TEATRO VASCELLO, Dal 10 al 15 Maggio 2022 –

Immaginate un muro bianco che delimita il proscenio: una quarta parete che chiude, e quindi censura, la scatola teatrale, impedendo la visione e l’interazione globale con l’attore. Nessun regista, ne’ tecnici a garanzia.

Sopperite alle mancanze con le risorse della vostra immaginazione: dove vedete un singolo foro da cui sbuca una bocca aperta o un braccio, immaginate l’intero corpo dell’attore. Moltiplicate per mille un foro e con l’aiuto della fantasia createvi uno spazio dove corpi pulsanti, interagiscano liberamente.
E, a questo fine, permettete a quel che resta del Coro di entrare in questa storia nelle vesti di un prologo digitato sul muro e di ascoltare con benevola pazienza i paradossi che vi saranno presentati. E con molta arguzia giudicarli.

Questo è il potere dell’arte: ” …perché uno spettacolo sulla censura, la censura lo censura”.
“Quando la Biennale Teatro 2020 mi ha commissionato uno spettacolo sulla censura, mi sono trovato davanti ad un muro” – dice Leonardo Manzan, il regista che con “Glory Wall” si è aggiudicato il premio Miglior spettacolo.
Manzan non sceglie mezze misure ma la pura provocazione, il muro contro muro, alludendo così al corpo contro corpo. Utilizza cioè un approccio che parte dalla serietà, passa per la ridicolizzazione e arriva alla dissacrazione, al fine di poter vivere e far vivere davvero il tema della censura.

Da qui la scelta di coprire, chiudere, censurare il palco con un muro sulla quarta parete per spostare tutta l’attenzione sul pubblico. Nascondendogli di proposito il corpo dell’attore e negandogli la garanzia del lavoro di creazione ordinata del regista e dei tecnici.
Scegliere di proporre uno spettacolo che si svolge dietro ad un muro, significa iniziare a sperimentare la necessità di perdere, almeno un po’, il controllo sulla situazione. Il risultato che arriva è quello di sentirsi più importanti e più liberi: effetti collaterali della censura.
Uno spettacolo “scomodo” nel senso letterale del termine: dove si mette in difficoltà sia l’attore che lo spettatore. Un gioco sì ma un gioco serio, radicale, intelligente, ironico. Perché quando si censurano gli altri, si sta censurando anche se stessi.

E allora tutto si riduce a frammentarietà: il corpo si riduce a piccole parti anatomiche (bocche, dita, braccia, ecc.) che interagiscono con il pubblico da liberi frammenti di vuoto: i piccoli fori del muro. Senza la libertà, caotica e quindi anche angosciosa, del vuoto creativo che scatena l’immaginazione, la fruibilità della realtà si riduce a un’ordinata sterilizzazione.
“Ma noi, vogliamo fare davvero quello che possiamo?”. Vogliamo immergerci nel caos, aperti, in attesa di essere accesi? “Qualcuno ha da accendere?”
