Recensione dello spettacolo GIUSTO di e con Rosario Lisma

TEATRO BASILICA, dal 14 al 17 Dicembre 2023 –

Che differenza c’è tra chi si isola – prendendo le distanze da tutto e da tutti – e chi invece è disposto a qualsiasi cosa pur di entrare a fare parte di un gruppo?

Nessuna: sono due posture esistenziali che esprimono, in maniera diversa, quanto sia difficile entrare in un’autentica relazione con l’Altro.

Dipinti di Gregorio Giannota (da Tapulin)

Un po’ come le balene osservate con metafisica ironia da Gregorio Giannotta: visualizzazioni di un mondo di contraddizioni e di compresenze non dirigibili, non prevedibili.

Qui, le opere di Giannotta dedicate specificamente alla narrazione di Lisma s’intrecciano ad essa quale drammaturgia iconografica. Sono contraddizioni sociali che ora si mescolano a improbabili personaggi, caricaturalmente avvolti in ruoli ed etichette.

Rosario Lisma (Giusto) e Gigliola (detta la Balena) - illustrazione di Gregorio Giannotta

E pensare che l’Altro è la nostra “condizione” esistenziale. Nessuno di noi può “farsi da solo”: per parlare di noi stessi, per definirci, necessariamente dobbiamo parlare degli altri.

Come fa Giusto, il protagonista principale del monologo  polifonico di Rosario Lisma: per raccontarci tutte le sue disavventure esistenziali, insomma per parlare di sé, non può prescindere dal parlarci della sua famiglia, dei suoi colleghi di lavoro, dei suoi coinquilini, dei suoi desideri segreti.

Anche il suo stesso nome, come quello di ognuno di noi, è un nome scelto da altri: i genitori. Che lo caricano di un destino fantasmatico fatto delle “loro” aspettative. Di più: qui il nome “Giusto” è un errore di comprensione – e quindi di traduzione – dell’impiegato dell’anagrafe. 

E quindi: chi è davvero Giusto? Chi siamo noi al di là  dei desideri con cui i nostri genitori ci hanno messo al mondo? Qual è la nostra libertà ? Quanto può essere affascinante scoprirlo?

E’ così affascinante da portarci ad avere la consapevolezza di dire ” non lo so”: non so chi voglio essere. Laddove infatti “avere le idee chiare” sembra essere l’unico lasciapassare capace di traghettarci verso l’avere successo nella vita, tutti in verità – come accade anche a Giusto – ad un certo punto della nostra vita scopriamo che non siamo  più così sicuri di cosa vogliamo essere. Di cosa significhi davvero “essere realizzati”. Di cosa significhi essere “giusti”. Di come questo “disegno” cambi nel tempo i suoi profili.

Nel momento in cui facciamo esperienza di lasciarci andare per entrare in relazione con qualcuno e permettiamo ai nostri confini di essere porosi e non impermeabili, allora scopriamo che è  proprio l’Altro a rivelarsi decisamente prezioso per aiutarci a conoscere noi stessi.

Deve però crearsi un incontro “erotico”, come direbbe Massimo Recalcati: non una sottomissione. Bensì un venire a contatto con qualcuno che riesca a “tradurci” qualcosa di estremamente autentico di noi che fino a quel momento ci risultava incomprensibile, come una lingua straniera.

Giusto è, come spesso accade, così poco incline a rendere meno impermeabili i propri confini – così da poter riuscire ad integrarsi, con sana curiosità, nel mondo degli altri – da aver bisogno di una spinta “chimica”. Ma solo inizialmente: poi, avendo scoperto che i propri confini oltre che separarci dagli altri possono essere un luogo dove potersi incontrare, resterà piacevolmente affascinato dal dubbio di non sapere più chi veramente lui sia. E poter così, finalmente, iniziare a desiderare desiderare.

Rosario Lisma ha la capacità rara di scrivere e poi interpretare con fresca eleganza poetica.

Con provocante tenerezza ci parla di noi e di come può essere attraente vivere insieme agli altri, nonostante tutte le nostre fragilità e le nostre paure, vestite da altere sicurezze.

Un solletico il suo che oltre ad essere un invito alla socialità è anche un invito politico.

E questo deve e può fare con successo il Teatro. Come quello di Rosario Lisma.


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo QUESTA NON E’ CASA MIA di e con Giulia Trippetta

TEATRO BASILICA, dal 7 al 10 Dicembre 2023 –

Quando si diventa adulti ?

Che tipo di rito di formazione hanno attraversato i Millennial ? Su quale “terreno” sociale e politico sono cresciuti ?

Su queste domande ci interroga e ci invita a riflettere il graffiante monologo – scritto, diretto e interpretato dalla caleidoscopica Giulia Trippetta – fino a ieri in scena al Teatro Basilica.

Una generazione, la sua, apparentemente con il massimo delle opportunità. Ma vista più da vicino, che generazione è ? Di quali dubbi e di quali certezze si è nutrita?

Che futuro siamo stati in grado di offrire come Paese e cosa sono diventati i rappresentanti di questa generazione? Perché sono loro il nostro futuro più prossimo.

Giulia Trippetta

Con carismatica duttilità Giulia Trippetta dà forma ad una sua personalissima “narrazione di formazione” dove, parlando del proprio microcosmo, ci rimanda il riflesso del macrocosmo nel quale affondano le sue radici.

Un macrocosmo che ha perso la riconoscenza verso il valore sacro dell’unicità, della diversità irripetibile di ciascuna persona. Il paese di fantasia che tra finzione e realtà le dà i natali si chiama Fossoperduto: un “nome omen” dove “i fossi”, e quindi i confini personali, sono andati persi. Dove tutti si permettono di giudicare tutto, quasi fosse un nuovo perverso “cogito” : giudico quindi sono. 

Giulia Trippetta

E lei crede, e convive, con quello che le dicono le amiche e le sue parti interiori. Assediata, si lascia sabotare: lascia che gli altri, ma anche lei stessa, minino le sue mura. Ma l’autostima si sa: è un dono sociale; gli altri possono nutrirla.

Un giorno arriva la svolta: la recisione dei ponti. Seguiranno avventure e sventure, come avviene ad ogni “eroe” in formazione. Ma qualcosa non va: non ne nasce un’evoluzione, una vera formazione. Essere libera è ancora più difficile che essere sottomessa al giudizio degli altri. Cerca, ma non trova, quella capacità di desiderare sufficientemente solida per dare frutto. Oltre che per resistere.

Gioia Trippetta

Fino a che prepotentemente inizia a farsi spazio quell’insensibilità ai morsi di qualsiasi passione: “piuttosto che fare una cosa bene, meglio farne tante male “. Ma ciò che fa tanta paura fino a paralizzare può raggiungere anche la potenza improvvisa di un’energia soffocante. Nonostante tutto la protagonista non si arrende: non ha ancora capito in che direzione cercare quella che può essere “la sua casa” ma continua a cercare.

Soprattutto se stessa: chi è davvero, nel bene e nel male. E a regalarsi comunque rispetto: per il proprio corpo e per la propria interiorità. Consapevole, ora, che fuori di sé l’attende una società “liquida”: che non riesce più a trattenere e a dare densità e corpo a degli autentici valori. Se non quelli legati alla rivoluzione digitale: che avanza veloce senza curarsi delle difficoltà di adattamento delle menti umane.

Il risultato è che i 30enni di oggi sono i 18enni di un tempo: impantanati nel “dovrei”. E che non riuscendo ad orientarsi per capire “come si vive”, rischiano di marcire.

Così, protetti e avvolti nel limbo di una pellicola di domopak, in attesa di essere presi in considerazione, rischiano di fare muffa.

Teatro Basilica

Ma la muffa – come ricorda programmaticamente questa stagione del Teatro Basilica – è uno dei microorganismi più resistenti, in grado di sopravvivere anche nelle situazioni più avverse. È un fungo microscopico che aiuta la natura a decomporre ciò che è morto, per ridargli vita. In un passaggio dall’ordinario, allo straordinario.

Una prova attoriale, quella della 34enne Giulia Trippetta, davvero piena di “spezie”. Preziose. Più della “giada”.


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo LA DANZA DELLE OMISSIONI di Alessandro Serra

TEATRO BASILICA, 28 Novembre 2023 –

“La danza delle omissioni” è lo spettacolo di Alessandro Serra che ieri pomeriggio è andato in scena al Teatro Basilica. In forma di dono: un saggio di autenticità; un’offerta agli spettatori che emerge in tutto il suo rilievo umano e morale. Finanche spirituale: di tale natura infatti è per Serra l’avventura teatrale.

Prova ne è anche “La danza delle omissioni”: un “distillato” della sua precedente “La Tempesta” di Shakespeare – come lo ha definito Guido Di Palma, che con Serra ha dialogato al termine dello spettacolo. Un’operazione di separazione della diverse “sostanze” dalla miscela del tutto. Per estrarre il meglio: la parte nobile, spirituale. Ciò che si cerca davvero.

Ecco allora che questa messa in scena risulta scevra dei ricchi costumi, della mirabolante scenografia, degli oggetti di scena e della drammaturgia luminosa che abbiamo visto ne “La Tempesta”.

È nuda e insieme metafisica, nel rispetto della prima regola del teatro, secondo Alessandro Serra: il Teatro è l’Attore. E agli spettatori si chiede – come era solito fare Shakespeare :”sopperite alle nostre deficienze con le risorse della vostra mente… con l’aiuto della fantasia”.

Alessandro Serra

Qui, gli attori infatti sono vestiti di una seconda pelle indifferenziata (per tutti camicia bianca e pantaloni neri) per affidare la caratterizzazione di ciascuno di loro ad una diversa partitura musicale. Una specifica partitura di voce e gesto. 

Così, dal buio, prende vita il rito ancestrale racchiuso in “un indegno tavolato”: un territorio segnato. Fin dall’inizio tutti gli attori sono in scena. Dentro o fuori dal territorio segnato. Al centro lo spiritello Ariel, in un crescendo di evocazione e possessione, origina ed è il caos della tempesta: contenente e contenuto. Qui, è lui a passare dal tremare al gonfiarsi come telo, quasi a levitarsi, fino a volteggiare e a vorticare.

Coloro che Ariel ha fatto naufragare, mantenendoli illesi, sono ora nelle sue mani. Letteralmente: come marionette gestite da un burattinaio. Oppure animati dal suo zefiro. O ancora quali scattanti pupazzetti ubbidienti alla sua carica.

A Caliban è affidata una doppia partitura: parla una lingua “chiusa”, vicina al ringhiare e al rantolare degli animali ma poi – snaturato da Miranda – parla anche una lingua molto più “aperta”, fatta di sillabe e vocali allungate, vicina a quella dei presunti “normali”. Lo definiscono “il mostro”, perché diverso da loro. Ma così irresistibilmente affascinante e libero da doverlo predare, per poi esporlo a pagamento. Un’opera d’arte da offuscare.

Caliban invece è colto da autentica meraviglia nel vedere persone diverse da sé: è il più predisposto ad entrare con loro nella relazione, rinunciando ad una pretesa libertà assoluta e mitigando l’istinto alla sopraffazione, che tutti ci accomuna. Per natura.

Anche lo spazio scenico ci parla di questa demarcazione tra il territorio segnato e il fuori, che spesso nel corso dello spettacolo perde di rigidità diventando follemente osmotico.

E proprio la difficoltà umana dell’entrate in relazione con l’altro è, forse, il distillato che ci offre questa “Danza delle omissioni”. Distillato suggerito anche nella poetica scelta del titolo: quel movimento dell’oscillare della danza – quel procedere che non esclude l’indietreggiare – necessario per passare oltre i nostri confini, oltre i nostri pregiudizi. Omettendoli.

È la potenza del perdono di Prospero. È il meraviglioso senso di libertà del pianto di Antonio. È la bellezza sublime dell’ “esporsi”, mostrando – finalmente liberi – le proprie ferite segrete.

È il gettare indietro il bouquet da parte di Miranda: invito a nuove unioni, a nuove relazioni.

Perché “per fare meta e andare avanti si deve passare la palla indietro”.

Mirabile la forza espressiva a tutto tondo di alcuni freeze: potentissimi altorilievi. È la scultura del tempo e dello spazio, è il talento degli attori a sostegno del vuoto.

È la regia: quella di Alessandro Serra. 

Alessandro Serra


Questo spettacolo offerto da Alessandro Serra e dal Teatro Basilica e il relativo dialogo con il regista appartengono al ciclo di incontri Artigiani di una tradizione vivente nell’ambito del progetto Le lacrime della Duse – Il patrimonio immateriale dell’attore.

Il progetto – di grande valore artistico – nato per recuperare l’antica cultura artigiana del teatro che punta a preservare e valorizzare il patrimonio immateriale dei saperi teatrali, dopo il primo ciclo di formazione teatrale e drammaturgica per giovani attori under 35 curata da Glauco Mauri, inaugura ora il secondo step dedicato agli “Artigiani della tradizione vivente”, un ciclo di incontri con grandi attori e attrici della tradizione teatrale condotti da Guido Di Palma.

La cultura teatrale non può essere affidata solo alla scrittura e tantomeno ai video – afferma il Prof. Guido Di Palma – essa vive principalmente nella presenza e nelle relazioni delle persone che la agiscono.  Per questo le residenze didattiche universitarie sono pensate come un luogo di scambio. Passato e presente s’incrociano in uno spazio protetto affinché i saperi teatrali non vengano dimenticati e possano essere rivivificati nell’incontro tra generazioni. Per questo, nel quadro della Terza Missione universitaria, la Sapienza sostiene il progetto Le lacrime della Duse”.

Guido Di Palma

I prossimi appuntamenti vedranno protagonisti: 

venerdì 1° dicembre ore 16:00 Mimmo Cuticchio (Teatro Ateneo)

lunedì 4 dicembre ore 16:00 Lino Musella (Vetrerie Sciarra).


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo THE HANDMAID’S TALE – Il racconto dell’Ancella – di Margaret Atwood – regia di Graziano Piazza

TEATRO BASILICA, dal 13 al 16 Aprile 2023 –

Nell’adattamento di Graziano Piazza, “The Handmaid’s Tale – Il racconto dell’ancella” si apre con un Prologo sul prezioso valore di una “storia” e del suo “istor”, cioè “colui che ha visto”. 

Graziano Piazza, regista de “Handmaid’s Tale- Il racconto dell’ancella”

Una “storia”, infatti, sia che riguardi fatti umani realmente accaduti o anche invenzioni della fantasia, è molto probabilmente la cifra più importante della nostra specie, ciò che ci differenzia dal resto dell’universo. Perché una “storia” permette di mantenere la memoria; di apprendere da ciò che i nostri simili hanno fatto in passato e di ripercorrere quale sia stata la successione cronologica e il perché di umane vicissitudini.

Viola Graziosi, protagonista del monologo “Handmaid’s Tale- Il racconto dell’ancella”

Nel Prologo, di tutto ciò parla una giovane donna dei nostri giorni (una magnetica Viola Graziosi). Lo fa attraverso un megafono: il suo però non è un discorso dai toni enfatici di chi sta partecipando ad un evento. No, la sua assomiglia più ad una confessione che è insieme anche un avvertimento. È il suo, un tono che ci predispone ad attivare il prezioso istinto della paura, segnale che ci avvisa della necessità di uno stato di allerta.

Viola Graziosi, protagonista del monologo “Handmaid’s Tale- Il racconto dell’ancella”

La “sua” storia, la giovane donna, ci confessa che continua a ripeterla nella sua mente: per non dimenticarla, visto che lì dove sta ora non è permesso scrivere. Ma una “storia” per essere tale, non può rimanere nei confini ristretti di una sola mente: deve essere raccontata a qualcuno. Questa è anche l’essenza del teatro, la sua ontologia. Il suo valore terapeutico: etico, politico e civile. La giovane donna lascia, allora, il megafono e si fa a noi vicina. Ci guarda: sembra incredula. Siamo tanti. Siamo tutti disposti ad ascoltarla. Il racconto della “storia” dell’ancella può avere inizio. 

Nel suo adattamento de “Il racconto dell’ancella”, Graziano Piazza individua e seleziona i passi più intensi dell’omonimo romanzo distopico (1986) di Margaret Atwood, una delle voci più note della narrativa e della poesia canadese, dal quale Harold Pinter ha tratto la sceneggiatura per il film omonimo, diretto da Volker Schlöndorff (1990)

Filo conduttore dell’opera è quello del “cosa accadrebbe se…” ma la Atwood sceglie di non inserire nel romanzo invenzioni fantasiose o eventi irreali, bensì fatti già avvenuti e comportamenti umani già messi in pratica in altre epoche o paesi, concatenandoli tra loro. Ne scaturisce così “la storia” di Paesi che alla fine del ventesimo secolo, si trovano nell’emergenza di trovare una soluzione alle conseguenze di una guerra mondiale che vede le rivolte interne fuori controllo, l’inquinamento a livelli insostenibili e la tossicità delle scorie radioattive causa di un tasso di natalità prossimo allo zero. I capi di Stato allora si accordano su un patto che lascia ai singoli governi la libertà di gestire la crisi, attuando ogni provvedimento ritenuto necessario. 

Margaret Atwood

Nel Nord America (nel Maine), ad esempio, un regime totalitario di stampo teocratico sale al potere con un colpo di stato dando vita a “La Repubblica di Galaad” che, arbitrariamente si ispira alla Bibbia, per regolare le dinamiche sociali. Ne deriva che illegale è ogni altra confessione religiosa; illegali sono i libri, la musica e ogni attività non conforme all’orientamento conservatore del regime. Per dare una soluzione definitiva alla riduzione delle nascite, invece, i galaadiani decidono di destinare le donne fertili alla procreazione a prescindere dalle singole volontà.

Viola Graziosi, protagonista del monologo “Handmaid’s Tale- Il racconto dell’ancella”

Nella Genesi, infatti, quando Rachele dice a Giacobbe che non può avere figli, aggiunge: «Ecco la mia serva Bila: unisciti a lei, così che partorisca sulle mie ginocchia e abbia anch’io una mia prole per mezzo di lei». Dall’esempio della serva Bila nasce la figura dell’ancella.

Viola Graziosi, protagonista del monologo “Handmaid’s Tale- Il racconto dell’ancella”

Una Viola Graziosi piena di grazia è qui anche l’ancella: di lei tutto parla. Anche quando non si muove. Anche quando nel suo racconto, sempre carico di un pathos che rifugge dagli eccessi, semina feconde pause. Un raffinato disegno luci e delle sonorità ambiguamente inquietanti fanno da efficace contrappunto alla sua narrazione. La scena è essenziale ma potente, incisiva.

Viola Graziosi, protagonista del monologo “Handmaid’s Tale- Il racconto dell’ancella”

L’adattamento del testo focalizza l’attenzione non solo sulla pericolosa deriva in cui possono incorrere i diritti umani e la libera espressione di una volontà critica ma anche sull’inumana mancanza di solidarietà tra donne. In particolare, ma non solo, la scelta delle “zie” (le donne che nel sistema piramidale della Repubblica di Galaad avevano la funzione di aguzzine) a perpetrare violenze fisiche e manipolazioni psicologiche sulle ancelle, al fine di spegnere in loro ogni sussulto di desiderio e di libero rispetto della propria volontà. 

Viola Graziosi, protagonista del monologo “Handmaid’s Tale- Il racconto dell’ancella

Suggella la narrazione della “storia”, un Epilogo della giovane donna del Prologo che ora si pone prossemicamente in comunione con noi del pubblico. Non si rivolge più a noi dal fondo del palco, parlandoci attraverso il megafono; ora, grazie alla capacità terapeutica del raccontare e grazie al nostro attento e commosso ascolto, si sente libera di avvicinarsi e di sedersi, a terra, sulla ribalta, come tra chi si è instaurata una relazione di “fertile” complicità umana. E conclude il suo commento con una splendida riflessione sul potere del perdono.


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo COSTELLAZIONI di Nick Payne – regia di Raphael Tobia Vogel –

TEATRO BASILICA, dal 24 Gennaio al 5 Febbraio 2023 –

Un sipario di buio permette l’epifania di due esseri viventi: un uomo e una donna. Complice la luce: generatrice di architetture e paesaggi luminosi (le scene sono di Nicolas Bovey). In principio era una moltitudine di proiettori spot (alle luci Paolo Casati) che iniziano col dare forma a possibili colonne di un tempietto greco, dallo stile non identificabile in quanto lasciato al caos. Perché solo dal caos possono generarsi autentici “incontri”

Pietro Micci e Elena Lietti in una scena dello spettacolo “Costellazioni” di Raphael Tobia Vogel

Ci siamo mai soffermati a considerare quante diverse intenzioni possono avere le nostre parole? E, di conseguenza, quante reazioni diverse possono solleticare nell’Altro ? Nella fisica qualcosa di simile trova una forma nella “Teoria delle stringhe”.

Elena Lietti e Pietro Micci in una scena dello spettacolo “Costellazioni” di Raphael Tobia Vogel

E ancora: in quanti modi si può attrarre l’attenzione di qualcuno che ci interessa? In quanti modi si può essere “artefici” di “un incontro” ? Elena e Pietro, i due protagonisti di questo spettacolo, ce ne mostrano svariati attraversando l’interessante testo del drammaturgo inglese Nick Payne, che coniuga la teoria del caos (in cui è immerso il tempo) ai sentimenti . Tutte le varianti però gravitano attorno ad un mistero (e quindi di nuovo immerse nel caos): “dicono che nei gomiti sia nascosta l’origine dell’immortalità e riuscendo a leccarseli si diventa immortali”. Cosa c’è di più efficace di un enigma così seducentemente magico per far cadere in noi ogni barriera, ogni sovrastruttura, provocandoci quel tipo di risata complice che permette di arrivare alle presentazioni?

Pietro Micci e Elena Lietti in una scena dello spettacolo “Costellazioni” di Raphael Tobia Vogel

Elena, lei la più propositiva, si occupa di cosmologia. Lui, Pietro, più riluttante, è un apicoltore. Sembrano apparentemente interessi lontanissimi ma, a ben guardare, i due si occupano della stessa cosa: come la cosmologia studia l’origine e l’evolversi dell’universo, anche l’apicoltura in qualche modo lo fa. Nel “suo microcosmo” anche Pietro si interessa alla capacità genitrice (impollinatrice) delle api, che si attivano in primavera e in inverno si ritirano momentaneamente, dando vita a una “cosmologia terrestre”.

Pietro Micci e Elena Lietti in una scena dello spettacolo “Costellazioni” di Raphael Tobia Vogel

Lo spettacolo prosegue analizzando con acume giocoso in quante situazioni della nostra vita si verifica questo pluralismo di intendere e di volere. Di come anche noi diamo origine ad una “cosmologia umana”. La cui spiegazione non può essere lineare.

Pietro Micci e Elena Lietti in una scena dello spettacolo “Costellazioni” di Raphael Tobia Vogel

Merito dello spettacolo, e quindi della regia di Raphael Tobia Vogel, è quello di rendere con la massima concretezza la bellezza, a volte tremendamente normale, dei fenomeni più astratti che sono così parte di noi. E che come tali vanno accolti: ce lo ricordava già Dante nel ritenere che l’intelletto si rincantuccia nella verità come una bestiolina nella tana ( Paradiso IV). E così non poteva trattenersi dall’urgenza d’inventare nuovi verbi. Ricordate “inluiarsi” ? E “accarnare” ?

Raphael Tobia Vogel, il regista dello spettacolo “Costellazioni”

Un gioco stupefacente quello che ci invita a prendere sul serio il regista. Un gioco di grande fascino: una drammaturgia aperta. Infinita. Come le possibilità del Caso.

Intensa e seducente l’interpretazione dei due attori, Pietro Micci e Elena Lietti – vincitrice del Premio Nazionale Franco Enriquez 2022 come miglior attrice per questo spettacolo – chiamati a confrontarsi con le molteplici versioni dei loro personaggi. Attraversando la commedia fino al dramma. Repentinamente. Com’è nella vita. Com’è nel cosmo. Siamo come costellazioni: aggregati di stelle che danno vita a figure immaginarie, alle quali gli astronomi danno nomi di uomini, di animali…

Elena Lietti e Pietro Micci in un momento degli interminabili applausi


Recensione di Sonia Remoli