Gli amici di Peter

TEATRO VITTORIA, dal 5 al 15 Maggio 2022 –

“La verità non è facile da dire”.

Che cosa “ci accade” veramente? Che cosa vogliamo davvero?

Queste le domande sulle quali Stefano Messina, regista di una profonda e brillante commedia, sceglie di farci riflettere. Così come con elegante coerenza Alessandro Chiti, che ne cura la scenografia, riesce ad alludere con efficacia.

Ciò che ci appare chiaro e nitido in realtà non lo è. La verità, come sosteneva Arthur Schopenhauer, è ricoperta da un velo, difficile da attraversare. “Ci vuole arguzia” – sembra volerci suggerire il regista: ecco allora che in apertura dello spettacolo, a mo’ di prologo, la testa di un attore riesce ad individuare una feritoia e da lì sbuca, penetrando il velo del sipario. E così riusciranno a fare anche i suoi amici: acrobaticamente in verticale, sfruttandone morfologicamente l’opportunità.

Perché è con profonda leggerezza, complicità ed altruismo che possiamo riemergere da situazioni disperate, da “stagnaro ignaro”. C’è sempre un modo per “far benzina”, anche quando la macchina si arresta nel bosco: questo è il segreto nascosto nell’allegro e spensierato jungle da avanspettacolo che apre e chiude l’interessante adattamento proposto dal regista.

E dove i suoi attori, come “vecchi guitti”, sanno farsi coinvolgenti interpreti, calandosi nei diversi ruoli nei quali siamo chiamati “a giocare” ogni giorno. Tutti i giorni. Per tutta la vita.

La classe

TEATRO QUIRINO, dal 19 al 24 Aprile 2022 –

Società per Attori   Accademia Perduta Romagna Teatri   Goldenart Production
presentano


LA CLASSE


di Vincenzo Manna
regia GIUSEPPE MARINI

con
CLAUDIO CASADIO  ANDREA PAOLOTTI  BRENNO PLACIDO
EDOARDO FRULLINI  VALENTINA CARLI  ANDREA MONNO
CECILIA D’AMICO  GIULIA PAOLETTI

scene Alessandro Chiti

costumi Laura Fantuzzo
musiche Paolo Coletta
light designer Javier Delle Monache

regia GIUSEPPE MARINI

Siamo davvero così al sicuro in “una classe” ? A che prezzo ?

Un giovane insegnante di Storia (un ardente in entusiasmo Andrea Paolotti) si trova in aula quelli che sono risultati i peggiori della “classe” (gli esplosivi Brenno Placido, Edoardo Frullini, Valentina Carli, Andrea Monno, Cecilia d’Amico, Giulia Paoletti), i più in-disciplinati, gli in-classificabili e, come tali, relegati “fuori dalle mura” di una convenzionale nomenclatura scolastica. Microcosmo di un più ampio macrocosmo: quello che coinvolge la città, tesa prepotentemente a “separare” quello zoo di umanità diversa che non è più sufficiente relegare vicino al fiume e che si sta confinando dentro alte mura.

Ma “classificare” significa davvero mettere ordine?

All’apertura del sipario, il regista Giuseppe Marini ci presenta una duplice situazione: uno spazio chiaro e definito, quello del proscenio, e poi uno spazio retrostante (delimitato da un velatino) nebuloso, oscuro, confuso.

Dal proscenio avanza il Coro (un intenso Claudio Casadio), a dare avvio allo spettacolo con un insolito e arguto Proemio, incentrato su una metafora zootecnica: quella del comportamento delle galline, una “classe” così insospettatamente simile a noi uomini. Appartengono le galline al genere dei volatili ma non sanno volare: non solo a causa delle loro ali troppo piccole ma anche perché vivono nel “sospetto”. Cercano una vita tranquilla e per questo vivono in gruppo, organizzate in ruoli ben definiti. Appena qualcosa esce fuori dai confini di quella che loro hanno individuato come “normalità”, il gruppo diventa crudelmente razzista. Ad esempio, se una gallina si ammala si inizia a bullizzarla: beccandola. Continuamente. Fino a condurla verso la morte. A quel punto, se riescono, la portano definitivamente “fuori”; altrimenti è il gruppo delle “sane” a spostarsi. Lo fanno per “proteggere” il gruppo della malattia.

Il velatino se ne va e ci si rivela un’aula dallo stile architettonico razionalista, al cui interno regna il caos. Le pareti imbrattate e ingiallite di ombre e di polvere ricordano le “Delocazioni” di Claudio Parmiggiani; fogli di carta e libri, ormai stracciati, perdono il loro posto sui banchi per finire a terra, a costituire un nuovo pavimento, calpestato con noncuranza. Mutano le funzioni dei banchi, sui quali ci si siede, e delle sedie divenute poggia-piedi. Entrambi pronti ad essere ripetutamente cavopolti, rovesciati.

Una scenografia, quella di Alessandro Chiti, che sa rendere con efficacia, anche estetica, il taglio che il regista Claudio Marini ha scelto di dare allo spettacolo e che può essere racchiuso nello scambio di battute tra l’insegnante e un’allieva: -“Hai visto gli altri?” -“Chi sono gli altri?”

Uno spettacolo attualissimo, profondo, elegantemente crudo, accattivante. 

Interessante la struttura narrativa: una successione di quadri temporali ed iconografici, costruiti quasi come capitoli di un libro. Salvato dall’essere stracciato e buttato a terra. Un libro che ci invita a liberarci dai sospetti, “aperto” alle diversità e quindi alla libera espressione del nostro desiderio. Il solo che ci rende divinamente umani: capaci di “volare” .