Recensione dello spettacolo IL SUPERMASCHIO – regia di Marco Corsucci

L’ Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico alla Pelanda

LA PELANDA – Mattatoio – 27 Aprile 2023 –

PROVA APERTA

Tutor del progetto: Antonio Latella

Regista: Marco Corsucci

Interprete: Andrea Dante Benazzo

Dramaturg: Federico Bellini Scena: Giuseppe Stellato Luci: Simone De Angelis Suono: Federico Mezzana Video: Igor Renzetti Consulenza costumi: Graziella Pepe Fonico: Akira Callea Scalise Sarta di scena: Loredana Spadoni Direttore di Scena: Alberto Rossi


Lo spettacolo è vincitore “ex-equo” del Premio Andrea Camilleri 2022

indetto dall’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”

e debutterà in prima nazionale il 30 giugno 2023 al 66° Festival dei Due Mondi di Spoleto


In un’interessante costruzione di “teatro nel teatro”, il regista Marco Corsucci fa del pubblico gli invitati alla riunione che il “suo” André, protagonista del romanzo “Il Supermaschio” di Alfred Jarry, convoca per parlare d’amore.

Ma non è un “simposio” platonico: qui si parla solo di capacità prestazionali. Solo maschili. Solo di un’ élite di “atleti”.

Ma non solo: in una geniale struttura che si articola per cerchi concentrici, dal sapore di un esperimento ma anche di un documentario oltre che di una rappresentazione di teatro nel teatro, chi ci accoglie e fa gli onori di casa, “invita” coloro tra noi che sono di genere femminile, o che tali si sentono, a prendere posto in un determinato settore della sala, metaforicamente anche mente del protagonista: quello di sinistra, luogo mentale dove dominano le funzioni di calcolo. Fuori da ogni contaminazione emotiva, ciò su cui ci si deve concentrare è esclusivamente il calcolo delle prestazioni.

Come se non bastasse collocare il pubblico femminile in un emisfero della mente del protagonista “scomodo” al femminile ma propio per questo meno pericoloso, anche prossemicamente le femmine sono coinvolte nella riunione stando “al di là” della realtà rappresentativa. Ciò che i maschi vedono “dal vivo”, loro lo vedono indirettamente.

O non lo vedono affatto: come avviene per la prova “atletica” dei coiti multipli. Quella da record. Quella solo da maschi. Di maschi. A loro è permesso (solo) “ascoltare”. Sì sa: gli uomini vivono con gli occhi. Le donne, però, sanno usare molto bene anche le orecchie: organo di senso dalla potente densità shakespeariana, capace di dare carne all’immaginazione. E possono “leggere” l’espressività non verbale degli invitati maschili.

E quindi ciò che voleva essere “un confinio” finisce per essere, forse, un’accattivante modalità di esperire.

Ma ciò che è davvero importante è celebrare l’apoteosi del Supermaschio: un maschio che è “super” ma teme la diversità femminile; un maschio che è “super” ma vive solo di approvazione. Un maschio che è “super” perché non si vuole “contaminare” con lo sporco insito nelle emozioni che danno una continua mutevole forma all’amore. E quindi non si specchia. Con l’ Altro.

Il Supermaschio, come il migliore dei meccanismi, è ricco in prestazione ma privo di passionalità, di carattere, di umanità. È un deserto.

Ma qui arriva un altro spiazzamento: il Supermaschio di Marco Corsucci è un candido. Quasi un alieno dal male, anche quando lo fa. E brilla in naturalezza il “suo” dolce e ingenuo André: l’interprete Andrea Dante Benazzo.


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo CIRANO DEVE MORIRE di Leonardo Manzan e Rocco Placidi – regia di Leonardo Manzan

TEATRO VASCELLO, Dal 22 Novembre al 4 Dicembre 2022 –

Spettacolo vincitore del Bando Biennale College indetto dalla Biennale Teatro di Venezia 2018

Ci aspettano: abitano una “costruzione” edificata in un teatro nudo, dove tutto è a vista, senza le “omissioni” delle quinte (le scene sono di Giuseppe Stellato). Debbono dirci qualcosa: vogliono “mettere a nudo” una storia. Quella sul triangolo amoroso tra Cyrano-Rossana-Cristiano. È la prossemica che hanno scelto per aspettarci a parlarcene: Rossana in alto, al vertice di quel triangolo di cui Cyrano e Cristiano sono i due angoli alla base.

Scena di “Cirano deve morire” al momento dell’ingresso in sala dello spettatore

Ma questa volta è ad una narrazione “politicamente scorretta” che dobbiamo prepararci: fuori da ogni perbenismo e da una visione manichea che distingua nettamente il bene dal male. Fuori da soluzioni confezionate. Univoche. Ingannevoli. Complice un disegno luci spregiudicato: un insieme di raggi fendenti e penetranti come spade (disegno di Simone De Angelis, esecuzione di Giuseppe Incurvati). 

La riscrittura del “Cyrano de Bergerac” di Edmond Rostand ordita dal talentuoso regista Leonardo Manzan, affiancato nella drammaturgia da Rocco Placidi, mette alla prova i consolidati equilibri che sorreggono la celebre storia, osando andare oltre i confini di certi codici “omologanti”.

Leonardo Manzan, il regista di “Cirano deve morire”

Qui si sposa il punto di vista di Rossana (una poeticamente accattivante Paola Giannini), unica sopravvissuta alla storia e che di questa pesantezza non fa più un ingombro ma l’occasione per uno sguardo nuovo: dall’ “alto” della sua posizione e con il conquistato distacco, tutta la storia può essere rivista.

Paola Giannini, la Rossana in “Cirano deve morire”

È quella di Manzan una Rossana che ammicca all’arguta “Locandiera” di Goldoni, risoluta nello scendere in campo per ribellarsi alla “solita” narrazione che fa di Cyrano solo il simbolo dell’ eroe allergico all’ipocrisia e di Cristiano un delizioso sfortunato. Scopriremo, dal suo punto di vista invece, come Cristiano (un magnetico Giusto Cucchiarini) sia l’esempio del “bello che non balla”

Giusto Cucchiaini il Cristiano in”Cirano deve morire”

e Cirano (il poeta maledetto Alessandro Bay Rossi) un uomo che della propria diversità fisiognomica fa un muro dietro al quale trincerarsi. Un po’ come canta Roberto Vecchioni nella sua “Rossana Rossana”: “Col cuore dentro il naso … nelle mani soltanto stelle rotte, l’ombra perduta tra i rami…che brutta eternità desiderarti e non averti mai…aprivo solo la bocca, facevo finta forte e ti ho bagnato d’amore” .

Alessandro Bay Rossi, il Cirano in “Cirano deve morire”

Insomma un Cirano che si blocca ad una (apparentemente) generosa simbiosi con Cristiano, dove quella che chiamano “finzione” si riduce ad una “minzione”. Un uomo, Cirano, che non va oltre la sublimazione inchiostrata delle proprie emozioni. Ma l’inchiostro “si secca” e non produce nulla di fertile. Da qui il titolo iconoclasta: “Cirano deve morire”.

Perché scrivere “ti amo” vale solo se è il momento che anticipa il “segno” di un gesto intrepido. Perché in realtà a Cirano non manca tanto la bellezza, quanto la capacità di “perdere il controllo” e di misurarsi con la follia dell’amore. Che non fa sempre rima.

Efficace poi la scelta di tradurre e veicolare questa nuova “weltanschauung” attraverso la musicalità metrica e l’attrazione per le rime caratteristiche del linguaggio rap. Naturale effetto di questa nuova traduzione è che il lavoro assuma la modalità di un “concerto”, di un gareggiare musicale: un concept album supportato dalle musiche originali del dj Filippo Lilli direttamente sul palco. Raffinatissimo e molto efficace il contrasto antico-moderno dei costumi (sono curati da Graziella Pepe).

Il cast di “Cirano deve morire” con il dj Filippo Lilli

Una prova di teatro coraggiosamente interessante, costruita senza l’ossessione di andare incontro al beneplacito della critica.

Un nuovo orizzonte quello aperto da Leonardo Manzan, che sa portare a “singolar tenzone” teatro e musica rap.


CIRANO DEVE MORIRE

di Leonardo ManzanRocco Placidi
regia Leonardo Manzan
con Paola GianniniAlessandro Bay RossiGiusto Cucchiarini 
musiche originali di Franco Visioli e Alessandro Levrero eseguite dal vivo da Filippo Lilli     

fonico Valerio Massi

luci Simone De Angelis eseguite da Giuseppe Incurvati 

scene Giuseppe Stellato 

costumi Graziella Pepe

produzione de La Biennale di Venezia nell’ambito del progetto Biennale College Teatro – Registi Under 30 con la direzione artistica di Antonio Latella
produzione nuovo allestimento 2022 La Fabbrica dell’Attore – Teatro VascelloElledieffeFondazione Teatro della Toscana


Recensione di Sonia Remoli

Glory Wall

TEATRO VASCELLO, Dal 10 al 15 Maggio 2022 –

Immaginate un muro bianco che delimita il proscenio: una quarta parete che chiude, e quindi censura, la scatola teatrale, impedendo la visione e l’interazione globale con l’attore. Nessun regista, ne’ tecnici a garanzia.

Sopperite alle mancanze con le risorse della vostra immaginazione: dove vedete un singolo foro da cui sbuca una bocca aperta o un braccio, immaginate l’intero corpo dell’attore. Moltiplicate per mille un foro e con l’aiuto della fantasia createvi uno spazio dove corpi pulsanti, interagiscano liberamente.

E, a questo fine, permettete a quel che resta del Coro di entrare in questa storia nelle vesti di un prologo digitato sul muro e di ascoltare con benevola pazienza i paradossi che vi saranno presentati. E con molta arguzia giudicarli.

Questo è il potere dell’arte: ” …perché uno spettacolo sulla censura, la censura lo censura”. 

“Quando la Biennale Teatro 2020 mi ha commissionato uno spettacolo sulla censura, mi sono trovato davanti ad un muro” – dice Leonardo Manzan, il regista che con “Glory Wall” si è aggiudicato il premio Miglior spettacolo.

Manzan non sceglie mezze misure ma la pura provocazione, il muro contro muro, alludendo così al corpo contro corpo. Utilizza cioè un approccio che parte dalla serietà, passa per la ridicolizzazione e arriva alla dissacrazione, al fine di poter vivere e far vivere davvero il tema della censura.

Da qui la scelta di coprire, chiudere, censurare il palco con un muro sulla quarta parete per spostare tutta l’attenzione sul pubblico. Nascondendogli di proposito il corpo dell’attore e negandogli la garanzia del lavoro di creazione ordinata del regista e dei tecnici.

Scegliere di proporre uno spettacolo che si svolge dietro ad un muro, significa iniziare a sperimentare la necessità di perdere, almeno un po’, il controllo sulla situazione. Il risultato che arriva è quello di sentirsi più importanti e più liberi: effetti collaterali della censura.

Uno spettacolo “scomodo” nel senso letterale del termine: dove si mette in difficoltà sia l’attore che lo spettatore. Un gioco sì ma un gioco serio, radicale, intelligente, ironico. Perché quando si censurano gli altri, si sta censurando anche se stessi.

E allora tutto si riduce a frammentarietà: il corpo si riduce a piccole parti anatomiche (bocche, dita, braccia, ecc.) che interagiscono con il pubblico da liberi frammenti di vuoto: i piccoli fori del muro. Senza la libertà, caotica e quindi anche angosciosa, del vuoto creativo che scatena l’immaginazione, la fruibilità della realtà si riduce a un’ordinata sterilizzazione.

“Ma noi, vogliamo fare davvero quello che possiamo?”. Vogliamo immergerci nel caos, aperti, in attesa di essere accesi? “Qualcuno ha da accendere?”