Recensione dello spettacolo RICCARDO III di William Shakespeare – regia di Luca Ariano

CITY LAB 971, dal 3 al 15 Ottobre 2023 –

Si aprono delle porte: è un insolito sipario che cela ulteriori porte e ulteriori profondità. Sarà un invito a castello? Oppure un luogo della psiche? O forse l’adescamento in una trappola luminosamente accecante, dove rischiamo di venir risucchiati ? 

Il regista Luca Ariano – anche curatore del progetto (assieme a Pietro Faiella) e della scenografia (con la collaborazione di Alessandra Solimene) – pensa progetta e realizza uno spazio per la messa in scena del suo spettacolo, tale che lo stesso spettacolo e lo stesso spettatore ne possano essere pensati. È un lampo di genio che colpisce il cuore del bersaglio: il pubblico. Totalmente. 

Luca Ariano

Infatti, immerso all’interno di un calibratissimo gioco di volumi, di prospettive e di effetti cromatico-luminosi (la drammaturgia di quest’ultimi è di Max Comincini), lo spettatore viene inguaribilmente pluri-sedotto. Dapprima da un bianco “che più bianco non si può” – come recitava tempo fa il pay off dello spot pubblicitario di un noto detersivo per abiti. Ma che inconsciamente alludeva già anche alla pulizia dei nostri “habiti”, cioè dei nostri costumi, dei nostri modi di fare.

Sì, il bianco ci seduce: ci porta dalla sua parte, ci fa suoi. Ma il bianco solo apparentemente rappresenta il colore della purezza: cromaticamente è la somma di tutti i colori, e per estensione metaforica, di tutte le emozioni, di tutte le pulsioni, del bene e del male. Mescolanza, quindi: non purezza.

Come la drammaturgia cromatica e luminosa rivelerà a fine spettacolo quando, le profondissime angosce di Riccardo III emergeranno dal suo sottosuolo emozionale e lo porteranno a smarrire il suo ferreo “controllo”. Allora, proprio qui, il bianco assoluto che lo ha sempre avvolto si spaccherà in mille colori. Un effetto dalla sublime bellezza! 

Alcune opere dell’artista Elisa Leclè, curatrice dei costumi dello spettacolo, esposte negli spazi di City Lab 971, in occasione della messa in scena del Riccardo III di Luca Ariano

Ma poi che cos’è la purezza? Siamo davvero sicuri che sia così sano anelarvi, sceglierla, assecondando una nostra (innata e fuorviante) spinta a “sembrare” sempre lindi ? La nostra natura umana in verità dà il meglio di sé proprio riuscendo a fare un libero e consapevole uso dell’imperfezione che comunque ci costituisce.

E allora, proporre e propagandare subdolamente il concetto opposto idealizzandolo, non sarà un inganno di chi – invece consapevole – decide di solleticare proprio questa nostra fragile tendenza tutta umana per controllarci, per portarci dalla sua parte, per sedurci, in realtà saccheggiandoci?

Anche di questo riesce a parlarci con un’elegante evidenza fluorescente questo splendido spettacolo del regista Luca Ariano, che si avvale della potente complicità di un corpo attoriale capace di restituire allo spettatore una verità senza filtri. A tutto tondo: riuscendo a liberare le innumerevoli sfaccettature proprie dei passaggi emotivi dei personaggi.

E rapisce, per l’efficace suggestione, la scelta di dare ampio spazio ad una resa recitativa “di taglio”: sul piano del profilo. Il nostro profilo, infatti, è l’immagine di noi che conosciamo meno. Eppure il disegno del nostro profilo ci rappresenta inequivocabilmente. Acuto e interessantissimo si rivela quindi il dualismo portato in scena tra frontalità e profilo dei personaggi: un denso simbolismo di luce ed ombra che si staglia mirabilmente negli occhi dello spettatore.

E poi, terribile e struggente, seduce la recitazione affidata all’espressività delle mani. Associate da sempre al potere, alla forza, alla lealtà, all’amicizia e alla fiducia, le mani celano una ricchissima simbologia. Le nostre mani parlano. Con le mani diciamo chi siamo e lasciamo emergere cosa si muove dentro di noi. E gli interpreti in scena – Roberto Baldassarri, Gilda Deianira Ciao, Romina Delmonte, Luca Di Capua, Lucia Fiocco, Mirko Lorusso, Liliana Massari, Alessandro Moser – ci incantano. Su tutti brilla Pietro Faiella: un irresistibile Riccardo III. Un autentico “acrobata dello spirito”. 

Pietro Faiella

Parte essenziale della drammaturgia, il linguaggio dei costumi. Dall’estro di un’artigiana della moda qual è Elisa Leclè prendono forma abiti che, oltre a sedurci per l’essenziale e alchemica raffinatezza delle linee, ci rivelano anch’essi l’ondivaga natura dei personaggi. Sono dettagli che parlano attraverso ciò che manca, attraverso ciò che stringe e dove stringe: dove si blocca l’energia vitale, l’azione, lo spirito critico. E poi i colori scelti: un’accecante tirannia nevrotica del total white per Riccardo III e le sfumature minerarie dei grigi e dei beige per le sue prede. Tinte del compromesso e della prudenza. 

Uno spettacolo che ci parla non solo e non tanto della pericolosità di personalità seducentemente dittatoriali quali quella di Riccardo III ma della pericolosità di restarne abbagliati. Il problema non è tanto che ci sia stato o che ci possa essere un Riccardo III; il vero punto della questione è se e quali sono le condizioni che permettono continue ascese al potere di tanti Riccardo III .

Oltre ad affermare di aver subito tali ascese, siamo sicuri di non essere proprio noi ad alimentarle, a renderle possibili? Perché non siamo semplicemente chiamati ad accettare un invito: è in nostro potere dare forma ad un pensiero critico. Ma la libertà, in verità, nasconde un’ombra: desiderare affidarsi ad altri consegnando loro il peso dello stare al mondo. La nostra natura umana è fatta anche di questa tensione: esserne consapevoli è il primo passo per evitare di cadere nella falsa ma rassicurante trappola di coloro ai quali noi affidiamo il nostro potere. 

Questo spettacolo oltre ad essere superbamente curato in ogni suo aspetto si assume la cura e quindi la responsabilità di parlarci, al di là delle parole sublimi di William Shakespeare, del pericolo sempre attualissimo nel quale rischiamo di cadere. La stessa installazione di Luca Ariano ne è una testimonianza: una messa in forma del mondo, estetica e comportamentale, come espressione della definizione mutevole delle relazioni tra l’individuo e la realtà.

Massimo Venturiello

Lo spettacolo é prodotto da “Officina Teatrale” di Massimo Venturiello e sarà in scena a Roma, dal 3 al 15 ottobre, negli spazi di CityLab 971, ex cartiera, ex centro sociale, trasformato in luogo di produzioni cinematografiche e spazio artistico e performativo, in cui bellezza e degrado si confondono.

In occasione della messa in scena del Riccardo III del regista Luca Ariano, gli spazi di City Lab 971 esporranno le opere dell’artista e designer Elisa Leclè e dello studio d’arte “Biancofiore”, collettivo artistico impegnato nella riqualificazione e rigenerazione artistica degli spazi urbani.

Le opere dello studio d’arte “Biancofiore” nello spazio espositivo del City Lab 971


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo AMLETO di William Shakespeare – regia di Giorgio Barberio Corsetti –

TEATRO ARGENTINA, dal 15 Novembre al 4 Dicembre 2022 –

Amleto siamo noi.

Amleto è uno di noi: immerso qual è in dinamiche familiari ed esistenziali sempre attuali.

Amleto è un mito moderno: un uomo alla continua ricerca di una ragion d’essere ma soprattutto un uomo dilaniato da una prepotente dualità. 

Il regista Giorgio Barberio Corsetti

Dualità che, com’è nel destino da sperimentatore del regista Giorgio Barberio Corsetti , trova sviluppo in questo adattamento prendendo le sembianze di una interessantissima “metamorfosi” globale. 

In fieri, in trasformazione, non è solo Amleto ma tutto l’universo in cui è immerso. Ad iniziare dalla leviatanica struttura multiscenica (così cara al teatro shakespeariano) rappresentante il castello-prigione di Elsinor (le scene sono firmate da Massimo Troncanetti). Complice una schiera di macchinisti che entrano ed escono dalla scena, come in un’elegante coreografia, armonicamente declinata sulla poetica della narrazione.

Una scena dell’ “Amleto” di Giorgio Barberio Corsetti

Parlano di intrinseche dualità i pannelli che scendono a “tagliare” l’apparente verità, rivelando ciò che in essa si cela.

Una scena dell’ “Amleto” di Giorgio Barberio Corsetti

Dualità che metamorficamente si moltiplica in una frammentazione, nella scena del duello finale tra Amleto e Laerte. Davvero molto suggestiva: acuta intuizione quella di Corsetti di far scendere sulla scena pannelli specchianti che moltiplicano, scomponendoli in una miriade di immagini, i due contendenti. Intuizione che ricorda archetipicamente la scena del labirinto di specchi de “La signora di Shangai” di Orson Welles.

Il M° Massimo Sigillò Massara

Incentrate sulla dualità classico-contemporanea sono le originalissime architetture musicali composte dal Maestro Massimo Sigillò Massara. 

Una scena dell’ “Amleto” di Giorgio Barberio Corsetti

Ad un interessante “in bilico” sono sapientemente sottoposte anche alcune prove attoriali: davvero stimolante la resa di alcuni passi della narrazione dove la decisa inclinazione dei piani costringe gli interpreti a trovare sempre nuovi equilibri fisici. E metafisici. 

Una scena dell’ “Amleto” di Giorgio Barberio Corsetti

Perché ciò che conta, conclude l’ “Amleto” di Corsetti non è stabilire nettamente se “essere o non essere” quanto piuttosto “essere presenti a tutto”. E a tutti: perché l’immortalità dei mortali si dà nell’essere ricordati. E nell’avere, quindi, la preziosa opportunità che qualcuno desideri essere il “testimone” della nostra esistenza. Come Amleto lo è stato per il re, suo padre, e Orazio lo sarà per il carissimo amico Amleto. 

Gli applausi ieri sera alla prima dell’ “Amleto” di Giorgio Barberio Corsetti

Gli attori danno una splendida prova della “fluidità” in cui sono chiamati a muoversi. Non ultima quella tra l’essere “attori” e l’essere “spettatori”.

Particolarmente accattivante la rivisitazione che Corsetti fa di alcuni personaggi: un’ Ofelia poeticamente rock (interpretata con profonda leggiadria da Mimosa Campironi) che, anziché ‘evadere’ intrecciando ghirlande di fiori, preferisce ascoltare musica correndo sul tapis roulant, oppure sedersi sul bordo della finestra, al chiaro di luna, scrivendo lettere e suonando la sua chitarra elettrica. Una splendida rivisitazione della Audrey Hepburn di “Moon River”. Molto gradevole anche l’elegante poliedricità che Corsetti regala al padre di Ofelia, Polonio ( il gentlemen Pietro Faiella) raffinato anche nei panni di giardiniere, che a tratti ricorda il candore di Chance in “Oltre il giardino”. Felice poi l’idea di rendere la complessità psicologica di Gertrude (l’interprete è Sara Putignano) attingendo anche ad una sensualissima Jessica Rabbit. Fausto Cabra (Amleto) brilla per naturalezza e filosofica inquietudine.

Fausto Cabra (Amleto)

Il disegno luci di Camilla Piccioni è così chirurgicamente efficace, da ricoprire un vero e proprio ruolo poetico all’interno della narrazione.


Recensione di Sonia Remoli