La locandiera

TEATRO INDIA, 17 giugno ore 21.00 – 19 giugno ore 15.00 (maratona) – 20 giugno ore 21.00 –

“La locandiera” del regista Antonio Latella (Premio Ubu nel 2001 e Premio Gassman nel 2004) è un inno a ciò che di diverso, di “straniero” e quindi di unico brilla in ciascun personaggio. “Fra voi e me vi è qualche differenza”: così l’incipit allo spettacolo. Per esaltare ciò al massimo grado, Latella veste tutti i personaggi in maniera identica. Come dentro una divisa che li uniforma tutti: giacca nera, sotto-giacca nero, bermuda nero e calze nere che svettano, con più o meno audacia, da scarpe scure. Tutti: uomini e donne; servi e padroni.

Tutti si originano dalla stessa “forma”, dando vita però, ciascuno, a qualcosa di meravigliosamente diverso. È un “muro” di legno quello che delimita il proscenio. Forse, la porta della locanda. Al suo interno ospita due aperture, due “buchi della serratura”: quelli delle sagome vettoriali di un uomo e di una donna.

Da qui i personaggi si affacciano, sostano, si incastrano. Solo quando trovano il giusto impeto, sbucano, sfondano, oltrepassano “la forma”, rompono lo stampo che li unifica. Aprono. Si aprono. E quale migliore modalità di differenziazione esiste se non quella che si esprime nel sedurre, nel corteggiare?

Latella sceglie di mettere in scena allora una presentazione collettiva dei pretendenti della locandiera: come in una “giostra”, in una parata. Dove però tutti hanno già il loro “fazzoletto”: sarà la dama a scegliere se e da chi accettarlo. La locandiera: lei che “incatena, parla bene ed è di ottimo gusto”. Lei che “ha qualcosa di più delle altre: unisce gentilezza e decoro come nessuna mai”.

Il corteggiamento, la giostra, è fatta prevalentemente di parole. Ma se è vero che “il punto g” è nelle orecchie, è vero anche che la locandiera è una donna concreta: “mi piace l’arrosto. Del fumo non so che farmene … mio piacere è vedermi servita e vagheggiata”. Soprattutto “vagheggiata”: inseguita irresistibilmente nella sua volubilità.

Il suo gioco infatti sarà, almeno finché le sarà concesso, quello di scegliere di non scegliere. Quale piacere più grande si può ricavare, se non seducendo per farsi sedurre dal più scontroso e misogino degli ospiti della locanda? E poi lasciarlo andare. Rischiando. Ma non fino in fondo. Obbedendo, e forse lasciandosi schiacciare, dal consiglio paterno di sposare Fabrizio. Un’eredità, una “forma”, dalla quale la locandiera non riesce a plasmare qualcosa di diverso e quindi unico. Solo suo.

I giovani attori incantano lo spettatore dando prova di sapersi misurare in un originale uso dell’eredità dei frizzi e dei lazzi della commedia dell’arte. Sapendo punteggiare il mare di parole con accattivanti pause e dardeggianti sguardi. Delizioso contrappunto quello messo in scena dalle due commedianti Ortensia e Dejanira: nuove, fresche e conturbanti baccanti.

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