Recensione dello spettacolo ASCOLTA COME MI BATTE FORTE IL TUO CUORE di Wislawa Szymborska – con Maddalena Crippa – progetto e regia di Sergio Maifredi –

TEATRO VITTORIA, 27 Marzo 2023 –

In un effervescente Teatro Vittoria, si è tenuta ieri la serata inaugurale dell’anno dedicato a Wisława Szymborska (1923 -2012), in occasione del centenario dalla sua nascita. Ad aprire la serata la presentazione del progetto, nato due anni fa da un’idea di Andrea Ceccherelli (professore ordinario di slavistica presso l’Università di Bologna) e di Luigi Marinelli (professore ordinario di slavistica presso l’Università “La Sapienza” di Roma), da parte del regista Sergio Maifredi, curatore del progetto e dello spettacolo. Uomini, loro, tutti legati da grande amicizia a Pietro Marchesani, il traduttore per l’Italia delle opere di Wisława Szymborska, Premio Nobel per la Letteratura nel 1996.

Wisława Szymborska, poetessa Premio Nobel per la Letteratura nel 1996

Ospiti d’onore della serata, inoltre, il segretario personale della Szymborska Michał Rusinek (di cui ora gestisce la Fondazione) e la Direttrice dell’Istituto Polacco di Roma Adrianna Siennecka. L’evento inaugurale della serata rientra, infatti, nelle celebrazioni ufficiali indette dal Senato della Repubblica di Polonia.

Ultimate le presentazioni ufficiali, il calare delle luci in platea introduce il pubblico in sala all’immersione in un clima diverso: più intimo. A raggiungere il pianoforte a coda sul palco, è il pianista Michele Sganga, che per l’occasione ha composto una raccolta di brani dedicata all’energia vitale di Wisława Szymborska.

Michele Sganga, pianista dello spettacolo “Ascolta come mi batte forte il tuo cuore”

Un’opera variegata ma unitaria la sua, leggera e complessa, in cui movimento danzante e stasi contemplativa si rincorrono senza mai raggiungersi, in quel circolo vitale che è la danza stessa del reale. Due linee guida che il musicista, spinto da quel senso tutto szymborskiano di curiosa apertura al paradosso, segue e reinterpreta in modi diversi.

Sergio Maifredi, regista dello spettacolo “Ascolta come mi batte forte il tuo cuore”

La raffinata regia di Sergio Maifredi sceglie che prima che il maestro Sganga posi le sue mani sui tasti del pianoforte, entri in scena la commossa sensibilità dell’interprete Andrea Nicolini, con una rosa rossa, dal lungo gambo: omaggio e presenza stessa della poetessa. Con autentica sacralità, Nicolini la posa a terra: al centro della ribalta. “Che cosa penserebbe la Szymborska di questa nostra incontenibile gioia di ricordarla ?” – si chiede, traducendo ad alta voce i nostri pensieri. Magari direbbe, con quel sorriso reso unico dalla sua cordiale e brusca ironia, che “per caso” così tanti amici e sconosciuti si sono organizzati e dati appuntamento al Teatro Vittoria. E “cosa farà ora? Firmerà autografi, anche lì dove si trova, o si godrà una sigaretta ascoltando la sua adorata Ella Fitzgerald ?”.

Andrea Nicolini

A suggellamento di questo rituale oramai officiato, il pianista Michele Sganga trova quelle note che, sprigionandosi nell’aria, traducono e danno una qualche risposta alle nostre domande.

Ora la voce della Szymborska può “trovare scultura” attraverso la mirabile emissione vocale di Maddalena Crippa. Una lettura interpretativa, come l’avrebbe desiderata Lei, la nostra poetessa: scevra da toni solenni. Fluida, come pensata.

Maddalena Crippa

La regia di Maifredi prevede acutamente che anche Andrea Nicolini si sieda, lì sul palco, bagnato da una luce che rende sacro il suo ascolto. Successivamente si alternerà a Maddalena Crippa nella lettura, regalando un colore “a tutto tondo” al carteggio intercorso tra la Szymborska e il suo amato Kornel Filipowicz.

Wiesława Szymborską insieme a Kornel Filipowicz

Nella magia di un’incantevole serata della primavera romana, è andata in scena, nel “tempio” del Teatro Vittoria, la rievocazione di quel verso libero, tipico di Wiesława Szymborską. Così complesso eppure percepito in maniera così sorprendentemente semplice. Fruibile con agio da tutti: solo la genialità della poetessa premio Nobel è riuscita a cesellarlo. Come una miniaturista.

Wiesława Szymborską, da giovane

Perché dietro quell’arguta e succinta scelta delle parole si cela una profonda introspezione intellettuale. Una lirica filosofica la sua, dove si apprezza la bellezza della certezza ma di più quella dell’incertezza. Perché il destino, fino a che non è pronto a manifestarsi, “si diverte a giocare” con gli uomini. E allora la sua poesia è la meravigliosa e incantata espressione di un “non so”, al quale però ci si può aggrappare “come alla salvezza di un corrimano”.

Wiesława Szymborską insieme a Kornel Filipowicz

Perché, sebbene la parola “tutto” sia “solo un brandello di bufera”, il savoir-vivre cosmico esige da noi “un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal e una partecipazione stupita a questo gioco, con regole ignote”.

Wiesława Szymborską


Recensione di Sonia Remoli

Una storia semplice

TEATRO VITTORIA, dal 21 al 26 Marzo 2023 –

Che non si tratti di “una storia semplice” subito viene registicamente dichiarato dall’adattamento di Giovanni Anfuso . Il sipario si apre, infatti, su una scena buia dove gli attori, allineati su due diversi schieramenti, danno le spalle al pubblico. Si celano al loro sguardo. E se, una volta illuminati, si voltano lo fanno con fare losco, con sospetto. Come a difendersi. Ma da cosa? Dalle complicazioni, da scandagliare, insite nella ricerca della verità. E quindi della giustizia.

Giovanni Anfuso, il regista dello spettacolo “Una storia semplice”

A opporsi a questa prossemica, la postura aperta e solenne di Giuseppe Pambieri, voce narrante dell’autore. Entra in scena, infatti, declamando la frase di Dùrrenmatt che, a mo’ di prologo, anticipa condensandola in poche righe, l’ostinata fiducia sciasciana nel “pianeta uomo” (come ribadirà sul finale, a suggellamento):

“Ancora una volta voglio scandagliare

scrupolosamente le possibilità che

forse ancora restano alla giustizia”.

Giuseppe Pambieri (voce narrante dell’autore) in una scena dello spettacolo “Una vita semplice”

Pambieri sa come insistere, attraverso il gesto e la parola, sul valore umano e civile del concetto espresso dalla parola “ancora” (ripetuta, a breve distanza, ben due volte) facendosi luminoso portavoce, attraverso Dùrrenmatt, di quella resiliente poetica sciasciana eppure così consapevole della tentazione tutta umana a sviare dal corretto esercizio delle giustizia. Uno scetticismo “salutare” quello di Sciascia: il miglior antidoto, come era solito ribadire lui stesso, contro quel fanatismo ottimista che finisce per uccidere la libertà.

Leonardo Sciascia, Una storia semplice (1989)

D’altronde già la stessa parola contenuta nel titolo, “storia”, una delle più importanti della nostra lingua, non esprime un semplice concetto, bensì una narrazione. E, come tale, “la narrazione” si può caricare di molteplici significati, perché diversi possono essere gli sguardi, i punti di vista, su un evento.

… è un caso semplice, bisogna non farlo montare e sbrigarcela al più presto…non facciamo romanzi…”

E questa è la cifra più importante della nostra specie, della nostra ambivalente natura: quella “irriducibile disparità di punti di vista” che ci può far eccellere o che ci può condurre ad un perverso abbrutimento.

Il cast dello spettacolo” Una storia semplice” di Giovanni Anfuso

Il regista Anfuso gioca molto in questo suo adattamento sull’evidenziare le diverse narrazioni, i diversi punti di vista, tenendo un giusto equilibrio tra bene e male, tra serio e faceto, tra drammatica densità e necessaria leggerezza. Fedelmente al testo originale, Anfuso inscena una guerriglia tra quei personaggi che si ostinano a far sembrare “semplice” ciò che non lo è (sebbene appartenenti ad ambienti che dovrebbero ergersi a tutela della sicurezza dei corpi e delle anime) e quei personaggi che invece sanno dare voce ad un’ urgenza di approfondimento. Come il brigadiere Antonio Lagandara (un poetico Paolo Giovannucci) o il Professore Carmelo Franzò (sagacemente interpretato da Giuseppe Pambieri).

Guerriglia ben resa dal corpus attoriale in scena, che sa avvalersi di un opportuno utilizzo del ritmo: sottolineando efficacemente l’ossessività di alcuni atteggiamenti con un’ironica e scanzonata musicalità del suono e del movimento. Lo spettacolo si articola, infatti, dando vita esso stesso ad un affresco (complici le scene di Alessandro Chiti e i costumi di Isabella Rizza) raffigurante una “rutilante” umanità shakesperiana, ambiguamente devota ad alcune figure di santi.

Georges de La Tour, San Giuseppe falegname (1642)

La vicenda narrata viene infatti incastonata proprio nel giorno della vigilia della “sentitissima” festa dedicata a San Giuseppe falegname: il santo che rappresenta la dignità del lavoro. Ma non solo: anche il santo che rappresenta una particolare figura di “paternità”: non naturale ma che “si può scegliere”, come dirà “il figlio” dell’assassinato Giorgio Roccella. Perché sono i “padri” coloro che possono insegnare ai figli a interiorizzare il valore della “legge”, il suo carattere di necessario “limite”.

Busto di Sant’ Ignazio, ambito lombardo, XVII sec.

L’altro santo “complice” di questa “storia semplice” è Sant’Ignazio: il santo dall’intelletto “illuminato” e dall’ “intuizione” quasi infallibile, dietro il cui busto viene nascosto l’interruttore della luce del luogo in cui viene conservata la refurtiva. S

Un Santo solo apparentemente complice di un nascondimento, che infatti si rivelerà, al momento giusto, attraverso “un improvviso caso di sdoppiamento” pirandelliano: sarà proprio il commissario di polizia (un potentemente torbido Stefano Messina) a tradirsi attraverso un atto mancato. Inconsapevolmente rivelerà il posizionamento di questo interruttore “segreto”: un lapsus d’azione, come se “in quel momento fosse diventato il poliziotto che dava la caccia a se stesso”.

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, Natività dei santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, 1600

Inoltre è una tela raffigurante la “Natività dei santi Lorenzo e Francesco d’Assisi” del Caravaggio l’oggetto del desiderio innominato che spicca tra la refurtiva nascosta nella soffitta del diplomatico assassinato Giorgio Roccella e il cui furto, fatto di cronaca realmente accaduto a Palermo nell’ottobre del 1969, ha fortemente colpito la sensibilità di Leonardo Sciascia , tanto da costituire una forte ispirazione per questo suo ultimo racconto del 1989 (anno anche della sua morte).

Leonardo Sciascia (1921 – 1989)

Le arti figurative costituiscono un elemento importante per ben comprendere l’opera sciasciana. Ed è meravigliosa la soluzione scenografica finale (di Alessandro Chiti) di “riportare alla luce” la semplice maestosità della tela del Caravaggio, da dietro le sinistre – ma proprio per questo efficacissime – architetture che velano e svelano i retroscena dell’inquietante vicenda.

Leonardo Sciascia, illustrazione di ARGO | fb.com/argoimago

Uno splendido modo per tentare di sublimare il mancato ritrovamento della tela ma soprattutto per ricordare, sempre, un uomo divisivo e scomodo come pochi ma che dalla sua avversione contro i compromessi, verso la quale ci sentiamo sempre più spesso in debito, trae ancora oggi, a oltre 100 anni dalla nascita, la sua modernità. 

Gli amici di Peter

TEATRO VITTORIA, dal 5 al 15 Maggio 2022 –

“La verità non è facile da dire”.

Che cosa “ci accade” veramente? Che cosa vogliamo davvero?

Queste le domande sulle quali Stefano Messina, regista di una profonda e brillante commedia, sceglie di farci riflettere. Così come con elegante coerenza Alessandro Chiti, che ne cura la scenografia, riesce ad alludere con efficacia.

Ciò che ci appare chiaro e nitido in realtà non lo è. La verità, come sosteneva Arthur Schopenhauer, è ricoperta da un velo, difficile da attraversare. “Ci vuole arguzia” – sembra volerci suggerire il regista: ecco allora che in apertura dello spettacolo, a mo’ di prologo, la testa di un attore riesce ad individuare una feritoia e da lì sbuca, penetrando il velo del sipario. E così riusciranno a fare anche i suoi amici: acrobaticamente in verticale, sfruttandone morfologicamente l’opportunità.

Perché è con profonda leggerezza, complicità ed altruismo che possiamo riemergere da situazioni disperate, da “stagnaro ignaro”. C’è sempre un modo per “far benzina”, anche quando la macchina si arresta nel bosco: questo è il segreto nascosto nell’allegro e spensierato jungle da avanspettacolo che apre e chiude l’interessante adattamento proposto dal regista.

E dove i suoi attori, come “vecchi guitti”, sanno farsi coinvolgenti interpreti, calandosi nei diversi ruoli nei quali siamo chiamati “a giocare” ogni giorno. Tutti i giorni. Per tutta la vita.

Questa è casa mia

TEATRO VITTORIA, Dal 5 al 13 Aprile 2022 –

Un ragazzo, una sedia, una storia: non serve altro al talentuoso Alessandro Blasioli. E poi molto fumo: quello che continua ad avvolgere la storia della ricostruzione della città dell’Aquila, a tredici anni dal terremoto. E moltissime ombre: loro, forse, le vere protagoniste dello spettacolo, ben rese dal disegno di Marco Andreoli.

Ombre di cui si veste il fantasmagorico interprete Alessandro Blasioli: è lui ad interpretare tutti i personaggi della storia. Lasciandoci letteralmente di stucco. Questo giovane trentenne usa il proprio corpo e la propria voce con una versatilità tale da riuscire a portarci ovunque lui voglia. “Ci crediamo” sia quando sceglie di fare il ragazzino, che quando fa il novantaquattrenne, fino a quando entra nell’essenza della segretaria della hall dell’Hotel “Provence”. Quest’ultima sembra gestire l’ospitalità dei terremotati com’era prassi nella “famosa casa di cura” di Dino Buzzati.

E per tutto lo spettacolo Blasioli tiene un ritmo serratissimo e insieme pieno di insospettate variazioni, da non lasciarti distrarre nemmeno per un attimo. E poi le parole: lui le pronuncia così plasticamente che immediatamente ti fa vedere l’immagine, o l’atmosfera di una determinata situazione. E allora basta la complicità di una luce di taglio e del garrito fuori campo dei gabbiani, per far entrare anche noi del pubblico nella scena della finestra aperta sulla spiaggia. Oppure per seguirlo nelle sue esplorazioni notturne, nel buio totale degli edifici terremotati, illuminato sinistramente solo da una torcia sotto al viso.

Di Alessandro Blasioli tutto recita, in una continua metamorfosi dall’elegante al grottesco, dal canto al ballo. Un brillante esempio di Teatro Civile e di Narrazione, proposto da un giovane eclettico, capace di fare fuochi d’artificio sulla scena.