Recensione dello spettacolo LA DIFFICILISSIMA STORIA DELLA VITA DI CICCIO SPERANZA di Alberto Fumagalli – regia di Ludovica D’Auria e A. Fumagalli

TEATRO BELLI, dal 3 al 15 Ottobre 2023 –

Uno spettacolo ostinatamente ruvido e struggentemente poetico.

Ingredienti così ben dosati da regalare una rigogliosa “lievitazione” allo spettacolo.  

Una drammaturgia e una regia, quella di Alberto Fumagalli e di Ludovica D’Auria, che ha trovato il modo di rendere prepotentemente interessante il tema della rigidità dei costumi patriarcali: una rigidità sorda e cieca alle spinte propulsive del “nuovo”.

Ma il “nuovo” comunque insiste e spinge e dilata gli argini del “vecchio”. E se l’argine si ostina nella rigidità del muro, se non ce la fa ad essere osmotico, ad accogliere altre possibili diverse “lievitazioni” , allora la spinta al “nuovo” rischia di implodere. 

La stessa formulazione del titolo, scelto per identificare lo spettacolo, ce ne parla. Infatti, con estro, lega l’aggettivo “difficilissima” alla “storia” della vita di Ciccio Speranza. Difficilissima è quindi la storia, ovvero la narrazione della vita che la famiglia di Ciccio si ostina a darne, scandita rigidamente com’è da pregiudizi e da paure verso il “nuovo” .

Che comunque avanza. Insospettabilmente anche all’interno del loro nucleo familiare, così rigidamente perimetrato. Che non deve uscire cioè dalla “cornice” di quel tavolo di legno, totem intorno al quale si dipana la messa in scena della drammaturgia. 

Federico Bizzarri e Alberto Gandolfo in una scena dello spettacolo “La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza” in scena al Teatro Belli di Roma

L’ordine pre-costituito, quasi ancestrale, è difeso dal padre (un generoso Alberto Gandolfo) così come farebbe una fiera, una bestia selvatica: con le unghie e con i denti. Con riti ancestrali “impastati” alla croce della trinità cristiana.

Una trinità di cui i componenti familiari sono un’insolita rappresentazione: il selvatico padre-padrone, un figlio disponibile ma segretamente non rassegnato alla sottomissione (un intrigante Federico Bizzarri) e l’altro – Ciccio – destinato ad essere lo spirito santo: il lievito spumeggiante (un irresistibile Damiano Spitalieri). 

Federico Bizzarri, Damiano Spitaleri e Alberto Gandolfo in una scena dello spettacolo in scena al Teatro Belli di Roma

Un mondo declinato tutto al maschile: mortifero di spinte femminili. Morta la feconda presenza femminile e materna; morte le mucche produttrici di bianco nutrimento; destinata alla “morte del cigno” ogni fertile e ribelle spinta femminile. Che comunque abita ciascuno di noi, per natura.

Damiano Spitaleri e Federico Bizzarri in una scena dello spettacolo “La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza al Teatro Belli di Roma

Interessante la ricerca fatta su una nuova lingua, apparentemente senza senso, una sorta di grammelot, tagliente e musicale; divertente e massacrante. Una nuova lingua efficacissima, anche perché proprio così “parlata” dai loro corpi. I tre interpreti in scena infatti caricano lo spazio di temperature di potentissima elettricità, che si aprono ad essere squarciate dalla soffice poesia ribelle di Ciccio. Autenticamente ben lievitata. Fino al rito sacrificale finale.

Qualcosa infatti si rompe: qualcosa non ce la fa a reggere la spinta centripeta contraria. E implode. Perché esistenzialmente sono gli altri a darci un nome, una prima identità, che poi ognuno di noi è chiamato a personalizzare. E a tradire, laddove necessario. 

Federico Bizzarri e Alberto Gandolfo in una scena dello spettacolo “La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza al Teatro Belli di Roma

Una drammaturgia solo metaforicamente lontana dai nostri tempi: purtroppo, in realtà, attualissima. Ecco allora che il Teatro, com’è nella sua natura, deve saper denunciare ed indignarsi tutte le volte che scorge abusi di potere sulle soggettività. Perché quando la vita diventa impermeabile all’incontro con l’altro – quando “la vita si protegge dalla vita” direbbe Massimo Recalcati – ci si incammina verso la dissoluzione. 

Damiano Spitaleri in una scena dello spettacolo “La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza al Teatro Belli di Roma

Il merito di questa giovane compagnia di ragazzi – LESMOUSTACHES – è quindi anche quello di saper sviluppare attraverso l’arte teatrale una forma di libertà che non si sgancia dal senso di responsabilità, ma che rompe l’omeostasi: quella troppo comoda tranquillità, nella quale tutti per natura tendiamo a crogiolarci. Ma che finisce per condurci verso una cronica stanchezza.  

Che ci sia spazio e ascolto, quindi, a quel Teatro, come questo de LESMOUSTACHES, che si caratterizza per essere luogo capace di tenere insieme le differenze dei singoli, per il bene comune della società. 

Recensione dello spettacolo EDIFICIO 3 – Storia di un intento assurdo – scritto e diretto da Claudio Tolcachir

TEATRO ARGENTINA, dal 16 al 21 Maggio 2023 –

Qual è il sinonimo di morire?

Cessare di vivere. 

E che cos’è vivere?

Un intento assurdo. Strano, così come definire l’uomo: niente di univoco.

E il ricordo?

Un atto collettivo.

Con paradossale musicalità, la malia della drammaturgia di Claudio Tolcachir, sottraendo alla narrazione ogni coordinata spazio-temporale, porta in scena un’umanità manchevole: dimenticata. Esiliata.

Claudio Tolcachir, autore e regista dello spettacolo “Edificio 3”

Un’umanità di “senza” , che fingono di essere “con” finché non si scopre che tutti sono “senza”: senza lavoro, senza madre, senza marito, senza casa, senza limiti, senza desiderio. A colmare (apparentemente) tutti questi “vergognosi” vuoti, uno spazio vitale iper pieno, iper ordinato, all’interno del quale ci si muove, per darsi un tono, a una vertiginosa velocità. Vertigine di cui risente anche la parola che diventa a tratti, così centrifugata, quasi un grammelot.

Una scena dello spettacolo “Edificio 3 ” di Claudio Tolcachir al Teatro Argentina di Roma

Una reazione istintiva, quella di questa umanità, di fronte a ciò che sta succedendo intorno a loro: un vero disastro, un panorama a dir poco deprimente. E allora, non tentata dal cambiare contesto, quasi senza accorgersene questa piccola comunità sceglie di riunirsi col pretesto di lavorare ma in realtà senza sapere bene cosa stia facendo. Uno stringersi insieme, un restare attaccati, inventandosi ogni giorno un nuovo giorno. Un loro resistere. Un domani.

Valentina Picello

Tolcachir ci parla di uno di quei momenti di cambiamento che ciclicamente l’uomo si trova a vivere. Quelle fasi di passaggio in cui non si riesce a tenere del passato solo ciò che può essere ancora adattabile al nuovo scenario che si annuncia. Così ingombrati da scorie di passato, i personaggi in scena si vergognano per il loro non essere, ancora, come vorrebbero: adattati fertilmente al nuovo cambiamento che s’impone.

Giorgia Senesi

Nel mostrarceli in tutta la loro credibilità, il regista sa di provocare un effetto grottesco sul pubblico. E per noi, così abituati a nascondere i nostri disagi, vederli rappresentati nella loro autenticità ci fa sorridere: come fossero esagerati, fino al surrealismo. Ma l’effetto positivo, che il regista cerca e trova, è che il pubblico, provando tenerezza e compassione per quei cinque personaggi (nei quali ci viene così facile identificarci) inizia a provarla anche verso se stesso. Tolcachir sembra voler scoprire ciò che di teatrale c’è in ognuno di noi, in un approccio intimo. A tratti sentimentale.

Emanuele Turetta

Uno spettacolo seducentemente tragicomico. Così reale da sembrare surreale. E, in una prospettiva sospesa tra gioco e realtà, ci ritroviamo a commuoverci.

Rosario Lisma

Gli attori in scena Rosario Lisma, Stella Piccioni, Valentina Picello, Giorgia Senesi ed Emanuele Turetta sono così attenti, nella costruzione del loro personaggio, ai particolari anche più minuti, più accidentali, più imperfetti (ma proprio per questo più umani) da raggiungere livelli altissimi di credibilità. Sfiorando paradossalmente la poesia. 

Stella Piccioni

Un approccio, questo di Claudio Tolcachir, che diventa un’opportunità per riflettere su che ruolo può avere il teatro in tempi duri come questi. Su quanto lo spazio, le persone e le loro storie siano spunti interessanti per rivedere forme e linguaggi.  


Recensione di Sonia Remoli