Recensione dello spettacolo AUTOPILOT

TEATRO BELLI, 20 e 21 Novembre 2023 –

Che cos’è la verità? Quando si realizza un disvelamento? Quando riusciamo a togliere la coltre di oscurità che ammanta gli aspetti più profondi della nostra esistenza? Oppure quando riusciamo a sostenerne il buio ?

Ad enfatizzare la mordacità caratteristica della drammaturgia britannica – in questo caso pervasa anche dalla vena poetica di Ben Norris – un’efficace drammaturgia delle luci ci guida verso la consapevolezza che l’emozione, e quindi ciò che in noi c’è di più autenticamente vero, può nascere solo dal buio. E che è in nostro potere fare del buio qualcosa di interessante: di fertile per la nostra esistenza.

Ben Norris

Cosa decidiamo di svelare di noi in un incontro? Quante “prove” sono necessarie per costruire un’immagine di noi che gli altri sicuramente accoglieranno ? In altre parole dove è conveniente – nel presentarci ad un altro – far cadere la luce su di noi e dove invece è decisamente preferibile toglierla, nascondendo? Quanto è importante il giudizio degli altri? Cosa ci permettiamo di desiderare? 

Ilaria Martinelli e Elena Orsini

In una serrata e pungente tenzone, dove apparentemente ci si sfida a rompere schemi mentali nonché spaziali, solo dalle domande fatte a bruciapelo zampillano autentiche risposte. E le due interpreti in scena – Elena Orsini ( curatrice anche della traduzione del testo e della regia dello spettacolo ) e Ilaria Martinelli – brillano della luce delle proprie ombre. Brillano cioè in quel lacerante lasciar trapelare l’oscurità delle loro fragilità.

Si domandano, tra gli altri svariati enigmi che punteggiano le loro (e le nostre) vite, se l’alta tecnologia sia davvero così salvifica e “democratica”. E soprattutto se vale la pena affidarsi alla rassicurante guida in modalità “pilota automatico” piuttosto che ad una guida manuale, magari meno affidabile, ma continuamente e stimolantemente migliorabile.

Ma poi, perché ci viene così spontaneo affidare la guida della nostra vita a qualcuno esterno a noi? Chi è Alexa? Il nuovo oracolo di Delfi ? Conoscere se stessi significa diventare un “prodotto tipico” ? Cosa vuol dire “vivere” ? Vivere per avere soldi con cui comperare cose oppure vivere di passione artistica, condividendo con altri artisti quel poco che si possiede?

Elena Orsini

In scena, oltre la potenza della parola – resa dalla feroce tenerezza dell’interpretazione – è la prossemica a disvelarci le tensioni autentiche di queste due ragazze che s’incontrano, diventano amiche e poi scoprono di essersi innamorate l’una dell’altra.

Ma come sono diversi i loro vissuti e com’è difficile incontrarsi senza scontrarsi, senza cadere nella tentazione di scegliere cosa mettere in luce o in ombra l’una dell’altra? Senza manipolare e lasciarsi manipolare. Senza lasciarsi condizionare dal giudizio degli altri.

Le due interpreti – dandosi così generosamente nelle loro zone d’ombra – ci attraggono tremendamente. Stanno parlando di noi, oltre che a noi: delle nostre difficoltà ad amare e ad entrare davvero in “contatto” con l’altra persona; della paura ad essere travolti dalla follia dell’amore e della difficoltà a darsi la possibilità di perdersi con l’altro. Per poi ritrovarsi rigenerati dall’incontro reciproco. Continue sono le varianti da affrontare e sulle quali continuamente riequilibrarsi. E noi invece, proprio come loro, siamo tentati a credere che nella vita “servono le spalle grosse e un lungo termine”.

Ilaria Martinelli

Ma poi incontriamo la morte e dobbiamo rifare daccapo i conti con tutto ciò che ci eravamo tanto impegnati a organizzare, a fissare, a rendere stabile a lungo termine. Tutto sembra saltare, ritrovandoci così in un “buco nero”. Scoprendo però insospettatamente che del buio, del nero, si può fare qualcosa di interessante, di fruttuoso. Dal buio possono emergere nuove consapevolezze, nuovi strumenti da mettere in campo. Per vivere fidandosi un po’ di più dell’irrazionale.

Un’occasione davvero stimolante – questo spettacolo Autopilot curato da Elena Orsini e supervisionato da Mario Scandale – per condividere temi così prepotentemente presenti nelle nostre vite con lo storytelling ironico e poetico, attento ma anche foriero di nuove torsioni esistenziali, come quello d’Oltremanica.

Ne emerge un teatro di energica curiosità, disposto a sperimentare nuove possibilità espressive.

Rodolfo di Giammarco

Prezioso, quindi, il Trend Festival curato dall’acuto sguardo di Rodolfo di Giammarco teso, da 22 anni, a monitorare e a selezionare quelle che sono le opere e gli autori delle nuove frontiere della scena britannica.


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo LA CIOCIARA di Alberto Moravia – regia di Aldo Reggiani

TEATRO GHIONE, dal 9 al 12 Novembre 2023 –

Rievocare per non dimenticare. 

Questo l’alto valore della scelta etica, prima ancora che estetica, di Caterina Costantini nel riproporre dopo 38 anni dal primo allestimento l’adattamento di Annibale Ruccello de “La ciociara” di Alberto Moravia con la regia di Aldo Reggiani. Lo spettacolo, ieri sera al debutto, resterà in scena al Teatro Ghione, in anteprima nazionale, fino al 12 novembre p.v.

Le atrocità e gli orrori della guerra infatti, temi centrali del testo originale, purtroppo sono ancora attualissimi.

È davvero molto necessario allora ricordare che cos’ è la guerra e cosa diventano gli uomini in guerra. Perché – come sosteneva Primo Levi – “chi dimentica il passato è costretto a ripeterlo”.

E seppure è innegabile che la guerra acutizzi il nostro ancestrale e prepotente istinto alla sopraffazione, è importante non smettere di desiderare di voler imparare a diventare capaci di amare. Perché l’amore s’impara: non è un sentimento che riceviamo per natura.

Alberto Moravia e Caterina Costantini

Lo spettacolo prende avvio immaginando un “the Day After”: un “dopo” successivo alla conclusione del testo originale dove una Rosetta, sempre più alienata da sé (interpretata da una Flavia De Stefano al suo primo e luminoso debutto), un po’ come ” il figliol prodigo”, reclama anzi tempo la sua eredità, per il capriccio di acquistare un’automobile.

La sua è l’urgenza di omologarsi a quell’italietta del tempo, preda di una “rivoluzione invisibile” di cui solo un sensibile ed altruista intellettuale come Michele riesce ad avere consapevolezza. A differenza del padre della parabola, Cesira (una carismatica Caterina Costantini, inossidabile nell’appassionarsi e nell’appassionare) si rifiuta di cedere soldi alla figlia ricorrendo ad un’ipoteca sulla loro casa: “la casa non si tocca”.

È infatti quel che resta della “roba” di cui può ancora disporre, ora che sua figlia, sfuggita all’iper protezione materna dopo il trauma della violenza subita, è ancora alla ricerca di se stessa. Lo scontro rievoca in Cesira – in una sorta di teatro nel teatro, enfatizzato da un’interessante drammaturgia della luce – una serie di ricordi e di apparizioni: ombre più o meno vaghe del suo passato.

La più vivida è quella di Michele (un fiero Vincenzo Bocciarelli) che – quasi come l’Oracolo di Delfi – la invita a riflettere sul fatto che di Rosetta lei ora raccoglie ciò che come madre è stata capace di seminare in passato: il desiderio di accumulare “roba”.

Caterina Costantini (Cesira) e Rosetta (Flavia De Stefano) in una scena dello spettacolo

Ma “seppure gli uomini muoiono – continua Michele – il dolore li fa rinascere”. E con questo invito a fare un buon uso della sofferenza per poter dare avvio ad un nuovo inizio, ad una nuova consapevolezza di sé, Michele dimostra ancora una volta di ad aver cura di lei.

Lei che resta “trincerata” – e la scena sa rendere con eloquente bellezza drammatica questo suo luogo/condizione della mente e dell’anima – dietro i suoi “valori” esistenziali basati esclusivamente sull’accumulo. Perché il primo comandamento che la guida è ancora quello che recita “l’importante è che vinca il più forte”. E di conseguenza, se non si riesce ad esserlo, si diventa complici di chi lo è.

Lorenza Guerrieri (Concetta), Caterina Costantini (Cesira) e Flavia De Stefano (Rosetta) in una scena dello spettacolo

La guerra riattizza la nostra tensione più prepotente: quella alla sopraffazione. Ma anche la mancanza di cultura educa al’insensibilità: alla divisione, all’opportunismo. “Le donne in tempo di guerra non possono andare troppo per il sottile”: a dirlo non è un uomo ma una donna (Concetta, una credibilissima Lorenza Guerrieri ), una contadina che solo in apparenza è accogliente con Cesira e sua figlia ma che all’occorrenza non ci pensa neppure un attimo a barattare la sua complicità alla vendita di Rosetta ai fascisti pur di avere liberi, cioè in “suo” potere, i suoi due figli. Perché i fascisti (qui rappresentati da un interessante interpretazione di Marco Blanchi) “c’hanno tutto: la provvidenza ce li ha mandati”.

“Che c’hai ? “. E’ questo infatti il bieco pulsare di quel che resta della coscienza. Perché in un’umanità che ha sostituito il senso della “pietà” con quello della “pietanza”, è ciò che si ha che restituisce il valore della persona. Un’umanità che parla esclusivamente di cibo da accumulare: in pancia e in quel che resta del cuore. 

Per questo è importante ricordare, cioè riportare al cuore – luogo del coraggio e della concordia – in quale deriva noi esseri umani possiamo essere trascinati in tempi di guerra.

Ricordare ci dà la possibilità di consultare il passato, di interrogarlo e di interrogarci.

Per capire ed essere capaci di cura e di responsabilità nel presente e nel futuro.

Per tenere alta la consapevolezza di chi siamo, da dove veniamo e di dove abbiamo la possibilità di spingerci.

Il cast de “La Ciociara” di Aldo Reggiani

E riportare in scena questo struggente spettacolo – che si arricchisce anche delle presenze interpretative di Armando De Ceccon (nel ruolo di Filippo) e di Vincenzo Pellicanò (nel ruolo di Tommasino) – proprio in un momento storico quale quello che stiamo attraversando, lo rende estremamente prezioso.

Un necessario contributo che il Teatro non smette di rendere al vivere civile.


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo DARWIN INCONSOLABILE (un pezzo per anime in pena) – di Lucia Calamaro

TEATRO INDIA, dal 23 al 28 Maggio 2023 –

La sensibilità e l’afflato di Lucia Calamaro fanno sì che dal buio prenda vita un’insolita “isola”, i cui costumi della specie che la abita possono essere interessanti da analizzare da parte di noi del pubblico.

Lucia Calamaro, autrice e regista dello spettacolo “Darwin inconsolabile”

Per una sera noi un pò come Charles Darwin (1809 – 1882): il biologo, naturalista, antropologo, geologo ed esploratore britannico – celebre per aver formulato la teoria dell’evoluzione delle specie vegetali e animali – che raccolse molti dei dati su cui basò la sua teoria, durante un viaggio intorno al mondo sulla nave HMS Beagle. In particolare durante la sua sosta alle Galápagos.

Charles Darwin (1809-1882)

Quella dello spettacolo di cui la Calamaro è autrice e regista è “un’isola” in cui una specie umana vive tra centro commerciale e casa. In cui si interpreta il contenuto del carrello della spesa un po’ come gli antichi greci consultavano l’oracolo di Delfi. La divinità qui è la plastica: immortale e sempiterna. Come Dio. 

Gioia Salvatori, Simona Senzacqua, Riccardo Goretti e Maria Grazia Sughi in una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile” al Teatro India di Roma

Da buoni osservatori non possiamo non notare come in questa “isola” ci siano problemi di “imprinting”: la mamma soffre perché i suoi tre figli (ormai adulti) non la seguono più. Ad esempio, sebbene lei sia “creazionista” e creda che tutti noi “siamo preda del fato”, sua figlia Gioia è attratta da “teorie trans-evoluzionistiche” che auspicano le unioni tra specie diverse tra loro.

Gioia Salvatori, la figlia trans evoluzionista

La mamma prova il tutto per tutto allora (in realtà ormai da anni) mettendo in atto un esperimento di “tanatosi”: si finge prossima alla morte, un atteggiamento strategico che gli animali utilizzano quando si trovano in pericolo. Gioia perde i sensi, ripetutamente; Serena se ne va tentando di affogare la (solita) strategia materna nel vino e Riccardo avverte la mamma di non andare oltre con la solita pagliacciata.

Maria Grazia Sughi, la madre

L’arguto testo della Calamaro intreccia a doppio filo quelli che sono i bizzarri comportamenti “etologici” della specie umana alle relative dinamiche psicologiche. L’idea di base è che tutto ciò che appare visibile è sempre il risultato di un processo nascosto. Una sorta di archeologia. 

Eduardo Urbano Merino, “Genetic neuropsychiatry

Tra stanislavskjismo e cristianesimo la madre “sembra” preoccuparsi solo ed esclusivamente se alle sue “messe in scena” di tanatosi i figli “ci credano” o meno. Ma cosa nasconde in realtà questo atteggiamento? Quanto bisogno abbiamo di essere amati, accarezzati, coccolati, presi in considerazione? Cosa siamo disposti a fare per ottenere “calore” da parte degli altri? Di cosa ci parla questo bisogno?

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma

Persa la capacità di relazionarci con gli Altri ma anche con la Natura che ci ospita, tendiamo a privilegiare atteggiamenti individualistici. E quindi egoistici: manipolatori. Ma il posto dove appoggiamo i piedi si muove tanto quanto quello che è sopra le nostre teste.

E a ricordarcelo è proprio Darwin: a mescolare e rimescolare continuamente la terra sono creature molto poco “considerate”, i vermi, i quali riescono a rendere “fertile” il rapporto con la terra grazie ad atti “performativi” piccoli e lenti ma costanti. Proprio come avviene per l’evoluzione degli esseri viventi sulla superficie della Terra.

I lombrichi, infatti, formano lo strato superiore del suolo – il terriccio vegetale fondamentale per la coltivazione – e poi vi depositano una gran quantità di terra fine, in forma di rigetti o deiezioni. Ciò che ci sembra così stabile ( il suolo) in realtà è l’effetto di un rimescolamento quasi invisibile.

Darwin era attirato da questa piccola ma costante “regolarità” d’azione, che porta a scendere verso il basso, nel terreno, pietre e rovine del passato. Ma anche uomini, se si pongono come ostacolo e non rispettano questo processo. Questa relazione con la Terra.

Simona Senzacqua, la figlia ostetrica, risucchiata dal timore per le nuove generazioni

Nella pagina iniziale del libro “L’azione dei vermi” – una delle opere meno note di Darwin, anche se all’epoca fu un vero e proprio successo editoriale e la sua diffusione fu superiore alla stessa “Origine della specie” – Darwin scrive una frase emblematica: “la massima de minimis lex non curat non si applica alla scienza”.

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile. Un pezzo per anime in pena” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma

Sono infatti gli effetti piccoli e cumulativi ad essere interessanti. Così come nelle relazioni umane.

Purtroppo ci siamo allontanati da questa direzione: “non stiamo facendo niente per noi e per gli altri” -sospira Gioia. “Quello che deve incombere, incomba” – ribatte la mamma “creazionista” .

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile. Un pezzo per anime in pena” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma

Ma forse si può ancora fare qualcosa per “consolare” Darwin e vivere meglio. Perché saranno quelli erroneamente definiti “stupidi” -cosi come tali vengono considerati i vermi- a sopravvivere e a permettere “una fertile” evoluzione della specie.

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile. Un pezzo per anime in pena” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma

Uno spettacolo pieno di ritmo: profondissimo e insieme esilarante. Grazie anche agli interpreti Riccardo Goretti, Gaia Salvatori, Simona Senzacqua e Maria Grazia Sughi che sanno come portare in scena, cioè con sapiente leggerezza, tutto il marcio delle nostre dinamiche familiari e sociali. 

Una scena dello spettacolo “Darwin inconsolabile. Un pezzo per anime in pena” di Lucia Calamaro

Teatro India di Roma


Recensione di Sonia Remoli


Parenti a sonagli

PICCOLO TEATRO SAN VIGILIO, dal 28 al 30 Ottobre 2022 –

Il sipario si apre su un’originalissima scenografia bidimensionale, dal tratto fumettistico. È impeccabilmente bianca e dai contorni molto ben definiti da un deciso tratto nero. Cifra dello stile di Elisabetta Mancini si sta confermando essere quello di prediligere scene che parlino di particolari luoghi della mente.

Nello specifico, qui, la Mancini ci sta conducendo nella bidimensionalità dei personaggi che sono sul punto di entrare in scena: individui “senza spessore”, senz’anima. Sterilmente rispettosi delle regole: quei bordi così “neri” delle convenzioni sociali. La sindrome del “finto rispetto altrui” si è talmente diffusa, da creare “metastasi” anche negli oggetti di scena: anch’essi privati della tridimensionalità.

Questa gabbia perbenista ospita personaggi che, seguendo i dettami della “moda” del momento, vestono totalmente in giallo: il colore del “veleno” di cui sono carichi. Geniale l’ambiguità che si crea, ad un certo punto, all’udire una sorta di scampanellio: sacro rituale di richiamo della “Squilla” o istintiva sonorità di difesa dei serpenti a sonagli?

Ma ecco che “…sono intorno a noi, in mezzo a noi, in molti casi siamo noi…”: registicamente la Mancini decide di far uscire queste rispettosissime serpi dalle loro gabbie per farle insinuare tra i corridoi della platea. Facendoci annusare l’odore della tragedia dello squallore borghese. “Sono intorno a me ma non parlano con me, sono come me ma si sentono meglio” .

È la Vigilia di Natale e sembrano così uniti nell’andare alla Santa Messa di Mezzanotte!!! La loro velenosa “pelle” gialla ricoperta devotamente da quei bei capi-spalla rossi ! Ma lo spettatore non può non riconoscere che l’unico momento in cui li scopre davvero uniti, contemporaneamente tutti sintonizzati nello stesso intento, è in realtà quando proprio durante il pranzo di Natale “la dea” televisione, alla quale loro sono soliti rivolgersi quasi fosse l’oracolo di Delfi, emana la soluzione alle loro preoccupazioni.

Sono così devotamente attenti al “responso” che, in quest’unico momento di empatia collettiva, si cercano con lo sguardo. Indossano tutti, per onorare la sacralità della festività, un accessorio blu oltremare. Per andare “oltre”: “niente scrupoli o rispetto verso i propri simili, perché gli ultimi saranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili”.

E pensare che a guardarli, cromaticamente ricordano così tanto un bel cielo stellato vangoghiano… 

Gli attori dell’Associazione “L’equilibrio” hanno dato prova di una buona coralità. Su tutti brilla per spontaneità e naturalezza il giovanissimo Oliviero Chimenti.

Creativi realizzatori dell’estroso progetto scenico sono i due interpreti Giuliano Morelli e Tina Oliveri.

I costumi sono invece curati da Monica Raponi.