Film vincitore del Leone d’argento
alla 81ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia
Film selezionato per rappresentare l’Italia
ai Premi Oscar del 2025 nella sezione del miglior film internazionale

Venire alla luce – nascere – è un po’ come andare in guerra: è un combattere per riuscire a stare al mondo, senza disertare il proprio desiderio di vita.
Il film è punteggiato da grida di neonati che devono trovare il modo di farsi ascoltare: la famiglia è il primo campo di battaglia, oltre ad essere il luogo dove si può imparare ad amare e ad essere amati.

Direttore della fotografia Mikhail Krichman
“Vermiglio” si apre iconograficamente con una scena di mungitura che sembra uscita da un quadro di Jan Vermeer. E ci arriva la sensazione netta di come anche la mucca si lasci mungere solo a patto che si realizzi quella sorta di sintonia relazionale, propria del rito del dare e del ricevere.
La scena ci viene consegnata negli occhi con una prospettiva così intima che lo sentiamo tutto il trasporto epidermico con il quale Lucia, la mungitrice (Martina Scrinzi), si lega alla mucca fino a costruire insieme a lei una sorta di accordo musicale.
E’ la regia della Delpero a guidarci nella comprensione delle immagini che compongono la narrazione, quasi facendoci entrare fisicamente nei loro sotto-testi: nella ricchezza dei significati che riescono ad esprimere.

Lucia (Anna Thaler), Adele (Roberta Rovelli) e la regista Maura Delpero
In questo caso sono inquadrature che ci fanno percepire come quella del “nutrire” non sia solo un’operazione seriale, come potrebbe apparire quella della mungitura oppure quella, successiva, del versare il suo latte in svariate ciotole. Perché ogni ciotola é cinta da mani che accolgono il latte in maniera personalissima. Ed è proprio quel certo “calore” con cui viene versato ad ognuno il “suo” latte, che permetterà a chi ne berrà di confrontarsi, con maggiore o minore audacia, con il bianco latte della neve là fuori: quel gelo che si attacca sulle ossa e sull’anima. Perché è proprio di una madre alimentare ciascun figlio non solo con il latte, ma anche con il gusto della vita.

Orietta Notari (zia Cesira) e Tommaso Ragno (Cesare Graziadei)
Adele (Roberta Rovelli) la mamma della famiglia Graziadei, così come la zia Cesira (Orietta Notari) sono madri molto accudenti ma piuttosto in ombra nel testimoniare il quotidiano gusto della vita, funzione che sembra essere stata rilevata dal padre. In un’occasione però Adele testimonia qualcosa di molto più profondo del quotidiano accudimento: qualcosa che aiuterà sua figlia Lucia a riprendersi da un trauma. Smarritasi in una profonda depressione, le mani di Adele torneranno ad essere per Lucia un linguaggio, prima ancora che un accudimento: quella lingua originaria che al momento della nascita è il nostro primo contatto con il mondo. Quella lingua che riesce a trattenere la vita, evitando che precipiti nel non senso.

Lucia (Martina Scrinzi) e Adele (Roberta Rovelli)
Cesare – un Tommaso Ragno ieraticamente sornione, pervaso da quell’enigmatica bonomia che riesce a parlarci del dietro delle cose – è invece il padre della famiglia Graziadei. A lui è affidato, in qualità di insegnante, l’addestramento esistenziale e culturale del suo esercito familiare e di quello paesano. Un esercito che accoglie soldati di tutte le età, diviso in due classi:

una che ancora non conosce il campo di battaglia della guerra; l’altra invece di chi ha combattuto ma ha dimenticato cosa significhi desiderare vivere. E a questo devono essere riaddestrati, perché essere consapevoli del proprio desiderare e alimentarlo, lo fa concretizzare.
L’occhio registico della Delpero ci porta a vedere poi cosa succede “nella trincea” delle camere da letto: luoghi dove si sta stretti stretti per regalare più respiro alle fantasie. Dove ci si confida sui pensieri e sulle domande più segretamente vitali: quelle che non si possono confessare fuori da quel luogo franco ma che si riveleranno preziosissime per trovare il coraggio di portare sul campo di battaglia esterno ciò che il desiderio conoscitivo suggerisce.

E la telecamera della Delpero ci porta epidermicamente lì, stretti stretti a loro. Perché la vita e la guerra vanno sentite con gli occhi dei bambini: con le loro curiosità, con le loro paure, con il loro coraggio, con la loro capacità di accoglienza.
Come quando arriva dal fronte bellico un disertore siciliano. Siamo infatti alla fine della Seconda Guerra Mondiale e il film è ambientato in un villaggio di montagna del Trentino Alto-Adige, ultimo comune della Val di Sole, storicamente zona di frontiera: il villaggio di Vermiglio.

Pietro (Giuseppe De Domenico) Flavia (Anna Thaler) e Lucia (Martina Scrinzi)
Pietro (Giuseppe De Domenico) è fuggito dal campo di battaglia portando con sé, dopo avergli salvato la vita, il commilitone Attilio (Santiago Fondevila Sancet). Il ragazzo è parente dei Graziadei che, grati, scelgono di ospitare Pietro. Ma che significa essere un disertore?

Lucia (Martina Scrinzi)
Il Maestro Cesare sostiene che è un concetto “relativo”, come quello di “vigliacco”. Ma a Vermiglio non tutti la pensano così. Per i bambini di casa Graziadei Pietro è un uomo che viene da un Paese favolosamente lontano – la Sicilia – dove magicamente crescono delle meravigliose arance color vermiglio.
Quel rosso con una sensazione acuta, come di acciaio rovente – per dirla con Kandinskij – che fatalmente presagirà i futuri eventi in cui si troverà coinvolta la famiglia Graziadei.

Pietro (Giuseppe De Domenico) Flavia (Anna Thaler) e Lucia (Martina Scrinzi)
Un colore preziosissimo che nasce dalla combinazione e dalla trasformazione di due elementi alchemici- il mercurio e lo zolfo – con i quali un tempo si credeva di poter dar vita ad ogni altro materiale, incluso l’oro. Un colore quindi dalla potete carica seduttiva, come può esserlo la vita che non teme quella vitalità fulgente in cui la morte ama avvolgersi. Quella velatura così caratteristica del pigmento vermiglio per la quale gli artisti impazzivano e che piaceva da togliere il fiato a chi la guardava.

Quella seduzione di vermiglio che qui nel film, così come nella vita, alcuni personaggi scoprono di voler seguire, spingendosi al di là dei confini rassicuranti, ma non fulgenti, del quieto e regolato vivere. Perché così è fatta la natura umana.
Con cruda grazia ce ne parlano i dialoghi, ma ancor di più ciò che non si dice ma parla dagli sguardi: quando guardare non basta più e si osa insinuarsi più sotto, oppure dietro.
Lucia, colei che sa mungere, cadere in amore per un uomo dall’irresistibile “fascino esotico” ma anche rialzarsi e riprendere a desiderare, ne è un luminoso esempio ( l’interprete Martina Scrinzi è risultata vincitrice del Nuovo Imaie Talent Award nell’ambito della 81esima mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia per la sua interpretazione in Vermiglio). Lei sa riconoscere il potere di certi incontri, soprattutto se di frontiera, capaci di dare un nuovo corso all’ esistenza.

Lucia (Martina Scrinzi)
Il suo slancio a conoscere e quindi a desiderare non s’incaglia – come invece accade a sua sorella Ada (Rachele Potrich) – sull’ossessione mortificante ad ”eccellere” nella vita. Perché Lucia a qualche livello ha metabolizzato la regola dettata dal padre lasciandola sopravvivere solo come tensione: se è vero che occorre eccellere, per eccellere occorre anche osare e quindi poter sbagliare, per poi riaggiustare il tiro e spingersi più avanti.

Ada (Rachele Potrich)
Ed è questo che desidera insegnare loro il padre – un davvero mirabile Tommaso Ragno, dal necessario piglio “traumaticamente virtuoso”, per usare una definizione cara a Massimo Recalcati – facendo sentire la sua voce con la solennità del ruolo paterno e con la passione incandescente di un insegnante. Posture indispensabili per poter aiutare a sviluppare una libertà, generativa di profonde passioni. Al tempo stesso però Cesare Graziadei è un padre e un insegnante consapevole che il raggiungimento dell’ “eccellenza” è sempre in bilico, a causa del “relativismo” nel quale siamo immersi. In vita e in guerra.

Lucia (Martina Scrinzi)
La Delpero sembra ispirare la sua regia all’estetica di Jan Vermeer: in moltissime inquadrature si possono rintracciare citazioni da dipinti quali “La ragazza con l’orecchino di perla”, “La lattaia” ecc.
Come Vermeer, anche la Delpero è attentissima a riconsegnarci immagini di ordinaria vita quotidiana, ricchissime di dettagli: non solo quelli che si danno in luce ma anche e soprattutto quelli che si celano nelle ombre. Inoltre, ci sono elementi che si riescono a notare, proprio come nei quadri di Vermeer, solo guidati da una particolare attenzione.

Ad esempio l’uso che anche la Delpero fa del colore blu oltremare: sembra farlo cadere come polvere su alcune ombre preziose, oppure farlo sopravvivere nella laccatura di alcuni oggetti particolarmente significativi, custodi di segreti. Perché il blu è il colore di cui si tingono i sogni, sosteneva Joan Mirò.
Un colore da sempre associato al “sacro”, inteso sia in senso laico che religioso. Perché quello del blu, soprattutto del blu oltremare, è un “blu vero” (scevro di verde) che ci parla di quell’andare oltre, da cui l’uomo è stato sempre attratto.

Lucia (Martina Scrinzi)
Perché nutrire sogni e segreti, non è proprio solo di coloro che tornano dalla guerra – come si dice in Paese, a Vermiglio – ma è proprio dell’essere umano gettato nella vita.
Perché la vita stessa è un segreto, sembra sussurrarci la Delpero, che vale la pena esplorare.

Il cast
Recensione di Sonia Remoli







