Recensione dello spettacolo 7 MINUTI di Stefano Massini – regia di Claudio Boccaccini

TEATRO VITTORIA, dal 12 al 24 Marzo 2024 –

Che cos’è una ristrutturazione?

E’ davvero un “nuovo piano di recupero”?

E in un “recupero” che cosa si porta in salvo del passato? 

Quante posture è possibile tenere davanti al “nuovo” che vuole entrare, davanti a “cravatte” che rischiano di stringere (a poco a poco) il collo a centinaia di risorse umane? 

Chi sono davvero queste 11 lavoratrici elette dal resto delle dipendenti? 

“Gente” o “bestie”? 

Compagne che si dividono il pane, o nemiche che se lo tolgono? 

Donne che “marcano il territorio” o che si lasciano “marchiare” da un logo forte ?

Ispirato ad una storia realmente accaduta nel 2012 in una fabbrica tessile dell’Alta Loira, il provocatorio e quindi fertile testo di Stefano Massini “Sette minuti” mette in scena  undici rappresentati di un Consiglio di fabbrica chiamate a votare “sì o no” all’unica – e apparentemente innocua – richiesta della nuova proprietà a fronte del mantener salvi i posti di lavoro.

Ma mentre la Portavoce delle rappresentanti (una mirabilmente intensa Viviana Toniolo) continua ad essere trattenuta ore e ore in una riunione con la nuova proprietà, tra le 10 rappresentanti in attesa del suo rientro i livelli di ansia diventano così insostenibili e la sensazione di pericolo così appiccicosa da far affiorare in superficie quell’istinto alla sopraffazione, che tutti ci costituisce. Antropologicamente.

Viviana Toniolo (la Portavoce)

Ecco allora che il sospetto del possibile nemico s’insinua perversamente contaminando tutti coloro che sembrano “diversi”, “stranieri” e quindi pericolosi in quanto altro da sé stessi. Sospetti cadono sulla Portavoce – che magari in questa interminabile convocazione sta portando in salvo solo se stessa – ma anche, per i motivi più vari ma sempre riferiti a un pregiudizio legato alla diversità, su ciascuna delle rappresentanti. Ritrovandosi improvvisamente catapultate in una realtà hobbesiana da homo homini lupus.

Perché ciò che davvero si teme possa “chiudersi” è lo stomaco. E se lavorare serve primariamente per poter mangiare, come nel regno animale, pericolosa diventa allora la distanza che intercorre tra lo stomaco e la testa: tra chi pensa e tra chi è pragmatico, tra le operaie e le impiegate, tra chi lavora ai telai, chi alla cardatura e chi alle tinte.  

Ma sarà proprio vero che un’idea è solo “una cosa d’aria” e quindi non vale la pena farsi domande?

Mentre “il tempo fila via”, le risorse umane si rivelano invece preziose anche, anzi soprattutto, se pensano. Perché occorre un raffinato lavoro di cura per mantenere in salvo ciò che ci è caro. Non “dal” nuovo ma “nel” nuovo.  

Stefano Massini, l’autore di “7 minuti”

Stefano Massini, da sempre attento al potere della parola e agli effetti che sprigiona nelle relazioni umane, già qui – e poi nell’altro suo testo del 2016 “Lavoro” – fa veicolare l’ambiguità  racchiusa nel significato etimologico della parola “lavoro”: da un lato il significato di “fatica”, dall’altro quello di “dare alla luce” e quindi “creare”.

E’ la Portavoce a sentire, a qualche livello, che può essere importante seminare fertili dubbi là dove tutto sembra così ovvio. E quindi così sterile. Come essere convinti che rinunciare a 7 minuti di pausa sia ben poca cosa, se in cambio viene accordata la possibilità di non perdere il posto di lavoro.

Insinuare il dubbio solletica il vissuto di ciascuna lavoratrice rendendole inclini a raccontarsi: a tentare di mettere insieme tutte quelle personali esigenze, scaturite da ferite esistenziali, che hanno dato forma ai loro vissuti. 

Perché il raccontarsi – che trova nel Teatro il suo luogo d’eccellenza – dà voce a tutta la nostra splendida e fragile dignità di esseri umani. E ci rende immensi.

Il dubbio demiurgicamente veicolato dall’acuta Viviana Toniolo è espressione di un’attitudine socratica alla maieutica, a quel metodo cioè inaugurato da Socrate che permette all’interlocutore di “partorire” la verità. La “sua” verità. Perché la verità più che unica è molteplice. 

Claudio Boccaccini, il regista

Sebbene infatti sia riconoscibile tra le reazioni delle rappresentanti un tema comune, emergono fecondamente e ferocemente delle variazioni, dei dubbi, che la sagace regia del regista Claudio Boccaccini compone e scompone in un contrappunto di raffinate drammaturgie. Permettendo così allo spettatore sia di spiare dall’esterno la vicenda, che di fondervisi all’interno.

Boccaccini coglie il colore dei ritmi dei diversi respiri esistenziali e li restituisce allo spettatore con una persuasività che arriva al di là della comprensione razionale.  E’ – quello che il regista traduce – un contrappunto emotivo che pungola lo spettatore attraverso una drammaturgia delle ombre che sa legarsi alla giustapposizione cromatica delle vocalità (per affinità o per contrasto); all’iconografia delle posture e  all’elegante ossessività degli interventi musicali (le musiche originali sono d Massimiliano Pace).

Un’efferata sinfonia registica che si nutre di tutta la magnifica drammaticità delle singole individualità che – seppur parti indispensabili e accordabili di una coralità – costituiscono la cruda autenticità dell’umano stare al mondo.

Il cast al completo

Le undici interpreti sulla scena – Viviana Toniolo, Silvia Brogi, Liliana Randi, Chiara Bonome, Chiara David, Francesca Di Meglio, Mariné Galstyan, Ashai Lombardo Arop, Maria Lomurno, Daniela Moccia, Sina Sebastiani trasformano in ritmo il tingere, il tessere, il cardare e il fare di conto del proprio respiro esistenziale, regalando vita ad un affresco antropologico magnificamente barbarico.

Una messinscena capace di comunicare, come nelle intenzioni dell’autore, “l’utero di immagini” all’interno del quale si è generato lo svolgimento testuale.

Proprio come in “un teatro politico di poesia”.


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI di Sigmund Freud – di e con Stefano Massini

TEATRO ARGENTINA, dal 5 al 21 Dicembre 2023

Conoscere se stessi è da sempre un’esigenza che tende a prendere le sembianze di un desiderio segreto: fatica ad esprimersi manifestamente, tanto è “proibito” il contenuto del desiderare. 

Acutamente allora Stefano Massini, che con questo spettacolo sceglie di mettere in scena le dinamiche oniriche della nostra psiche, fa aprire la rappresentazione proprio a lui: il Desiderio.

Eccolo: sbuca da un lato del palco/psiche e attraversa con passo sinuoso il proscenio, per poi appostarsi in un altro lato. E’ un’affascinante donna. Veste un abito dalle nuove linee fluide proprie dello stile Liberty. Ed è  tinto di mistero e di passione (i costumi e le maschere sono curati da Elena Bianchini).

Ci irretisce: ci porta dalla sua parte, ci seduce.  Complice la sua voce insinuosa, solleticante, pungente e ossessiva: quella che ci sta traducendo il suo violino (Rachele Innocenti sulle note di Enrico Fink). E che risuonerà ancora, serpeggiando, lungo la messinscena.

Tutto si mescola, tutto si trasforma, all’interno delle nostre emozioni, delle nostre pulsioni, della nostra memoria: oltre ad avvertirlo, lo vediamo rappresentato sulla scena. Il caos che abita i sogni è visualizzato anche da una proiezione tridimensionale sul fondale: fondo del nostro sguardo interiore (le scene, curate da Marco Rossi, riproducono opere pittoriche di Walter Sardonini).

Uno sguardo spesso in bilico tra la nostra tentazione a tarparlo e quella a guardare, solleticati proprio dalla sua enigmaticità. Qui visualizzata da fiotti di fumo intrisi di ambigui richiami, musicati dal trombone e dalle tastiere di Saverio Zacchei e dalle chitarre di Damiano Terzoni . Sempre sulle note di Enrico Fink.

ph Filippo Manzini

“C’è qualcosa di terribile e al tempo stesso splendido nell’attimo in cui decidiamo di guardarci dentro”: con queste parole  Stefano Massini commenta l’entrata in scena del Desiderio e le sensazioni da esso provocate.

Quando riusciamo ad avvicinarci alla “geografia” più autentica di noi stessi, così tumultuosa e disordinata, così accattivante e lacerante, qualcosa ci tenta però ad allontanarcene. Un dubbio ci attanaglia: “ma poi gli altri cosa diranno di me?”.

E così, troppo spesso, si torna ad indossare la nostra rassicurante (ma insoddisfacente) maschera sociale. Lo dice il “progresso”: se lo si segue, si è inseriti, accettati, protetti. Ma nonostante la nostra tensione a uniformarci, poi però pretendiamo costantemente l’attenzione degli altri.

ph Filippo Manzini

Urla quindi, e i morsi si fanno sentire,  la fame a dare nutrimento alle parti più  vere di noi: un ascolto che “noi” possiamo darci. Accettando l’invito del desiderio e quindi appassionandoci in una ricerca nelle buie profondità  di noi stessi. Perché – come la drammaturgia delle luci di Alfredo Piras sa sottolineare – solo dal buio può nascere e liberarsi l’emozione.

Quest’ invito rivoluzionario di Freud, viene raccolto da Massini che sceglie di farci dono - proprio attraverso il potere immaginifico e catartico della parola e del gesto attoriale – della consapevolezza di come la messinscena del sogno celi una messinscena sociale.

A testimoniare come la psicologia sia strettamente connessa alla socialità – e quindi come lo psicoanalista guardando nell’interiorità dei pazienti abbia restituito indietro anche il sentore dei mutamenti  sociali – è l’esigenza che si è  sentita, proprio a fine Ottocento, di coniare il termine “onirico”: l’irreale del surrealismo, della libera associazione, della visione ermetica che suggestiona e richiede interpretazione.

ph Filippo Manzini

Recentemente l’attenzione al ruolo “antropologico” dello psicoanalista è stata riaccesa anche dal testo di Massimo RecalcatiA pugni chiusi. Psicoanalisi del mondo contemporaneo“. Se quindi il ruolo dello psicoanalista non è confinato solo tra le pareti intime di una stanza e può e deve scendere in strada, anche il Teatro può farsi portavoce di questa missione sociale.

Vincente risulta la scelta di Stefano Massini di far incontrare il teatro di narrazione sul confine con la restituzione attoriale, mandando in scena le dinamiche oniriche della psiche umana attraverso il processo di osservazione interno ed esterno del neurologo e psicoanalista Sigmund Freud.

ph Filippo Manzini

Lo spettatore è coinvolto in un’immersione “a tutto tondo” nella quale accetta di viaggiare fuori e dentro di sé. Con disponibilità, senza necessariamente inquadrare nei principi della logica cosa stia avvenendo. È un incantesimo dove la parola, l’immagine e la musica sono le muse che ci guidano in questa avventura multiforme e multisensoriale. E finalmente riconosciamo attenzione a tutto ciò che ci rende unici. Irripetibili.

Ecco allora che Stefano Massini, a coronamento di un processo osmotico di attenzione tra interno ed esterno, a fine spettacolo sente l’esigenza di ringraziare – evocandoli con il loro nome e il loro cognome – tutti coloro che, parti necessarie di un tutto, hanno contribuito a dare forma a questo stupefacente viaggio.

Sulla Scena della Vita.

ph Marco Borrelli


Recensione di Sonia Remoli