Recensione dello spettacolo I GIGANTI DELLA MONTAGNA di Luigi Pirandello – regia di Marcello Amici –

GIARDINO DELLA BASILICA DI SANT’ALESSIO ALL’ AVENTINO, 25 Luglio 2024

Professore, lei è un poeta e non ha paura delle parole. Questo è morire” – disse il medico al malato Luigi Pirandello.

Ed è così che la “fine” annunciata di Pirandello prende forma “agli orli” con “l’inizio” della lavorazione di quest’ultima opera.

La gestazione de “I Giganti della Montagna” inizia dalla rielaborazione del primo atto de I fantasmi (pubblicato nel dicembre del ’31 sulla Nuova Antologia) seguita alla rielaborazione del secondo atto (pubblicato nel novembre del ’34 sulla rivista Quadrante). Sopravvenendo poi la morte e non riuscendo Pirandello a scrivere per esteso il terzo atto, lo traccia schematicamente al figlio Stefano.

Una vera e propria opera-testamento, quindi, questa de “I Giganti della Montagna”; un’eredità necessaria, da lasciare a chi desidererà farsi testimone di un particolare modo di intendere l’Arte e la Vita.  

Ingresso al giardino dalla navata destra della Basilica di Sant’Alessio

E difatti “I Giganti della Montagna” è inserita nella terza e ultima delle sezioni in cui sono state classificate le opere di Pirandello – “Il Teatro dei Miti” – con il titolo di “Il Mito dell’Arte”.  

Ma che cos’è un “mito” per Pirandello ? 

E’ una favola, una narrazione fantastica tramandata oralmente o in forma scritta, con valore simbolico. Narrazione che costituisce un’affascinante spiegazione di fenomeni naturali, sociali, culturali e trascendentali.

Qui ad esempio il tema dei “Giganti” si riallaccia al mito dell’antica Grecia, dove si parla dei Giganti come di coloro che – nati dalla Terra e dal sangue dell’evirato Urano – costituiscono un popolo selvaggio e criminale affine, sebbene più forte, alla stirpe umana e, come questa, mortale.  

Pirandello allude ai rappresentanti del potere politico ed industriale del suo tempo: coloro che “con l’esercizio della forza” stanno trasformando il mondo con grandi opere. Nate però unicamente dall’esaltazione del potere della razionalità, che finisce per inaridire e poi censurare lo sviluppo della parte più creativa della psiche umana: quella legata al nostro linguaggio inconscio, fucina dell’Arte.

Le sorti del Teatro, in tale contesto, preoccupano non poco Pirandello: privato del valore politico-sociale-culturale, il Teatro viene svalutato dal potere vigente a (innocuo) intrattenimento da dopo lavoro, perdendo così quella preziosa funzione artistica, educatrice dell’animo umano. 

Ed è attraverso il pubblico costituito dai servi dei giganti della montagna che Pirandello ci parla proprio della deriva in cui sfocia l’essere umano diseducato alla ricerca della bellezza e privato della capacità ad usare creativamente la parola.

Infatti, a chi ha perso l’abilità a usare le parole per esprimere le emozioni del proprio dissenso, non resta che manifestarlo attraverso la violenza dei gesti. 

E in un crescente disappunto per la conclusione dell’acclamato momento di evasione offerto dalle gag comiche e il conseguente inizio della rappresentazione de “Il figlio cambiato”, il pubblico con inaudita ferocia – resa con poesia di plastica suggestione dalla regia di Marcello Amici – fa a pezzi (e quindi divide) ciò che la bellezza unisce, accogliendola in sé: la meraviglia della diversità. 

Una scena dello spettacolo “I giganti della montagna” regia di Marcello Amici

Ecco allora che contro questa mortifera deriva separatista, Pirandello ci invita a riassaporare il gusto di una realtà altra, legata all’espressione di quel linguaggio proprio della zona della nostra psiche più inconsciamente libera e quindi fertilmente creativa. E che – nonostante i vari tentativi di censura – comunque entra in scena in noi ogni notte, grazie all’ospitalità onirica.

Un linguaggio, quindi, che ci costituisce e che non può essere censurato: pena la perdita della più vitale libertà d’espressione della nostra natura. “Siamo della materia di cui son fatti i sogni – ci ricorda Shakespeare – e la nostra piccola vita è circondata da un sogno” ( “La Tempesta”, Scena I, Atto IV).  

Ed è importante allora non allontanare lo sguardo dalla testimonianza di un uomo e di un intellettuale che, seppur in procinto di congedarsi dalla vita e consapevole della crisi dei costumi dell’epoca in cui è immerso, sente l’urgenza di stimolare ancora nuovi inizi. Dei quali noi possiamo e dobbiamo essere eredi. 

Luigi Pirandello

Pirandello ci conduce infatti a tornare ad “immaginare” – qualità dell’animo che in periodi di iper-razionalismo e di iper-opportunismo si rischia di smarrire – restituendo spazio, e quindi attenzione, a luoghi come quello della Scalogna: dimensione da cui si lasciano abitare uomini e donne desiderosi di bellezza. 

Un’umanità ricca di diversità – concertate tra loro mantenendone le preziose peculiarità espressive – sensibili verso gli incanti rivelati dalla magia di un poeta: Cotrone, alter ego di Pirandello.

E allora, al di là del finale così drammatico – il dilaniamento della Poesia – un messaggio ulteriore si fa strada all’interno dell’opera, così come sempre all’interno del Teatro: non smettere mai di ritentare e quindi di rieducare alla bellezza. Consapevoli, sempre, che “come la scena priva di sostanza/ ora svanita/ tutto svanirà/ senza lasciare traccia” ( “La Tempesta”, Scena I, Atto IV).  Ma gli uomini – come amava ripetere Hannah Arendt – “anche se devono morire, non sono nati per morire, ma per incominciare”.

Ricca di spunti di riflessione è stata ieri sera la rappresentazione de “I Giganti della Montagna” portata in scena da Marcello Amici: interessante il lavoro di adattamento mirato a rendere ancor più fruibile da parte del pubblico l’esigenza, che tutti ci accomuna, di esprimerci anche attraverso un linguaggio inconscio, necessario per scoprire di quali altre esigenze siamo composti e alle quali è così utile e sano dare voce e spazio. L’unico linguaggio che ci permette di far cadere quelle maschere che, per la preoccupazione di essere accettati dalla società che ci vuole tutti “uniformi” e quindi “informi”, ci rendiamo disponibili ad indossare.  

Efficace il lavoro sulla comunicazione prossemica, così come quello sullo studio dei costumi.

Sulla scena, gli interpreti della compagnia La Bottega delle Maschere – Marcello Amici (Cotrone); Tiziana Narciso (Ilse); Fabio Galassi (Il Conte, suo marito); Mirella Martinelli (Diamante); Marco Bellizzi (Cromo); Gabriele Casali (Spizzi); Maurizio Sparano (Battaglia); Francesca Di Gaetani (Lumachi); Emilia Guariglia ( La Sgricia); Marco Tonetti (Quaqueo); Alice Zanoni (Duccia); Marco Sicari (Milordino); Beatrice Picariello (Mara-Mara); Alice Zanini (Maddalena) – restituiscono al pubblico, attraverso la credibilità e il sapore delle loro interpretazioni, la sensazione di un viaggio “sugli orli” della vita e della morte, della verità e della finzione, quale fascinosa avventura all’interno della complessità di un testo, così necessario allora ma forse ancor di più oggi. 


Recensione di Sonia Remoli

Il contenuto non corrisponde al titolo

TEATRO MARCONI, 12 Gennaio 2023

Gremiti gli spazi del Teatro Marconi per trattenere ed accogliere l’attesa dell’inizio della Festa del Pensiero. Apre la serata happening, un trio del Pensiero “in musica”: arte che dona la possibilità di trasformare la semplice aria in qualcosa che trasporta gli animi ben oltre i sensi. Ad accompagnare il cantautore Luigi Turinese (che presenterà il suo nuovo album “Passaggi – Il volo di Mangialardi” al Teatro Garbatella, sabato 21 gennaio alle ore 21:00) la chitarra di Adriano Piccioni e la ritmica di Piero Tozzi.

Il cantautore Luigi Torinese in un momento della Festa del Pensiero

In un raffinato gioco di affinità elettive, il pensiero in musica ha attratto (per poi di volta in volta momentaneamente sottrarsi) gli interventi del trio del pensiero critico, tesi a presentare in maniera sui generis l’ultimo libro di Giuseppe Manfridi ‘Il contenuto non corrisponde al titolo”.

Giuseppe Manfredi, autore del libro “Il contenuto non corrisponde al titolo”

L’ autore, uno dei massimi drammaturghi italiani e autore di commedie rappresentate in tutto il mondo, sceglie che a presenziare il “debutto” della sua ultima creazione letteraria sia lo sguardo dalla coinvolgente sapienza, densa di sfuggevolezza, dello storico d’arte Claudio Strinati (anche autore della prefazione del libro),

Claudio Strinati

alchemicamente coniugato allo sguardo dall’effervescente “libridinosità” dell’autore Dario Pisano.

Dario Pisano

Quest’insolita “preparazione chimica” di pensieri ha dato vita ad una serata squisitamente spiazzante; divertente e fertile di stimolanti riflessioni. Si è parlato, tra l’altro, di come l’oscillazione tra il pieno e il vuoto sia il contenuto del libro (ma non del titolo); del fatto che chi scrive lo fa essenzialmente per leggersi. E che si legge sperando di rimanere affascinati da ciò che non si capisce.

Costante la concentrazione del pubblico, che ha seguito sempre con molto interesse e partecipazione. Il libro “Il contenuto non corrisponde al titolo” raccoglie un mosaico di aforismi, brevi elzeviri, poesie e brani a tema, che alludono al paradosso secondo il quale raramente diciamo cose che davvero intendiamo dire. “Le cose che ci stanno attorno parlano e hanno senso soltanto nell’arbitrario in cui per disperazione ci viene di cambiarle”, direbbe Pirandello. E nel parlare di rapporti di coppia, di linguaggio e di dinamiche creative, il libro si pone come un invito a sviluppare e ad allenare continuamente “la capacità di osservare”. Questa sì, d’aiuto per la comprensione del mondo.

La serata, ricca in fascino, si è conclusa nel cordiale Bistrot del Teatro Marconi, dove l’autore e i suoi “attori” si sono mescolati al pubblico, ancora desideroso di approfondimenti e curiosi aneddoti.