dal 21 al 30 Novembre 2025

Già al debutto del Luglio scorso al “Teatro Ostia Antica Festival – Il senso del passato” dallo spettacolo ci si lasciava turbare per la bellezza notturna del suo sguardo.

Anfiteatro romano di Ostia
Nello spostarsi ora dal palco en plein air del teatro romano, alla complice intimità del palco al chiuso del Teatro Vascello di Roma – anch’esso spazio simile ad un anfiteatro, con platea a gradoni e palcoscenico a filo della prima fila – la sublime bellezza di quell’osmosi di profonda inquietudine è notevolmente salita.

Teatro Vascello
Effetto della “conclamazione” tra i due spazi scenici, ci confida Roberto Latini nelle sue poetiche note di regia. Effetto cioè di un vibrante rivelarsi dello spettacolo, grazie all’accordarsi degli spazi che lo accolgono, attraverso entusiastiche convergenze sulla “messa in voce di suoni e corpi”.
Se ne trova luminosa traccia nell’incedere con cui ciascun personaggio entra in scena; nella diversa eppure uguale tessitura del racconto delle mani della nutrice (una calibratissima e affettuosamente ancestrale Manuela Kustermann) e in altro ancora che ciascun spettatore potrà avere il piacere di notare.

Ne risulta un’ ”Antigone” bruciantemente vicina allo spettatore.
Complice una diversa drammaturgia della luce curata da Max Mugnai in accordo alle trame di musica e suoni di Gianluca Misiti: una luminosità più oscura, più allusiva, evidente e impenetrabile. Arcana.
Una drammaturgia della luce delle ombre – proprie della natura umana – che sembra celare qualcosa carico di una dignità e di un potere tali, da dover restare inaccessibile in penetrali lontani. Un qualcosa da mantenere, cioè, come protetto dalla sfera pubblica e da cui la sfera pubblica deve essere protetta.
Un senso dell’arcano al quale la regia di Latini osa efficacemente avvicinarsi, rendendo ancora più fluida la “non distribuzione delle parti” degli interpreti.

Lo spettatore finisce, allora, per farsi più prossimo alle intime e contraddittorie scelte – incluse le non scelte – di ciascun personaggio. Che qui si rivela in cambi di “habitus” (di modo di essere) attraverso una raffinata scelta registica che fa fluire determinate parti della psiche dell’uno in quella di un altro personaggio – con il quale può “conclamarla” – attraverso un’affascinante duplice distribuzione. “Siamo Antigone e Creonte insieme, o lo siamo già stati più volte, di più in certe fasi della vita e meno in altre e viceversa o in alternanza” – ci ricorda Roberto Latini.
Una fluidità esistenziale in bilico tra il sentirsi ora più uomini ora più umani. Ora convinti che si è arrivati a essere quel che si è in base alle scelte che si sono fatte. Ora in base alle scelte che “non” si sono fatte. Ora assecondando la Legge, ora il proprio sentire.

(ph. Manuela Giusto)
Ne è un fulvido esempio la presenza dell’elemento “polvere-sabbia” e la sua manipolazione. Ma anche il rapporto dei personaggi con la regola stradale del “passaggio pedonale”: nessuno ne fa l’uso previsto dal “Codice della strada”, ma quello più accordato al proprio sentire. Così come, al contrario, ci sono le guardie che – sprovviste di immaginazione – credono ciecamente che non esista altro se non ciò che viene ordinato loro dalla Legge.
Antigone, soprattutto quella di Jean Anouilh qui riletta da Roberto Latini, ci parla di questa fluidità e ci invita a non sfuggirla. A farla nostra ogni volta, lasciandola risuonare sempre in ogni nostro “habitus” (modo di essere) che l’altro, con il quale veniamo a contatto, ci riaccende.

Un invito al quale Latini allude quando dice che il miglior modo di “incontrare” Antigone è quello di permetterle di parlarci sempre di qualcosa di nuovo. Di qualcosa che comunque ci riguarda.
“Sapendo che ogni variazione è già Teatro”: è vita che fluisce e resta.
“Come quando lo spettacolo incontra un altro palcoscenico oltre quello del debutto”.
“Come quando lo spettacolo incontra un’altra platea oltre quella del debutto”.

Recensione di Sonia Remoli
