Recensione dello spettacolo L’ESPERIMENTO di e con Monica Nappo

TEATRO ARGOT STUDIO, dall’11 al 14 Aprile 2024

Quello di Monica Nappo è un tentare ragionato – un esperimento appunto – che unisce sinergicamente il potere della parola a quello dell’immagine. Laddove la parola tentenna a descrivere, è infatti l’immagine a rivelarsi più duttile ad esplorare e descrivere certi disagi. 

Un’esplorazione di sé – ma anche di noi del pubblico – quella proposta dalla Nappo che trova ispirazione e sostegno nell’estetica di Piet Mondrian. Lo spazio scenico infatti – pensato ed allestito per ospitare lo spettacolo (lo studio di una counselor) – ricorda lo studio del celebre pittore, in quanto riproposizione di una estensione dei suoi dipinti. Spazio ideale quindi per perdersi e così poter dare vita ad un nuovo esperimento di linee e colori, che provi ad ordinare e mettere in comunicazione un universo personale immerso nel caos. 

I confini ben definiti delle celebri “Composizioni” di Mondrian – alle quali allude la parete di fondo dello studio da counselor della donna interpretata dalla Nappo – non chiudono infatti ermeticamente gli spazi descritti ma permettono incontri, intersecandosi continuamente. Ed è una splendida metafora del lavoro su sé stessi – a cui lo spettacolo invita con ironica profondità – per un sano relazionarsi con gli altri.

Quante insidie – ad esempio ci si chiede – può nascondere un’attesa?

Quali sono i suoi confini?  E il non rispettarli in quali pericoli ci fa incappare?

La couselor interpretata dalla Nappo invece coglie l’occasione del protrarsi dell’attesa dell’arrivo del suo paziente per farsi lei stessa “il prossimo paziente”. E ci si consegna in tutta la bellezza del testo da lei scritto, oltre che interpretato.

E’ un raccontare, il suo, che non segue la linearità sicura di una narrazione già confezionata ma piuttosto esprime “il tentativo” – insito solo nel raccontare e nel fare esperimenti – di tenere insieme vari elementi per poter comunicare qualcosa d’interessante.

E assume la forma di un continuo riprendere daccapo – “ricomincio ” – ogni qualvolta qualcosa sembra sfuggire. Quasi come se nell’oralità si ricreasse lo stesso avanzare imperfetto del processo creativo della scrittura. Un po’ un tirar via il foglio dalla macchina da scrivere, accartocciarlo e ricominciare con un altro foglio.

La Nappo intriga per il suo acuto disarmo. E sorprende quando lo stesso disarmo lascia il posto alla provocazione. I toni della sua voce – che sanno come colorarsi delle emozioni che attraversano – sono prevalentemente acuti ma mai irritanti. Quasi musicali. Teneri e pungenti. Il suo corpo rompe continuamente tutti i piani ed è una continua sorpresa. Come gli interrogativi che ci sottopone.

Come possiamo desiderare ancora ciò che già abbiamo?

Quanto bene e quanto male riesce a procurare una somma di piccole cose? 

E cosa succede se questa somma di piccole cose nasce da una solitudine, diventa un’abitudine e poi arriva a trasformarsi in una dipendenza?

Un po’ come le diverse temperature che il corpo attraversa nel continuo e progressivo adattarsi ai differenti gradi dell’acqua, quando ci si immerge per fare un bagno al mare.

E se ancora aleggiasse nell’aria una qualche forma di scetticismo, la Nappo in chiusura tira fuori dal suo “cilindro che bolle” una vera e propria teoria scientifica a coronamento del risultato raggiunto con il suo accattivante racconto.

Perché la differenza tra amore e dipendenza, tra resilienza e sottomissione è tutta in un salto: quello che occorre fare ad un certo punto dell’attesa. Prima che esca fuori dai suoi confini. 


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo LE MEMORIE DI IVAN KARAMAZOV – regia di Luca Micheletti

TEATRO VASCELLO, dal 10 al 22 Ottobre 2023 –

“La vera vita degli uomini e delle cose comincia soltanto dopo la loro scomparsa” (Nathalie Sarraute).

La vita di Ivan Karamazov, ancora ferma al giorno del processo per parricidio, è quella di un personaggio pirandellianamente in cerca di un autore che gli possa regalare un finale.

Ad Umberto Orsini, suo interprete dal lontano 1969, arriva pungente l’urgenza di questa esigenza. E quello allestito, con sublime poesia, sul palco del Teatro Vascello è il luogo della mente del “personaggio” Ivan, che indugia e insiste nella mente della “persona” e ora anche “autore” Umberto Orsini. Autore assieme a Luca Micheletti.

Ma cosa significa regalare un finale ? Significa regalare, o meglio “restituire”, un’identità. L’identità, infatti, è un dono che ci possono dare solo gli altri. Perché nessuno di noi “si può fare” da solo. Drammaturgicamente ed esistenzialmente. I primi a farcene dono sono i genitori, per un periodo della nostra vita anche autori della stessa.

Ma poi entrano in scena tutte quelle persone il cui “incontro” è risultato essere stato per ciascuno di noi una folgorazione. Il cui incontro – direbbe Massimo Recalcati – ha interrotto l’abituale scorrere del tempo. Come è avvenuto tra Umberto Orsini e Ivan Karamazov.

Era il 1969 quando sulla rete nazionale della Rai andava in onda lo sceneggiato televisivo di Sandro Bolchi “I fratelli Karamazov” e un giovanissimo Umberto Orsini ne interpretava l’Ivan. Ma, a seguito di questo incontro, nulla è più come prima. E negli anni a seguire Orsini non smette di sentirselo intimamente connaturato alla propria essenza. E alla propria esistenza. Tenendolo insieme a sé con lo sguardo. E con il respiro.

Umberto Orsini è Ivan nello sceneggiato televisivo di Bolchi del 1969

Ma se l’incontro ha la cifra della folgorazione, l’identità è un processo che richiede tempo. Solo ora infatti Orsini sente che è arrivato il momento: sente di averne la giusta consapevolezza. Perché Orsini, così come Ivan, è un uomo che ha sempre tollerato di “essere disturbato” dalla polifonia di voci della sua coscienza e dalle relative contraddizioni che la abitano. Uomini, loro, che resistono alla tentazione di mettere a tacere gli elementi di disturbo della psiche (come accade ai più). Ma che anzi li accolgono. E danno loro la parola.

Uomini loro, che temono, ma di più amano la vastità del mare della vita. E nonostante tutto navigano, cercano, esplorano. Si perdono. E sognano un ritorno. Un “nostos“. 

Il regista e co-autore Luca Micheletti

Ecco allora che dalla lirica regia di Luca Micheletti, quasi come a cavallo di una slitta, i percorsi della memoria di Ivan scivolano giù, seppur spazzati insistentemente dal vento. E tornano. Tornano a riaffrontare il caos che avvolge “i resti archeologici” di un luogo fisico e mentale. Labirintico. Costruito per cerchi concentrici. Avvolto nel buio. Una scena ( curata con sublime poesia da Giacomo Andrico, dove il suono è affidato a Alessandro Saviozzi e le luci a Carlo Pediani) capolavoro del suo dramma.

E un po’ come un quadro di Mark Rothko, catalizza lo spettatore ad una contemplazione più intima e raccolta, permettendo un viaggio ipnotico che apre una finestra sull’incomprensibilità dell’io più profondo. Sul suo dramma interiore. Una rappresentazione concreta della tragedia esistenziale del personaggio ma anche dell’interprete-autore.

Umberto Orsini

Un personaggio che denuncia in sommo grado l’assenza di una figura paterna che sappia stabilire confini, fissare leggi. L’assenza di un dio che limiti il più gravoso peso dell’umano vivere: la libertà. Perché la principale pulsione umana è quella alla sopraffazione. E l’amore si può solo imparare.

Dell’interprete Orsini folgora la freschezza del disperato ardore. L’elasticità nervosa dei muscoli. Il guizzo dalle mille sfumature degli occhi e della voce. Il respiro. Le mani. Lui, insieme dio e demone.

E così, immaginando un nuovo processo e con una diversa spiegazione dei fatti, quasi come al termine della elaborazione di un lutto – che qui rischiava di diventare permanente, cronico – Orsini riesce a sublimare quell’oscura mancanza melanconica che avvolgeva l’esistenza di Ivan Karamazov. Riesce cioè “a far iniziare la vera vita di Ivan”, come direbbe Nathalie Sarraute. E così ora quell’ ” inverno del nostro scontento è reso fulvida estate”. Da Umberto Orsini. Assieme a Luca Micheletti.

Umberto Orsini e Luca Micheletti