi esseri umani, pur essendo dotati di un cervello, non siamo le creature più intelligenti sul pianeta. Essendo esseri animati siamo solo le creature più veloci a trovare soluzioni per adattarci ai mutamenti dell’ambiente. Ma la nostra organizzazione verticistica ( che per di più abbiamo replicato a livello sociale, governativo, aziendale, ecc. ) ci rende fragili nella durata.

Un momento del melologo sci-fi “Consigli per sopravvivere in natura” ( foto di Claudio Riccardi )

A differenza delle piante, che invece non si muovono e di conseguenza sono organizzate in maniera tale da essere estremamente sensibili e recettive ai mutamenti dell’ambiente ( molto più di noi esseri umani) per poter resistere a lungo. Prova ne è anche il fatto che la loro presenza sul pianeta è pari 87% mentre quella degli animali (tra cui l’uomo) è solo dello 0,3%.

La salvaguardia del rispetto delle varie specie viventi è necessario ed urgente ma contemporaneamente risulta una tensione contro natura. L’ “amore per il prossimo”, cioè per l’altro, per il diverso da noi, è un obiettivo da costruire pazientemente e costantemente, arginando l’originaria tensione umana alla sopraffazione.

Ecco perché il lavoro di ricerca de lacasadargilla, teso alla salvaguardia dell’estinzione di tutti quei delicati e complessi sistemi che sono alla base delle “relazioni” tra ecosistemi naturali, antropologici e immaginativi, è fortemente prezioso. Oltre che di una caratura poetica speciale.


giovedì 31 agosto – venerdì 1° settembre (ore 21:15)

SPETTACOLO MULTIMEDIALE / MELOLOGO SCI-FI

CONSIGLI PER SOPRAVVIVERE IN NATURA

a cura di lacasadargilla regia Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni 
adattamenti Roberto Scarpetti

drammaturgia musicale Gianluca Ruggeri
ambienti visivi Maddalena Parise costumi Camilla Carè 

drammaturgia delle luci Omar Scala disegno sonoro Pasquale Citera
con Lorenzo Frediani, Arianna GaudioFortunato Leccese, Anna MallamaciPaolo Minnielli, Alice Palazzi, Stefano Scialanga, Roberta Zanardo
chitarra elettrica Fabio Perciballi, el. devices Alessandro Ferroni 

aiuto regia e coordinamento Matteo FinamoreMartina MassaroCaterina Piotti e Francesco Cecchi Aglietti


Recensione di Sonia Remoli


Recensione del libro di poesie DOVE SONO GLI ANNI di Gian Mario Villalta

Garzanti

Questa di Gian Mario Villalta è una raccolta di poesie densa di feroce compassione verso la fragilità umana.

Una “poetica dell’eppure” potrebbe essere definita la sua: una congiunzione avversativa decisamente potente, che rivendica l’esistenza di altro. Lo sguardo acuto del poeta, infatti, percepisce e rende disponibile al lettore la sensazione che esista in noi, nonostante la nostra inevitabile fragilità, qualcosa che non si rassegna a rassegnarsi. E che ci spinge ad amare alla follia, proprio ciò che stiamo per perdere:

“…sei geloso di tutto quello che stai perdendo, re di tutto il perduto”.

“ Sono rimasti a dirsi ancora di guardare i ciliegi fioriti per vedere l’aria tenera fargli il solletico, il bianco sospeso, le labbra secche sui denti scoperti in un sorriso “.

Gian Mario Villalta

Ma quindi, dov’è la vita che ci fa vibrare? “Dove sono gli anni” ? Non quelli che il calendario pretende di di organizzare. No, piuttosto quelli che “non si lasciano pensare mentre vivi ”.

Il respiro “ – ci rivela Villalta – “ viene dalle bassure dove l’acqua stagna”. E come i salci, piante (oramai scomparse) dai rami flessibili e resistenti, anche noi possiamo renderci disponibili, di facile ambientazione. Senza aver paura di sapere “perché fa male quando viene la gioia”. Piuttosto lasciandoci andare al tempo, senza pretendere di rispondere a domande quali: “che cos’è tuo” ? , “cos’è per sempre” ? Perché il tempo – continua Villalta – “ è un disegno breve di brividi “.

E perché ciò che più riesce a comprendere la realtà che ci circonda non è la mente. Ma la pelle, che “si lascia tatuare dall’immagine che s’apprende ardendo lo sguardo coerente al fermento che forma la mente “ e ci conduce, attraverso “brividi“, a trovare gioia laddove ci scopriamo esposti a tutto. Portati via. Fino ad accettare di rimanerne lacerati. Perché “il corpo dimentica tutto il dolore, dopo che smette di fare male ora”.  E allora: “ ___ sia “ .

Gian Mario Villalta

Ecco così che la bellezza di questa poetica si realizza particolarmente nel saper individuare tutte quelle suggestioni capaci di rivelarci le forme che può assumere quell’intimo “strappo”, che nasce dalla nostra urgenza di esprimerci e di identificarci ontologicamente attraverso un “eppure”.

È la consapevolezza di non volere che “basti vivere con il pasto che aspetta coperto da un piatto”.

È il desiderare “ un’altra ancora ultima chiamata, ultimi appelli ancora ripetuti ritentati ripersi…”.

E’ l’urgenza di supplicare un ” ancora, un’altra volta…se fa male ?”.

Perché – ci ricorda Villalta – ” resiste su questo pianeta ciò che muta e mutando esiste “. 

Sezione interna del Nautilus

Ce ne fornisce un’interessantissima prova il Nautilus: lo splendido “fossile vivente” che, attraverso continui mutamenti, resiste da 450 milioni di anni. E che, proprio per il suo modo di stare al mondo, così affine alla poetica di questa raccolta, Gian Mario Villalta sceglie di rendere protagonista assoluto della copertina. 

Il Nautilus passa la giornata in profondità, sul fondo del mare, ma per cercare cibo si muove verso l’acqua poco profonda: un po’ come “le bassure dove l’acqua stagna” che Villalta rivendica ricche di vibrazioni insospettabilmente soddisfacenti per noi umani.

L’ora del giorno che il Nautilus trova più favorevole per la caccia del cibo è al tramontar del sole: quando l’eccesso di luce si spegne gradatamente. E anche a noi capita di trovare, a volte, un folle appagamento proprio laddove il giorno muore per lasciare il passo ad altro, a qualcosa di più ambiguo e decisamente meno chiaro. È, ad esempio – scrive Villalta – “quando era troppo il cielo, il sorriso delle finestre, i gladioli e le portulache, dovevi capirlo perché tremavi”.

La conchiglia del Nautilus

Stupefacente, poi, è l’organizzazione interna di questo fossile vivente: per compartimenti stagni, ben 30 camere. Man mano che la conchiglia cresce, il Nautilus sposta il suo corpo in avanti nella camera più nuova e più grande. Allo stesso tempo, la conchiglia erige anche una parete per sigillare le camere più piccole e più vecchie, che diventano camere a gas, che aiutano così l’animale a galleggiare. L’estro di Gian Mario Villalta trova il modo per riprodurre questa stessa organizzazione nella struttura della sua raccolta di poesie, “sigillando le stanze più antiche” graficamente con il simbolo della spirale del Nautilus e poeticamente con un linguaggio diverso, più ancestrale.

Il Nautilus nella sua conchiglia

Questo rispettoso e dignitoso uso del tempo, dove il passato si chiude per trasformarsi in necessaria e preziosa leggerezza, risulta esteticamente interessante anche perché trova un riflesso nel modo di scoprire “dove sono gli anni”. Una filosofia esistenziale decisamente affine alla poetica di Villalta. Il Nautilus infatti, come noi umani, si muove in avanti e sa che non deve tornare in vecchie camere più piccole (quelle del passato) non appena se ne libera una nuova più grande (che per noi equivale ad una nuova opportunità di crescita e quindi a un nuovo mutamento): non ci starebbe più dentro.

Ecco allora che non si può restare indifferenti all’invito di questa corroborante raccolta di poesie: “Ama il tuo tempo, difendilo” . Invito accompagnato dalla provocazione: e tu ” di quanto bene sei ancora buono ? “.

Una poesia vigorosa, quella di Gian Mario Villalta, che con questa raccolta ha vinto il Premio letterario internazionale “Franco Fortini” 2023: attraverso molteplici suggestioni sa trovare il modo di arrivare a tutti. Dappertutto.

Una poetica iridescente la sua: capace di assumere un ventaglio di tonalità differenti e cangianti, a seconda dell’angolo di osservazione.

Proprio come la conchiglia del Nautilus.


Recensione di Sonia Remoli


Recensione dei docufilm QUINDI ARRIVAMMO A ROMA La seconda nascita della città eterna e IN QUEI GIORNI DIVENNE ETERNA Roma città degli opposti vangeli

Cosa rende divino l’umano e l’umano divino?

In che modo l’eternità plasma la storia?

Qual è il legame quasi inafferrabile, e insieme carnale,

che fa di Roma quel teatro dove l’eternità va in scena ? 

Forniscono un’interessante risposta a queste domande i due docufilm ideati dal Vicariato di Roma e interpretati dal raffinato carisma di Andrea Lonardo: il personaggio principale che, un po’ come il Virgilio dantesco, ci guida in due affascinanti percorsi – quelli proposti dai due docufilm appunto – alla scoperta dell’intimo legame tra la cultura pagana e quella cristiana. Culture originanti la città prescelta per divenire eterna: Roma.

Andrea Lonardo

Nel primo docufilm Quindi arrivammo a Roma. La seconda nascita della città eterna” (diffuso sul canale YouTube di Romartecultura dal Luglio del 2022) la narrazione si incentra intorno alla risonanza che ebbe, nella Roma decadente del periodo ellenistico, l’arrivo delle figure cristiane di Pietro e Paolo. Ad impreziosire l’originale percorso narrativo, contributi esterni di personaggi autorevoli, quali Giovanni Maria Flik (Presidente emerito della Corte Costituzionale); l’attore e regista Carlo Verdone e Alfonsina Russo (Direttrice del Parco archeologico del Colosseo).

Andrea Lonardo

Nel secondo docufilm “In quei giorni divenne eterna. Roma città degli opposti vangeli” (diffuso sul canale YouTube di Romartecultura dal 20 luglio u.s.) la narrazione verte intorno all’incredibile eco che ebbe, nell’aurea Roma di Augusto e Tiberio, l’ambiguità legata ai termini “salvatore” e “vangeli”. Preziosa qui l’amichevole partecipazione di Amedeo Feniello dell’Università de L’Aquila.

Luca Nencetti, Giorgio Sales e Giuseppe Benvegna

Entrambi i docufilm sono il frutto dell’appassionata sinergia tra diverse forme espressive: quella del documentario, quella del film e quella del teatro. Infatti, agli splendidi testi redatti da Andrea Lonardo (autore oltre che attore principale di entrambi i docufilm) si intrecciano sapientemente sia l’accuratissima regia cinematografica di Alessandro Galluzzi, che la regia teatrale e la direzione artistica, ricche in sensibilità, di Francesco d’Alfonso. La produzione è di Valerio Ciampicacigli per Ulalà Film

Ma ciò che li rende così unici, oltre all’elegante e certosina cura estetica – mai fine a se stessa ma sempre a servizio di un fine etico e divulgativo – è l’originalità dei contenuti sui quali gettano luce, portando alla ribalta quelle feconde interazioni dialettiche tra cultura pagana e cultura cristiana indispensabili per rileggere in modo originale la storia e la spiritualità di Roma. E non solo, perchè da esse ha preso avvio la stessa cultura occidentale.

Senza la lettera di San Paolo ai Romani, ad esempio, non ci sarebbero stati né Agostino, né Lutero, che si fecero portavoce della necessità di una salvezza che non dipende solo dall’uomo. Inoltre è dall’affermazione di Gesù “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” che nasce il principio della laicità : ogni vera religione deve rispettare la libertà dello Stato e ogni vera politica non ha il diritto di arrogarsi un potere assoluto, disgiunto dal bene .

La stessa scelta del titolo del primo docufilm “Quindi arrivammo a Roma” pur essendo una citazione da “Atti degli Apostoli” (28,11-16.30-31), non può non far risuonare nella mente e nel cuore dello spettatore quell’ “Allora uscimmo a rivedere le stelle” dantesco (c. XXXIV, v.139) presagio – lì come qui -di un nuovo cammino di luce e di speranza. 

In entrambi i docufilm la narrazione cinematografica del regista Alessandro Galluzzi tende a prediligere uno sguardo riflessivo, dove i piani sequenza e le riprese in soggettiva godono di uno status fondamentale, alimentando suggestioni poeticamente decadenti alla Paolo Sorrentino e momenti di suspence alla Alfred Hitchcock.

L’ io dello spettatore vede, infatti, con gli occhi del personaggio diegetico ed è proprio la forma del suo sguardo a condurlo nella forma linguistica della storia raccontata, punteggiata da panoramiche a schiaffo che ripropongono la necessaria naturalezza del battito delle palpebre dello sguardo. Non mancano gli spostamenti più poetici resi, soprattutto nelle scene di teatro, con assolvenze e dissolvenze, anche incrociate. Il tutto sempre con un effetto visivamente eloquente, tale da mantenere desta l’attenzione e alta la tensione emotiva.

Francesco d’Alfonso

Allo sguardo cinematografico si lega armonicamente la scelta dei tappeti musicali di entrambi i docufilm, curata abilmente da Francesco d’Alfonso, il quale si orienta opportunamente verso l’utilizzo di melodie prevalentemente eseguite con strumenti ad arco. Strumenti, e quindi mezzi, più adatti a veicolare proprio quella originalità – a volte “ruvida”, altre volte “lieve” – della narrazione e quindi della dialettica tra sacro e profano. Archi portatori di quell’appassionato rigore, che sa come muoversi e trovare un equilibrio tra spirito apollineo e spirito dionisiaco. 

Giorgio Sales

Ma allo sguardo cinematografico di Alessandro Galluzzi, Francesco d’Alfonso sa conciliare, oltre ai tappeti musicali più appropriati, anche un’accorta ed efficacissima regia teatrale, dove alla solenne staticità degli attori, resa vibrante da un’appassionata interpretazione vocale – sono tutti giovani professionisti diplomati all’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico – si lega un mirabile uso caravaggesco della luce.

Luca Nencetti

Luce che sa essere sia divinamente epifanica ma insieme anche inquietantemente umana, riuscendo così a far affiorare anche quel “lato oscuro” connaturato all’essere umano. Quel lato che Socrate attribuiva all’ignoranza insita nell’uomo e che Paolo, con sguardo assai più moderno, rintracciava in quel tendere, tipico dell’essere umano, verso qualcosa a cui però, per natura, non riesce ad arrivare.

Giuseppe Benvegna

Splendido il ritmo che il regista Francesco d’Alfonso richiede ai suoi attori e che loro sanno come rendere: con quella leggerezza, di cui parlava Italo Calvino, che riesce ad accogliere anche il più profondo dei pathos.

Chiara Ferrara e Matilde Bernardi

La scena che rievoca la Passione delle due cristiane Perpetua e Felicita (nel primo docufilm ) ne è un seducente esempio: qui estasi mistica e ferina passionalità riescono a raggiungere un equilibrio che incanta.

Matilde Bernardi e Chiara Ferrara

Nel secondo docufilm, invece, il regista osa andare oltre arricchendo l’interpretazione richiesta agli attori con suggestioni coreografiche di sublime bellezza. Come quando sceglie di visualizzare l’ambiguità venutasi a creare su chi fosse il vero “salvatore”: l’Imperatore Augusto, che come tale si auto-appellava, o quel bambino nato in quegli stessi anni da una vergine in Galilea?

Matteo Santinelli e Marco Tè

La scelta registica di far interpretare questa scena (ricavata dal testo della “Ecogla IV” di Virgilio) a due attori uniti di spalle -quasi personificazione degli “opposti vangeli”- per poi disgiungerli, sembra alludere anche al mito platonico delle metà, raccontato per bocca di Aristofane nel “Simposio” di Platone.

Marco Tè e Matteo Santinelli

Una separazione fertile se finalizzata alla ricerca dell’altra metà (ovvero dell’altro “salvatore”) consapevoli che una coesistenza senza sopraffazione può essere possibile. Come fece il Tevere, accogliendo nel suo fluire i gemelli fondatori di Roma insieme a Pietro e Paolo, che in quel fiume battezzarono i primi cristiani della metropoli edificata da Romolo e Remo. Una resa scenica questa della “Ecogla IV” di Virgilio di un’efficacia estetica ed emotiva potentissima.

Un altro magnifico esempio di potenza coreografica lo si trova nella scena che fa rivivere un passo dell’iscrizione augustea di Priene: qui la scelta registica fa sì che all’attore sia chiesto di assumere una postura plastica che, nella sua naturale eleganza, ricorda moltissimo “Il Pensatore” di Rodin.

Giorgio Sales, Giada Primiano, Matteo Santinelli e Roberta Azzarone

E ancora, come non rimanere catturati dalla potenza espressiva degli attori nella scena ispirata a “La Salomè” di Oscar Wilde? Qui la tensione emotiva raggiunge picchi energeticamente sanguigni, macbethiani !

Roberta Azzarone e Matteo Santinelli

Roberta Azzarone, Giorgio Sales e Giada Primiano

Roberta Azzarone, Giada Primiano e Giorgio Sales

Matteo Santinelli

E infine, ne “Il Vangelo secondo Pilato” di Éric-Emmanuel Schmitt, ricca in acume è la scelta del regista d’Alfonso di vestire “il suo” Pilato in tailleur bianco: il colore che contiene tutti i colori, il colore che non sceglie. Come fece Pilato. E la luce va a cercarlo: illuminandolo in tutta la sua interezza.

Giorgio Sales

I docufilm sono stati ideati dal Vicariato di Roma e curati dall’Ufficio per la pastorale universitaria e dall’Ufficio per la pastorale del tempo libero, del turismo e dello sport. In redazione Annalisa Maria Ceravolo, Claudio Tanturri e don Francesco Indelicato, direttore dell’Ufficio per la pastorale del tempo libero, del turismo e dello sport.

Andrea Lonardo

Il format dei due docufilm è pensato per quanti vivono quotidianamente la città e il centro storico, in particolar modo per gli studenti delle università romane, oltre che per pellegrini, turisti e guide turistiche.

Ma soprattutto i due docufilm nascono dall’esigenza di offrire a chiunque la possibilità di avere “chiari gli occhi e luminosa la mente per veder la meraviglia”. Quella lasciata da due magnifiche eredità: quella classica e quella cristiana. “Con tutta franchezza e senza impedimento”.


Recensione di Sonia Remoli


Recensione del libro di Massimo Recalcati A PUGNI CHIUSI Psicoanalisi del mondo contemporaneo

Feltrinelli Editore

Che cosa resta in noi dei traumi collettivi che ci hanno attraversato in questi ultimi venti anni ? Quanto ci hanno temprato e quanto, invece, hanno contribuito a lasciarci con i nervi scoperti ? Quale sarà l’eredità che lasceremo alle generazioni future?

In questo libro Massimo Recalcati, psicoanalista e saggista italiano, con affascinante chiarezza e audace profondità, esprime l’urgenza di riaprire il sipario sulla scenografia antropologica che ha caratterizzato “l’inverno del nostro scontento”: quello provocato in noi dagli eventi dell’ultimo ventennio.

In questi anni infatti si sono susseguiti, in un incredibilmente ristretto lasso di tempo, laceranti traumi: la grande crisi finanziaria, il terrorismo, la pandemia, la guerra. Recalcati riapre allora “le tende” del sipario facendo sentire la sua “voce” con la solennità propria di un testimone e con l’appassionata professionalità di chi sa individuarne ed analizzarne, con piglio “traumaticamente virtuoso”, le relative coreografie esistenziali.

Massimo Recalcati al Maxxi di Roma

(foto Musacchio-Iannello – courtesy Fondazione Maxxi)

Perché è da queste coreografie che hanno preso forma e corpo posture rigide, e quindi iper-protettive, verso i nostri confini personali. Ma quando “la vita si protegge dalla vita”, cioè diventa impermeabile all’incontro con l’Altro, “ci si incammina verso la dissoluzione”.

Ecco allora che l’analista e, in quanto tale, l’antropologo Recalcati può e deve uscire dalle pareti “isolate” del proprio studio, se è vero – come è vero – che l’interiorità dell’individuo non è mai da considerarsi a sé rispetto all’esterno in cui è immersa. Come scoprì Möbius attraverso l’elaborazione del suo nastro e teorizzò il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, attraverso i suoi studi sul rapporto tra psicologia individuale e società.

In questa continua osmosi tra esterno ed interno, anche le personalità politiche che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio preso qui in esame (da Berlusconi a Grillo, da Renzi a Mattarella, da Trump a Putin) risultano interessanti allo sguardo acuto e solerte di Massimo Recalcati. Ma non in quanto “persone”, ovvero come singole individualità da analizzare, bensì come “cifre simboliche del nostro tempo”.

Massimo Recalcati, Kum! , Ancona, Ottobre 2018

Parallelamente l’analista Recalcati si riconosce lui stesso come cittadino e la sua postura “a pugni chiusi” è proprio quella di chi sente l’urgenza di indignarsi, per resistere ai continui tentativi di abuso di potere sulle soggettività.

Un’indignazione che non ha nulla del capriccio ma piuttosto la grazia dello sdegno che storna l’onore e la concretezza del severo e deluso disprezzo.

Un’indignazione a cui allude anche l’immagine scelta per la copertina e “la pesantezza” luminosa delle tonalità. Ma proprio su quel bianco&nero così saturo, che esprime appieno tutto il pathos dei momenti di passaggio e di trasformazione radicale della nostra esistenza, svetta un colore che regala personalità ai caratteri del titolo: quel colore che rimanda al coraggio unito allo spirito di sacrificio.

È il giallo zafferano: l’arancione che Vasilij Kandinsky associava al temperamento proprio di un uomo sicuro della propria forza. Infatti – sosteneva – “è quasi un rosso ma più vicino all’umanità del giallo”. 

Massimo Recalcati, sempre attento alla resa iconografica dei suoi contenuti, sceglie per questo libro una copertina raffinatamente sagace, che trasmette tutta quell’audace intrepidità con la quale, come bambini, dovremmo porci. Andando così oltre le narrazioni che ci vengono riferite e sviluppando una nostra consapevolezza critica. Per osare inoltrarci attraverso ingressi celati. Ma percorribili. Insieme. Riattivando il nostro fiuto e il nostro desiderio. Ancora. 

Solo così, dopo aver attraversato quell’ “inverno del nostro scontento”, si potrà arrivare ad assaporare una “gloriosa estate”. È questo il messaggio augurale, dal carattere di “rivolta” e di “preghiera”, che qui, in A pugni chiusi. Psicoanalisi del mondo contemporaneo, Recalcati veicola.

Massimo Recalcati – psicoanalista e saggista –

Una “gloriosa estate” incentrata sul rispetto dell’umanizzazione della vita nonché sul rispetto del senso della Legge.

Due forme di rispetto che ci portano a sviluppare una libertà che non si sgancia mai dal senso di responsabilità e proprio per questo riesce a rivelarsi generativa di profonde passioni, di vere e proprie “vocazioni” talentuose, di desideri incandescenti.

Desideri che rompono quell’omeostasi nella quale stiamo tendendo a crogiolarci troppo e che finisce per condurci sempre più verso una cronica stanchezza e a successive tendenze depressive. Desideri quindi forieri di vitali soddisfazioni, a patto che non si incorra nella tentazione di legarli ad un oggetto. 

Massimo Recalcati – Arena di Verona –

Complice di questo nuovo scenario possibile, la Politica potrà tornare ad essere un punto di riferimento culturale di alto livello, al quale i giovani guarderanno ancora con fiducia. Un luogo, come già sosteneva Aristotele, capace di tenere insieme le differenze dei singoli, per il bene comune della città.

Una Politica capace, quindi, di fornire anche un’autentica testimonianza di come “saper tramontare”: la virtù delle virtù umane. Quella che ci spinge ad avere cura dell’Altro, oltre che di noi stessi. Perché “lo specchio” che conta davvero per ciascuno di noi non è quello che riflette narcisisticamente la nostra immagine. Ma quello dell’Altro, quello cioè della socialità: delle persone che amiamo e che stimiamo.

Massimo Recalcati


PROSSIME PRESENTAZIONI DEL LIBRO

18 Luglio Ospedaletti (IM)

4 Agosto Olbia

25 Agosto Albissola Marina (SV)

22 Settembre Genova


A PUGNI CHIUSI

IN TEATRO

Lectio

(foto Mara Zamuner)

Massimo Recalcati, reduce da quindici tutto esaurito al Teatro Carcano di Milano, ha portato e porterà sul palcoscenico (la prossima data sarà quella del 20 Luglio a Santo Stefano Magra (SP) presso la ex Ceramica Vaccari) una lectio con estratti del suo ultimo libro “A pugni chiusi” – edito da Feltrinelli.


Qui puoi guardare le interviste a Massimo Recalcati su questo libro:

Salone del Libro di Torino 2023

Rai News

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Recensione di Sonia Remoli


Recensione del libro PASOLINI Il fantasma dell’origine – di Massimo Recalcati

Feltrinelli – Prima edizione in “Varia” marzo 2022 –

Quello che avviene tra Massimo Recalcati e Pier Paolo Pasolini è un incontro che ha la caratura di un mistero, che fa vibrare la terra sotto i piedi e contrarre i nervi in spasmi. È l’incontro con il corpo morto di Pasolini quello da cui viene invaso il giovanissimo Recalcati . Come dopo una scossa traumatica, qualcosa arriva e sembra al di là di un possibile contenimento.

Pier Paolo Pasolini (1922 – 1975)

Invece ne nasce, in Recalcati, l’esigenza di assimilarne ed estroverterne l’energia, traducendola nella corporeità di una testimonianza. E allora ecco che i due il secondo appuntamento se lo danno nello stesso utero linguistico: quello del friulano, lingua comune a entrambe le madri. E’ infatti del 1978 la tesi di maturità di Recalcati Popolo e religione nell’opera di Pasolini. Una complicità la loro che, partita da una corporeità straziata, passa attraverso questa lingua “comune” per arrivare a decifrare quella “dimensione originaria” precedente il linguaggio, che ha costituito l’ossessione di Pasolini: quel “corpo intatto” della cui presenza fantasmatica è stato sempre preda. 

(© Federico Garolla – Bridgeman Images -)

Pier Paolo Pasolini e sua madre Susanna Colussi

In questo saggio (uscito nel 2022 in occasione dei cento anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini), Massimo Recalcati, psicoanalista, scrittore, docente universitario, fondatore di Jonas Italia e direttore dell’Istituto IRPA, sceglie di “rappresentare” il suo sguardo su Pasolini “portando in scena” una figura cara al teatro, qual è quella del “fantasma”: un’apparizione, uno spettro che, un po’ come quello dell’Amleto shakespeariano, condiziona profondamente l’esistenza e la poetica pasoliniana.

Massimo Recalcati

Etimologicamente la parola “fantasma” ci descrive un’immagine, un’entità, un pensiero che, per quanto sia percepibile, risulta però vuoto, sospeso in uno stato simile alla morte. Manca di vitalità, di fertilità, di corpo. Ecco allora che Massimo Recalcati, con appassionata lucidità, ci rivela come questa definizione “prenda corpo” nella persona e nel personaggio Pasolini. Un’ombra che, senza vibrare, riesce ad aver voce: spaventando e attraendo. Irresistibilmente.

Susanna Colussi e suo figlio Pier Paolo Pasolini

Qui in Pasolini, nell’intensa lettura di Recalcati, il fantasma “veste i panni” dell’ Origine. Un significante ed un significato che riverberano dall’estensione ancestrale di “un levarsi”, inteso come causa di un nascere. Una relazione con l’Origine, quella pasoliniana, che si cristallizza in una sorta di nostalgia opprimente e lacerante. Simbiotica.

Efficacissima la scelta della copertina: con quel graffio di una mano, artiglio bianco fantasmatico, che pare voler trattenere l’avanzare di Pasolini. Ma ancor più efficace la scelta dei colori. Solo sfumature di nero: un colore in perenne espansione e pronto ad inghiottire tutto. Elogio dell’eleganza e insieme espressione di quella mancanza, della quale si fa interprete il lutto. Quel lutto dell’Origine così difficile da elaborare per Pasolini.

Massimo Recalcati, Pasolini – Il fantasma dell’origine, Feltrinelli

Con il nero le cose sono sempre complicate: è una traduzione dell’assenza di luce. Mai totale, però: cromaticamente anche il Vantablack, il nero più assoluto, ne intrappola solo il 99,965 per cento dello spettro visivo. Inoltre, sia cosmologicamente che esistenzialmente è solo dal “buio” che può nascere la luce. E la copertina di questo libro, proprio nello scegliere una tecnica che ricorda quella del carboncino, sembra voler rappresentare l’elogio delle cose che possono avere un nuovo inizio. Ciò che il fuoco brucia può ancora essere causa (il carbone) di nuovi inizi. Mentre è in quelle sfumature di Kohl (la tinta caratteristica della polvere grigioscuro/nero dell’eyeliner degli egizi) e ancor più in quell’effetto fuliggine, che si ha il sentore di qualcosa che resta, quando tutto sembra essere andato perso. 

Massimo Recalcati

Un lavoro questo di Massimo Recalcati che, con la capacità esegetica che contraddistingue la limpidezza dei suoi percorsi mentali, dà vita ad una narrazione che ci restituisce un Pasolini appassionatamente “commovente” e “misterioso”.

Pier Paolo Pasolini e la sua mamma


Recensione di Sonia Remoli


Recensione dello spettacolo L’ODORE

TEATRO INDIA, 27 e 28 Maggio 2023

Cosa può un odore? Soprattutto quando l’odore è quello della persona amata? 

Cosa può succedere se un uomo recluso in cella continua a fiutare l’odore della sua donna fino ad esserne ossessionato, non potendola vedere se non raramente?

Monica Rogledi, l’interprete di Maria

Certe passioni particolarmente intense hanno il potere di far ribollire mente e corpo. Ed è quello che accade al protagonista di questo spettacolo, Anton (un appassionato ed enigmatico Blas Roca-Rey) condannato pubblicamente a quattro ergastoli e privatamente condannato a rimanere prigioniero del legame che lo unisce alla sua donna: Maria (una Monica Rogledi, ricca in raffinata passionalità).

Blas Roca-Rey, interprete di Anton

A nulla servirà il potere del racconto e della parola per sublimare la sconvolgente passione rievocata dall’odore di lei. Anton infatti si confiderà totalmente con il suo giovane compagno di cella, Andrea (il tempestoso messaggero Andrea Pittorino) ma le sue giornate, e ancor di più le sue notti, continueranno ad essere letteralmente invase dal carnale fantasma di Maria.

Andrea Pittorino (Andrea) e Blas Roca-Rey (Anton)

Non riuscendo più a tollerare la propria impotenza verso la condanna penale unita all’impotenza di poter indirizzare e quindi dare concretezza al suo fiuto erotizzante, Anton crederà di poter trovare un modo per dominare la situazione orchestrando un piano che farà del suo compagno di cella – promosso a un progetto rieducativo esterno – un insolito messaggero. E quindi, in qualche modo, un ponte tra lui e Maria. Ma per una eterogenesi dei fini la situazione sfuggirà ancora una volta dal controllo di Anton.

Una scena dello spettacolo “L’odore”, tratto dal testo di Rocco Familiari per la regia di Krzysztof Zanussi

Gli interpreti Blas Roca-Rey, Monica Rogledi, Andrea Pittorino e Gabriele Sisci (lo scrupoloso secondino del carcere) hanno saputo trovare, ognuno nell’universo microcosmico del proprio personaggio, una particolare lettura per poter rendere l’insolita poesia racchiusa in una passione di origine olfattiva, insieme ancestrale e metafisica. 

L’avvincente testo di Rocco Familiari unito all’intensa regia di Krzysztof Zanussi – che brilla per il raffinato utilizzo della tecnica cinematografica a teatro – danno vita, in questa versione ampliata dal contributo registico di Blas Roca-Rey, ad uno spettacolo intensamente evocativo dell’urgenza, tutta umana, di una relazione costante con i propri affetti. Pena il rischio di percorsi mentali ed emotivi deraglianti, lesivi della dignità umana di uomini e donne che per un periodo della loro vita si trovano a riabilitarsi in carcere per errori precedentemente commessi.

Lo spettacolo, risultato vincitore del Premio Flaiano 2022 per la miglior regia teatrale, costituisce l’occasione per portare al centro dell’attenzione pubblica ed istituzionale il drammatico tema della separazione affettiva dei reclusi dall’amore e la loro esclusione da affetti e famiglie, nucleo centrale della salute psicologica durante il soggiorno in carcere.

Il 26 Maggio scorso, in occasione della Giornata della legalità, il Teatro India ha anticipato la messa in scena di questo spettacolo con un Convegno pubblico sul tema della Sostenibilità come alternativa alla corruzione e sul Diritto all’affettività e alla sessualità in carcere. Il Convegno ha visto la partecipazione del Sindaco di Roma Roberto Gualtieri, Il Presidente della Regione Francesco Rocca e il Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati on.le Federico Mollicone.


L’odore

di Rocco Familiari
regia Krzysztof Zanussi
con Blas Roca-Rey, Monica Rogledi, Andrea Pittorino, Gabriele Sisci 
regista assistente Blas Roca-Rey


Recensione di Sonia Remoli


Recensione dello spettacolo THANKS FOR VASELINA – Carrozzeria Orfeo –

TEATRO VASCELLO, dal 16 al 28 Maggio 2023 –

Cosa si fa quando la vita ti prende a schiaffi e ti ritrovi sempre da solo? Quando nessuno ha cura di te, né riesce a dirti che ti vuole bene ? Neanche Dio, forse, “impegnato com’è a prendersi cura di sé in una vasca idromassaggio”. Si fa così: si coltiva e si dedicano cure ad un giardino segreto. Un giardino di ossitocina vegetale: l’ormone dell’amorevolezza.

Anche di questo ci parla “Thanks for vaselina”, l’iconico spettacolo scritto da Gabriele Di Luca e diretto da Gabriele Di Luca, Massimo Setti e Alessandro Tedeschi. Uno spettacolo che ha debuttato nel 2013 vincendo il premio del Last Seen 2013 di KLP come miglior spettacolo dell’anno e da cui poi nel 2023 è stato tratto “Thanks !” , il primo film di Gabriele Di Luca, prodotto da Casanova Multimedia, con nel cast Luca Zingaretti e Antonio Folletto. Successivamente nel 2020, per un anno, il film é stato su Netflix.

Quella che va in scena è un’umanità che nonostante tutto aspetta ancora di “essere riconosciuta”. Che non ha perso le speranze, nonostante le parole dicano altro. Ma è un’umanità che fa fatica a perdonare. E a perdonarsi. Un’umanità che sopravvive di olfatto: ci si annusa e ci si fida solo del proprio istinto. Spesso però, paradossalmente, non scevro da pregiudizi. Ma loro ne hanno coscienza. E mirabilmente sanno tenere insieme tutti gli elementi delle contraddizioni.

Il senso che invece faticano ad usare è il tatto: non osano accarezzare, abbracciare, toccare. Per loro significa quasi dare il fianco. È troppo pericoloso. Fa troppo male rimanere delusi. Tatto significa vasellina: quella “coccola” che si spalma per ammorbidire la pelle e che, lubrificandola, riesce a ridurre l’attrito di una subdola penetrazione. Anale. Un palliativo per “subire”, con una qualche parvenza di gentilezza, la violenza di un lasciarsi andare, permettendo di far spazio in noi a qualcosa e a qualcuno che in verità vuole solo fregarci.

“Un’inculata” preceduta dal chiedere cortesemente: “Vaselina?” E alla quale ci troviamo a rispondere, quasi riconoscenti: “Thanks for Vaselina”. Dove tutto, in realtà, è in quel “grazie”, che appone un sigillo di valore che immediatamente nobilita oggetto e soggetto. Gentile “riconoscenza”, di chi sa l’altezza vertiginosa a cui quel valore, se riconosciuto, si eleva.

Auspicano un riscatto sociale ma tendono a manipolarsi. E se ci sembrano ingenui quelli che scambiano il raggiro per un’autentica cura nei loro confronti, finiamo per scoprire, poi, che in realtà il rapporto vittima-carnefice viaggia a doppio senso.

Una narrazione, quella di Gabriele Di Luca, che per alcuni versi ricorda la poetica di Charles Bukowski: basata su uno schietto realismo che non cerca in nessun modo di andare a parare altrove. Uno stile, questo, che ci schiaffeggia, riportandoci a vedere il mondo da un’altra prospettiva. Ci afferra le gambe e ci riporta a terra.

Ma allo stesso tempo proprio questo stile ha la capacità di rivelare una poesia che non riusciamo a cogliere appieno se non quando qualcuno descrive la ferocia dell’esistenza nel modo più crudo possibile. Un esistenzialismo da capogiro: stra-ordinario, proprio per poter rendere la complessità dell’ordinario.

Uno spettacolo vivido e monumentale come un arazzo; livoroso, mordace, pungente, sferzante com’è la vita di un’umanità che coltiva idee da sballo. Ricche in creatività.

Un’umanità dilaniata dalla vita i cui frammenti dispersi, un po’ come quelli del corpo di Orfeo, noi del pubblico siamo invitati a raccogliere e, una volta riuniti, a dar loro una forma nuova. Proprio come farebbe una carrozzeria. Proprio come fa Carrozzeria Orfeo: creando e riparando. Grazie ad un fertile sguardo con il quale, progressivamente, riuscire a sostituire la misericordia alla vasellina.

Una compagnia, quella della Carrozzeria Orfeo che, con una vocazione quasi “sciamanica”, riesce a caricare su di sé la ferocia dell’esistere “incantando” il pubblico, fino a condurlo a compiere un viaggio dell’anima lungo gli oscuri sentieri della vita e quindi della morte. In una fusione di dionisiaco e di apollineo.


Recensione di Sonia Remoli


Recensione dello spettacolo DARWIN INCONSOLABILE (un pezzo per anime in pena) – di Lucia Calamaro

TEATRO INDIA, dal 23 al 28 Maggio 2023 –

La sensibilità e l’afflato di Lucia Calamaro fanno sì che dal buio prenda vita un’insolita “isola”, i cui costumi della specie che la abita possono essere interessanti da analizzare da parte di noi del pubblico.

Lucia Calamaro, autrice e regista dello spettacolo “Darwin inconsolabile”

Per una sera noi un pò come Charles Darwin (1809 – 1882): il biologo, naturalista, antropologo, geologo ed esploratore britannico – celebre per aver formulato la teoria dell’evoluzione delle specie vegetali e animali – che raccolse molti dei dati su cui basò la sua teoria, durante un viaggio intorno al mondo sulla nave HMS Beagle. In particolare durante la sua sosta alle Galápagos.

Charles Darwin (1809-1882)

Quella dello spettacolo di cui la Calamaro è autrice e regista è “un’isola” in cui una specie umana vive tra centro commerciale e casa. In cui si interpreta il contenuto del carrello della spesa un po’ come gli antichi greci consultavano l’oracolo di Delfi. La divinità qui è la plastica: immortale e sempiterna. Come Dio. 

Gioia Salvatori, Simona Senzacqua, Riccardo Goretti e Maria Grazia Sughi in una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile” al Teatro India di Roma

Da buoni osservatori non possiamo non notare come in questa “isola” ci siano problemi di “imprinting”: la mamma soffre perché i suoi tre figli (ormai adulti) non la seguono più. Ad esempio, sebbene lei sia “creazionista” e creda che tutti noi “siamo preda del fato”, sua figlia Gioia è attratta da “teorie trans-evoluzionistiche” che auspicano le unioni tra specie diverse tra loro.

Gioia Salvatori, la figlia trans evoluzionista

La mamma prova il tutto per tutto allora (in realtà ormai da anni) mettendo in atto un esperimento di “tanatosi”: si finge prossima alla morte, un atteggiamento strategico che gli animali utilizzano quando si trovano in pericolo. Gioia perde i sensi, ripetutamente; Serena se ne va tentando di affogare la (solita) strategia materna nel vino e Riccardo avverte la mamma di non andare oltre con la solita pagliacciata.

Maria Grazia Sughi, la madre

L’arguto testo della Calamaro intreccia a doppio filo quelli che sono i bizzarri comportamenti “etologici” della specie umana alle relative dinamiche psicologiche. L’idea di base è che tutto ciò che appare visibile è sempre il risultato di un processo nascosto. Una sorta di archeologia. 

Eduardo Urbano Merino, “Genetic neuropsychiatry

Tra stanislavskjismo e cristianesimo la madre “sembra” preoccuparsi solo ed esclusivamente se alle sue “messe in scena” di tanatosi i figli “ci credano” o meno. Ma cosa nasconde in realtà questo atteggiamento? Quanto bisogno abbiamo di essere amati, accarezzati, coccolati, presi in considerazione? Cosa siamo disposti a fare per ottenere “calore” da parte degli altri? Di cosa ci parla questo bisogno?

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma

Persa la capacità di relazionarci con gli Altri ma anche con la Natura che ci ospita, tendiamo a privilegiare atteggiamenti individualistici. E quindi egoistici: manipolatori. Ma il posto dove appoggiamo i piedi si muove tanto quanto quello che è sopra le nostre teste.

E a ricordarcelo è proprio Darwin: a mescolare e rimescolare continuamente la terra sono creature molto poco “considerate”, i vermi, i quali riescono a rendere “fertile” il rapporto con la terra grazie ad atti “performativi” piccoli e lenti ma costanti. Proprio come avviene per l’evoluzione degli esseri viventi sulla superficie della Terra.

I lombrichi, infatti, formano lo strato superiore del suolo – il terriccio vegetale fondamentale per la coltivazione – e poi vi depositano una gran quantità di terra fine, in forma di rigetti o deiezioni. Ciò che ci sembra così stabile ( il suolo) in realtà è l’effetto di un rimescolamento quasi invisibile.

Darwin era attirato da questa piccola ma costante “regolarità” d’azione, che porta a scendere verso il basso, nel terreno, pietre e rovine del passato. Ma anche uomini, se si pongono come ostacolo e non rispettano questo processo. Questa relazione con la Terra.

Simona Senzacqua, la figlia ostetrica, risucchiata dal timore per le nuove generazioni

Nella pagina iniziale del libro “L’azione dei vermi” – una delle opere meno note di Darwin, anche se all’epoca fu un vero e proprio successo editoriale e la sua diffusione fu superiore alla stessa “Origine della specie” – Darwin scrive una frase emblematica: “la massima de minimis lex non curat non si applica alla scienza”.

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile. Un pezzo per anime in pena” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma

Sono infatti gli effetti piccoli e cumulativi ad essere interessanti. Così come nelle relazioni umane.

Purtroppo ci siamo allontanati da questa direzione: “non stiamo facendo niente per noi e per gli altri” -sospira Gioia. “Quello che deve incombere, incomba” – ribatte la mamma “creazionista” .

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile. Un pezzo per anime in pena” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma

Ma forse si può ancora fare qualcosa per “consolare” Darwin e vivere meglio. Perché saranno quelli erroneamente definiti “stupidi” -cosi come tali vengono considerati i vermi- a sopravvivere e a permettere “una fertile” evoluzione della specie.

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile. Un pezzo per anime in pena” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma

Uno spettacolo pieno di ritmo: profondissimo e insieme esilarante. Grazie anche agli interpreti Riccardo Goretti, Gaia Salvatori, Simona Senzacqua e Maria Grazia Sughi che sanno come portare in scena, cioè con sapiente leggerezza, tutto il marcio delle nostre dinamiche familiari e sociali. 

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile. Un pezzo per anime in pena” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma


Recensione di Sonia Remoli


Recensione dello spettacolo EVERY BRILLIANT THING (Le cose per cui vale la pena vivere) di Duncan Macmillan – regia Fabrizio Arcuri e Filippo Nigro –

DOMUS AUREAParco Archeologico del ColosseoMOISAI 2023

In occasione dell’ultimo appuntamento della Rassegna “Moisai 2023 – Voci contemporanee in Domus Aurea” (dal 5 al 21 Maggio) ieri sera, dopo un’avvincente visita guidata alla Domus Aurea, siamo stati condotti all’interno della Sala Ottagona: la più scenografica, la più teatrale.

Sala Ottagona della Domus Aurea, luogo scenico della rappresentazione “Every brilliant thing” di Fabrizio Arcuri e Filippo Nigro

Per ciascuno dei 9 incontri ci si è affidati alla fertile ispirazione delle 9 Muse del mito. Ieri sera a insufflarci “forti cose pensar e mettere in versi” è stata la Musa Urania, che brilla astronomicamente sull’ora e sull’altrove e quindi sull’insieme dei momenti che compongono l’intera vita.

Uno degli interni della Domus Aurea nel Parco archeologico del Colosseo di Roma

Qualcosa di affascinante lega la Domus Aurea e la storia lì narrata ieri sera : “Every brilliant thing”(Le cose per cui vale la pena vivere).

Cosa lega il contenente e il contenuto?

La “damnatio memoriae”, ad esempio. La pena, cioè, che si usava ai tempi dell’antica Roma e che consisteva nel cancellare qualsiasi ricordo, qualsiasi traccia riguardante una determinata persona, come se non fosse mai esistita.

Questo accadde a Nerone: il suo ambizioso progetto di villa autocelebrativa – la Domus Aurea appunto – fu usata come fondamenta (e quindi sepolta ) per costruirvi sopra le Terme traianee.

Uno degli interni della Domus Aurea nel Parco archeologico del Colosseo di Roma

Qualcosa di simile rischia di capitare al protagonista della storia raccontata in “Every brilliant thing” : un bambino, poi divenuto adulto, che a suo modo combatte “la condanna” che sta cadendo su sua madre che, a causa di una depressione, tende cronicamente a suicidarsi.

Suo figlio, allora, temendo inconsciamente una “damnatio memoriae”, fa di tutto per salvare il valore della vita in generale (da qui il titolo), della vita di sua mamma e di conseguenza della propria. Non tutto andrà secondo i piani ma, così come avvenne per la Domus Aurea , anche il figlio nonostante tutto riuscirà a tenere insieme passato-presente-futuro. 

Uno degli interni della Domus Aurea nel Parco archeologico del Colosseo di Roma

Nel mentre s’attende il riempirsi della sala, lo stesso regista Fabrizio Arcuri, con sorriso sornione, ci consegna misteriosi foglietti dove sono scritte delle annotazioni.

Fabrizio Arcuri, regista dello spettacolo “Every brilliant thing”

E poi un uomo microfonato – l’ammaliante Filippo Nigro – entra e inizia a passeggiare tra noi. E ci guarda con accoglienza indagatrice.

Filippo Nigro, interprete e co-regista dello spettacolo “Every brilliant thing”

Ma poi, a schiaffo -cosi come entrano alcune esperienze nella nostra vita- arriva il suo attacco: “La lista !” . Sì, perché proprio la lista sarà la prova per la confutazione della “damnatio memoriae”, in quanto esprimerà le cose per cui vale la pena vivere.

L’ accattivante performance di narrazione di Filippo Nigro scopriremo avvalersi della complicità di alcuni spettatori, chiamati a dare corpo ad numerosi personaggi della storia. A schiaffo, ma con garbo, Nigro di volta in volta li avvicinerà: come l’imprevisto ci si avvicina, nel corso della nostra vita. 

Un momento dello spettacolo “Every brilliant thing” (Le cose per cui vale la pena vivere) in Domus Aurea a Roma

Fai parlare il tuo cuore ! ” : questo ciò che possiamo sentirci sussurrare in un orecchio dalla Musa Urania. Che cosa significhi “cuore” nessuno lo sa per certo, la sua stessa etimologia è sfuggente. Ma va bene così. Infatti ” l’oracolo” della Musa Urania allude al “far parlare” quel non so che, quel quid che ci risuona dentro e che esce da solo. Senza ragionarci sù. C’è già. Nasce da un mistero, è il frutto della nostra fulgente immaginazione.

Un momento dello spettacolo “Every brilliant thing” (Le cose per cui vale la pena vivere) in Domus Aurea a Roma

E’ il 1977 e il protagonista della storia ha solo 7 anni. Sua mamma ha tentato di togliersi la vita e lui non riesce a capire “perché”. Per aiutare la mamma ma soprattutto, pur non rendendosene conto, per evitare di “dimenticarsene” come è successo alla mamma, inizia a scrivere – interpretando a suo modo il “Fai parlare il tuo cuore” – una lista di risposte al “perche” vale la pena vivere.

Crescerà e continuerà ad integrare la lista, anche con la complicità della sua donna e di cari amici, fino ad arrivare a trovare un milione di motivi per cui vale la pena vivere.

Ma dopo continui tentativi succedutesi nel corso degli anni, un giorno sua mamma riesce a togliersi la vita. E lui crolla. A nulla serve, per sollevarlo dal suo stato di “down,” invitarlo a leggere la lista con i motivi per cui essere grato di vivere. La butterà nella spazzatura.

Troverà, questa volta, un altro modo per confrontarsi con la vita e con la morte: trovando le parole per dirlo ad altri che vivono la sua stessa difficoltà. Come sta facendo con noi.

La Sala Ottagona oggi e al tempo di Nerone nella Domus Aurea di Roma

Fino a scoprire che il segreto dei segreti sta nell’assaporare proprio quell’attesa speciale, così piena di mistero, così immersa in un’eccitante incertezza.

Come quella, ad esempio, che precede l’ascolto di un disco: toccarlo per estrarlo dalla copertina, posarlo sul piatto. E, appoggiata la puntina, iniziare a godersi quel fruscio confuso che precede l’inizio della melodia. Ecco, lì : quando la morte si bacia con la vita.

Uno spettacolo divino, così come solo l’uomo sa esserlo.

Ingresso al Parco archeologico del Colosseo dove si trova la Domus Aurea di Roma


Recensione di Sonia Remoli