Recensione dello spettacolo LA ROSA NON CI AMA di Roberto Russo – regia di Gianni De Feo

TEATRO LO SPAZIO, dal 22 al 25 Febbraio 2024 –

Vivere è un gran rompicapo: un pò come c’insegnava il cubo di Rubik

Si nasce composti, ordinati e poi la vita ci scompone, ci spettina. Spesso sono venticelli calunniosi a farci perdere il senno, che come i petali di una rosa profumano eppur celano spine. 

Ma il gusto del gioco forse è proprio quello di dedicarsi a ricomporre l’ordine. Continuamente. Perché la vita continuamente ricomincia, come amava ripetere Hannah Arendt.

Cloris Brosca e Gianni De Feo

Non ci sono vincitori né vinti quando una storia d’amore finisce. E lo stesso vale anche per quella tra Carlo Gesualdo (1566- 1613) – noto compositore e Principe di Venosa – e Maria D’Avalos.

Sebbene la storia abbia chiuso la vicenda che ha visto il Principe uccidere “legittimamente” Maria e il suo amante, la drammaturgia di Roberto Russo va oltre. E immagina qualcosa di diverso, di più vitale ed estremamente lirico.

ph Manuela Giusto

Ecco allora che legando sinergicamente il suo testo, all’intensa interpretazione attoriale di Cloris Brosca e di Gianni De Feo – che ne cura anche la regia – prende vita uno spettacolo che onora con grande efficacia lo sperimentalismo dello stile musicale di Carlo Gesualdo, dando prova di saper accordare l’audacia ritmica, l’intrepidità armonica e l’estremo cromatismo musicale del madrigalista di Venosa al testo poetico.

Complice l’estro musicale di Alessandro Panatteri che compone per l’occasione musiche originali sui testi di Torquato Tasso e la cura della drammaturgia musicale da parte di Gianni De Feo.

A coronamento, la costruzione solenne e magica dell’impianto scenografico – che può leggersi anche come spazio della mente – di Roberto Rinaldi. Davvero suggestiva l’installazione che allude al misterioso intrico di emozioni di cui si compone la vita (e che si ritrova poeticamente anche nell’acconciatura di Maria D’ Avalos) ma che può trovare composizione affidandosi alla potenza dell’amore e alle ali del perdono. Di Roberto Rinaldi è anche la cura molto efficace dei costumi dei due interpreti. Grande potenza iconografica quella sprigionata dai movimenti scenici.

ph Sabrina Cirillo

Ed è impossibile a tutti noi del pubblico non godere della musicalità linguistica del Cinquecento che si sprigiona nell’aria. Dove la lingua napoletana trova la maniera di legarsi e poi duellare fino a ricomporsi con lo spagnolo. Senza ostacolare incursioni di latino.

ph Sabrina Cirillo

La lirica creatività di Roberto Russo immagina che la vita di Carlo Gesualdo e di Maria D’Avolos non termini con la morte storica. Così fa in modo che i due si ritrovino oltre la morte: un pò come lo Jago e l’Otello del Pasolini di “Uccellacci e uccellini” catapultati tra l’immondizia di un “non posto”. 

Una morte quindi, quella che per loro immagina il drammaturgo Russo, che non separa definitivamente ma che è un confine sul quale ci si può incontrare. Ancora. Provando a ricomporre il caos nel quale – solo temporaneamente – si era conclusa la loro relazione. Proprio come si faceva, appassionandosi, con il cubo di Rubik.

ph Sabrina Cirillo

Prende avvio allora una rievocazione che torna a saggiare le informazioni spesso manomesse dai pettegolezzi – che tanto fanno godere chi ha una vita povera di stimoli – i quali sembrano profumare così intensamente di verità quando invece nascondono l’aridità pungente propria delle spine di una rosa. E qualcosa succederà.

ph Sabrina Cirillo

La Maria D’Avalos di Cloris Brosca si dona in una magnifica articolazione vocale che le permette di essere matematica e lirica. Sempre credibile e dalla multiforme espressività, dona carattere anche alle altre partiture che le sono affidate in scena.

Gianni De Feo – che oltre a dare anima a Carlo Gesualdo si moltiplica in una varietà stupefacente di partiture, brilla d’intensa poliedricità. Brucia in tensione creativa. Con straordinaria efficacia e repentinità esce da una psiche per lasciarsi abitare da un’altra. E poi un’altra ancora.

E’ incanto.

ph Manuela Giusto

Bambola – La strada di Nicola

TEATRO LO SPAZIO, dal 30 Marzo al 2 Aprile 2023 –

La nostra identità è davvero espressa dal nostro nome proprio ? E come potrebbe ? Il nostro nome è scelto da altri, i nostri genitori, che inevitabilmente finiscono per caricarlo di tutte le loro aspettative. E’ un po’ come se già prima di nascere “venissimo scritti” da altri . Ma a noi resta ancora la libertà di scrivere qualcosa di “davvero nostro” .

Paolo Vanacore, autore del testo dello spettacolo “Bambola, la strada di Nicola”

Questo ci ricorda il testo pieno di bellezza “Bambola, la strada di Nicola” scritto da Paolo Vanacore, interpretato con estroso ardore da un poliedrico Gianni De Feo e musicato dal Maestro Alessandro Panatteri.

Il Maestro Alessandro Panatteri

Nicola è il nome di ripiego di Nicoletta (Strambelli, in arte Patti Pravo) la dea adorata dalla madre di Nicola: quel tipo di donna che la mamma non era riuscita ad essere. Ma ora poteva riuscirci sua figlia: si sarebbe chiamata come lei, Nicoletta, e avrebbe ereditato la sua stessa personalità: libera, vera, autentica. La signora non lascia minimamente spazio, tra le sue aspettative, alla possibilità di poter dare alla luce un figlio. Quando accade se ne dispera. E non smette di farlo, silenziosamente, per tutta la vita.

La cantante Patty Pravo

Tra frustrazione e inevitabile assecondamento, Nicola cresce. Ma già da bambino inizia a sentire “di essere chiamato” per lasciarsi andare in un’altra direzione. Il primo segnale lo sperimenta nei momenti in cui suo padre, che non nutre invadenti aspettative su di lui e lo ama così com’è, riesce a ritagliarsi degli spazi da dedicargli. Quando cioè, soliti stendersi a terra, il piccolo Nicola ama chiudersi in posizione fetale all’interno del corpo di suo padre, come in un guscio. Quasi l’immagine di una nuova gestazione.

Un paradiso tu vivrai se tu scopri quel che hai…” . Scoprire ciò che si ha, scoprire il proprio “valore”, la propria autentica identità e potervi accedere per “realizzarsi” come persona: questo cantava Patty Pravo, un’avanguardia negli anni ’60. Ma quanta (apparente) sicurezza siamo disposti a cedere per non tradire il nostro desiderio, il nostro talento, senza farlo dipendere totalmente dagli altri ?

Gianni De Feo, interprete e regista dello spettacolo “Bambola, la strada di Nicola” al Teatro Lo Spazio

Il padre di Nicola muore quando lui ha solo sette anni e dieci anni dopo sua madre sceglie di suicidarsi. Nicola resta orfano e qualcosa, già vivo in lui, inizia a prendere forma: Bambola. Un nome che Nicola sceglie pensando a quel tipo di donna cantato da Patty Pravo. Una donna che aspetta godottianamente qualcosa che deve arrivare e che con sensibilità leopardiana non può fare a meno di rivolgersi alla Luna per constatarne però ogni volta il suo disinteresse.

Gianni De Feo, interprete e regista dello spettacolo “Bambola, la strada di Nicola” al Teatro Lo Spazio

Una storia avvincente, personale e insieme universale, immersa nella Roma degli Anni ’60, dove nelle periferie si vivevano i fermenti dei moti di emancipazione: il femminismo, la libertà sessuale, la contestazione giovanile. Periferie laboratorio, dove Pasolini ambientava, tra l’altro, le interviste dei suoi “Comizi d’amore”. Tra le voci di un’umanità che inizia a trovare l’ardire di parlare di sessualità, intervistato è anche un Giuseppe Ungaretti che dichiara che in amore non esiste un concetto di “normalità” che lega gli uomini alla propria natura. A salvarci è solo uno “sforzo di poesia”.

Giuseppe Ungaretti e Pier Paolo Pasolini in “Comizi d’amore”

Poesia che Gianni De Feo dimostra di saper portare in scena: sua infatti è la capacità di utilizzare il corpo per catalizzare l’attenzione per poi scoccare il dardo dell’emozione sul pubblico. Con grande controllo di gestualità e mimica: senza mai incorrere in eccessi.

Gianni De Feo, interprete e regista dello spettacolo “Bambola, la strada di Nicola” al Teatro Lo Spazio

La cifra stilistica di Gianni De Feo trova espressione in una capacità registica ed attoriale sincretica, che si avvale della complice sinergia di linguaggi diversi. La canzone, ri-arrangiata per essere messa al servizio dell’interprete ad esempio e’ una componente drammaturgica imprescindibile che, unita alla lingua da proscenio, dà vita ad una proposta di teatro canzone davvero molto interessante. Frutto della particolare affinità tra Gianni De Feo, Paolo Vanacore (autore del testo), il Maestro Alessandro Panatteri e Roberto Rinaldi (curatore delle scene e dei costumi).

Gianni De Feo, interprete e regista dello spettacolo “Bambola, la strada di Nicola” al Teatro Lo Spazio

La Papessa

TEATROSOPHIA, dal 16 al 19 Febbraio 2023 –

Che sia una donna “pericolosa” lo si intuisce immediatamente: non ha bisogno di cercare la luce, piuttosto la rifugge. È lei la luce. E l’ombra. Non ha bisogno di particolari scene per esprimersi: è lei l’espressione. In lei tutto recita: dai denti alle sopracciglia. 

Beatrice Schiaffino (La Papessa) in una scena dello spettacolo

Ci cerca. Ma ci ha già sentiti nel buio. Si presenta. Ma è più un’apparizione. Non è solo una donna. Non è solo un uomo. È un’epifania. Ci parla di lei, quella che fu ( forse ) La Papessa: del suo essere, non essendo stata. Non è stata docile: unica dote che ad una donna si richiedeva. No: lei ha sempre cavalcato l’estro del pensiero indipendente. Coltissima ma sempre selvatica, come le erbe: quelle voci della terra con le quali sua madre entrava in comunicazione. Le erbe: alfabeto di un altro mondo.

Beatrice Schiaffino in una scena dello spettacolo “La Papessa” di Carmen Di Marzo

Fin dall’inizio cogliamo in lei un’impetuosa impazienza. Quella di chi sta contenendo l’urgenza di infiammare questo incontro, aspettando il momento in cui il nostro coinvolgimento arriva ad essere più potente. Per trasferirci “l’oracolo” che questo incontro suggella: fare della propria vita ciò che si brama essere. Sfidando il rischio, servendosi dell’astuzia, rubando con gli occhi, prima che con la mente. Affamati di sapere. Ebbri di conoscere. Ingordi di vita. 

Beatrice Schiaffino in una scena dello spettacolo “La Papessa” di Carmen Di Marzo

Non sarà un caso se nella cartomanzia “La Papessa” rappresenta la conoscenza segreta: quella che riesce a penetrare nella dualità tra l’universo materiale e l’universo spirituale. Se nell’alchimia rappresenta l’attrazione. Se ne I Ching è in analogia con il segno V (L’Attesa) e il segno XLIV (Il Farsi Incontro). Se nella magia è la conoscenza per operare bene. 

Petre Pater Patrum, “Papissa Pandito Partum

La Papessa Giovanna si narra sia stata l’unica figura di papa donna, che avrebbe regnato sulla Chiesa col nome pontificale di Giovanni VIII, dall’855 all’857. È considerata dagli storici alla stregua di un mito o di una leggenda medievale, alimentata dal potere temporale francese in conflitto col papato. Raccontano che La Papessa sia rimasta incinta del suo amante. Durante la solenne processione di Pasqua nella quale il Papa tornava al Laterano dopo aver celebrato messa in San Pietro, mentre il Corteo Papale era nei pressi della basilica di San Clemente, la folla entusiasta si strinse attorno al cavallo che portava il/la Pontefice. Il cavallo impaurito reagì violentemente provocando a “Papa Giovanni” un travaglio prematuro. Scoperto il segreto, La Papessa Giovanna fu fatta trascinare per i piedi da un cavallo attraverso le strade di Roma e lapidata a morte, nei pressi di Ripa Grande, dalla folla inferocita. Fu sepolta nella strada dove la sua vera identità era stata svelata: tra San Giovanni in Laterano e San Pietro in Vaticano.

Il rito

Parte essenziale della leggenda è un rito mai svoltosi, ma fantasticato e ripreso, in chiave anti-romana, da autori protestanti del Cinquecento: s’immaginò che ogni nuovo papa venisse sottoposto ad un accurato esame intimo per assicurarsi che non fosse una donna travestita (o un eunuco). L’esame avveniva con il nuovo papa assiso su una sedia di porfido rosso, nella cui seduta era presente un foro. I più giovani tra i diaconi presenti avrebbero avuto il compito di tastare sotto la sedia per assicurarsi della presenza degli attributi virili del nuovo Papa. «D’allora st’antra ssedia sce fu mmessa / pe ttastà ssotto ar zito de le vojje / si er pontefisce sii Papa o Papessa» – scriveva Giuseppe Gioachino Belli, nella sua poesia “La papessa Ggiuvanna”). Pur trattandosi di una storia leggendaria, a essa hanno dato credito letterati come il Boccaccio (nel De mulieribus claris, 1362) e il Petrarca (nelle Vite dei pontefici e imperatori romani, 1370 ca.), oltre a numerosi storici e autori di cronache e, in fondo, fino alla Riforma protestante questa credenza non è stata efficacemente messa in dubbio.

Beatrice Schiaffino

Questo appassionato e appassionante monologo, interpretato da una ieratica e numinosa Beatrice Schiaffino, è curato nella regia da un’altra donna “pericolosa”, dal famelico istinto: Carmen di Marzo.

Carmen Di Marzo, regista dello spettacolo “La Papessa”

Il testo è di Andrea Balzola; le musiche originali di Alessandro Panattieri; i costumi di Loredana Redivo. Le fotografie di scena di Claudio Polvanesi.

In scena fino a Domenica 19 Febbraio !!!