Recensione de IL RITRATTO DELLA SALUTE – di Mattia Fabris e Chiara Stoppa – Regia Mattia Fabris – con Chiara Stoppa

TEATRO TOR BELLA MONACA

11 e 12 Ottobre 2025

Sa essere dolcissima e travolgente: la sua è un’energia caleidoscopica.

Lei è Chiara Stoppa e, il suo, è uno spettacolo tenero e graffiante. Ma soprattutto rivitalizzante.

Sua la capacità di catturare e restituire, in tutta la tremenda bellezza, un frangente della sua vita di 26enne: quando, ormai lanciata nel mondo delle tournee teatrali, inizia a lamentare una stanchezza cronica, fino a scoprire di essere affetta da una patologia. Per poi guarirne. E farne una memoria, che trascende il tempo e lo spazio. Proprio grazie ad una esplosiva messa in scena teatrale.

Chiara Stoppa

Quello che lei propone è “il suo” ritratto della salute: la storia di chi ha esplorato il concetto di salute, incluso quello di malattia, per poi risalirne. E raccontarlo. Proponendosi quale testimone di uno stare al mondo complesso e vitale. Ma soprattutto, consapevole. E quindi libero e responsabile.

Che parte dall’incoscienza e dalla trascuratezza, passa per il colpo di scena della scoperta di una neoplasia, attraversa la via crucis dei trattamenti e poi arriva ad uno snodo creativo, maturo e informato.

Chiara ci conduce in questa descensus ad inferos con successiva risalita a riveder le stelle, con brio e leggerezza calviniana. Il suo monologo – che tiene per tutto il tempo gli occhi dello spettatore incollati su di lei – è pieno di vita, frullata in un vortice di pazienza, fragilità, risate, lacrime, reunion tra amici, complicità familiari, vergogna, audacia, voglia di protezione. 

Il suo corpo è pieno di verve; la sua voce sa donare ospitalità e unicità a tutti i personaggi della sua storia; i suoi occhioni – che le hanno viste tutte – sono ancora grati e desiderosi di restituire il meglio agli altri. Perché quando sei sul confine e quel brivido ti viene a trovare, e ci stai dentro, poi è diverso: diventa tutto terribilmente seducente. E si ha voglia di condividerlo.

Le basta solo un piccolo tavolino di legno come scenografia, che sa far entrare nello sguardo dello spettatore in tutta la sua fulgida polivalenza. Sua l’abilità di muoversi intorno a questo elemento scenico, rimanendo – anche se continuamente in maniera diversa –  sempre a stretto contatto con esso. Metafora del problema-opportunità sul quale lei dapprima si è seduta, per poi salirci sopra, fino a riuscire a vederlo con lucidità critica nella sua tridimensionalità. Davvero un bel lavoro, la cui regia è curata da Mattia Fabris.

L’idea del “ritratto” – oltre che occasione di dono – diviene per Chiara anche opportunità per continuare ad esplorare la sua identità: sia attraverso il processo della creazione, che attraverso quello dell’osservazione. Lavorando sulle sue fragilità, con creatività – “come reagirebbero i protagonisti dei miei spettacoli di fronte a questa situazione?” – e in continuo ascolto del bisogno di dar corpo e visibilità alla molteplicità dei volti della sua identità: “è come conoscermi di nuovo”. 

Uno spettacolo dall’energizzante drammaturgia, che si origina da una sete di vita mai totalmente appagata, che ci ricorda come il valore della salute si estenda oltre la semplice assenza di malattia. Rappresentando la capacità di vivere pienamente la vita: affrontando le sfide quotidiane, godendo delle relazioni, adattandosi ai cambiamenti. E vivendo sempre a stretto contatto con il Teatro: da attori o da spettatori. Come non ha smesso di fare Chiara, se non nei momenti più invalidanti.

Senza curarsi troppo dei luoghi comuni, propri di certe esortazioni legate alle metafore del “combattere una guerra” o del “giocarsi una partita”, che si aprono a solo due possibilità: quella di vincerla o di perderla. Magari provando invece a interrogarsi sul contesto vitale che ha potuto dare ospitalità alla malattia. Ma, soprattutto, l’invito di Chiara è quello di continuare a vivere, possibilmente senza limitarsi ad attendere la guarigione totale: “respira, mettiti in ascolto di ciò che davvero desideri, e fidati di te”.

Perché è “un percorso” quello che si fa. Al di là della contesa tra vincitori e vinti.


“Il ritratto della salute” è uno spettacolo che fa parte del Piccolo Festival di Drammaturgia Contemporanea LE VOCI DEL PRESENTE 2025, fortemente voluto dalla Compagnia Orsini, con l’obiettivo di dare spazio sia a Compagnie emergenti di giovani artisti che indagano nuovi linguaggi, sia ad Artisti di fama nazionale, che vantano riconoscimenti nel teatro di ricerca. La cooperazione tra “nuovi talenti” e teatranti più esperti sarà certamente occasione d’accrescimento per gli artisti e stimolante per il pubblico.

Come dichiara Umberto Orsini:  “Le Voci del Presente 2025” – Piccolo Festival di Drammaturgia Contemporanea – è una iniziativa fortemente voluta dalla mia Compagnia per far convivere innovazione e tradizione, e superare in tal modo quelle barriere ideologiche che le vorrebbero separate e inconciliabili”.

Il Festival

– che è alla sua seconda edizione –

si svolgerà dal 4 al 31 ottobre 2025 al Teatro Tor Bella Monaca.

I sette spettacoli sono ad ingresso libero ed è vivamente consigliata la prenotazione 

(Teatro Tor Bella Monaca tel: 062010579 – WhatsApp: 3920650683)

Ad arricchire il programma, per il ciclo “Dialoghi al presente”, sono previsti incontri di approfondimento fra gli artisti e un relatore per indagare le tematiche sociali toccate dai testi.

Il progetto è realizzato con il sostegno del Ministero della Cultura – Direzione Generale Spettacolo ed è vincitore dell’Avviso Pubblico Roma Creativa 365. Cultura tutto l’anno promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Cultura in collaborazione con Zètema Progetto Cultura.

Prossimo spettacolo

OLD FOOLS

24 e 25 ottobre 2025


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo EVA: GUIDA ESISTENZIALE X DONNE CONSAPEVOLI – tratto da “Il diario di Adamo ed Eva” di Mark Twain – adattamento e regia Alessio Pinto –

TEATRO TOR BELLA MONACA, 12 Settembre 2024 –

In un lussureggiante eden naif (le scene e i costumi sono curate da Loredana Labellarte) nasce la Eva di Alessio Pinto. La incarna una Dafne Barbieri meravigliosamente meravigliata, feconda in musicalità e in colori espressivi.

E’ un’ Eva spumeggiante, morbidamente primitiva, acutamente ingenua e quindi destinata a divenire decisamente molto consapevole. Molto più della Eva di Mark Twain

Il suo è il raggiungimento della consapevolezza di essere una donna dotata non solo di un’intelligenza di tipo razionale ma anche di un’intelligenza emotiva. 

Totalmente sua la narrazione dalla quale non è mai assente il suo Adamo, amato così come è, così come creato: con la sua pigrizia fisica, mentale ed emotiva. E lei è consapevole di non poter fare a meno di avere per lui una predilezione rispetto ad ogni essere del creato. 

Dafne Barbieri

Per convincerlo ad interessarsi di lei, ha scoperto l’arte della seduzione: un uso del suo corpo che inizia ad andare oltre l’esplorazione conoscitiva, oltre la capacità motoria di flettersi, di ondularsi, di rompere i piani, di correre e scattare. E con il corpo anche la sua voce inizia a rendersi duttile a plasmarsi in toni, colori, ritmi sempre più fascinosi. E poi anche gli occhi iniziano a guardare con altre intenzioni ”conoscitive”. E la Barbieri è sapientemente generosa nel dare vita a tutte queste scoperte seduttive. 

Ma Adamo non entra nel grande gioco della relazione: lui scappa. Teme da matti Eva perché è diversa da lui: troppo. Lui è abituato a considerare “buone” cose simili a lui: indifferenti e – soprattutto – utili. 

E anche la Eva di Alessio Pinto – come quella di Mark Twain – si modella per ridimensionarsi alle pretese sminuenti di Adamo: evita che lui si senta in imbarazzo per la sua perspicacia, come quella del saper entusiasticamente dare un nome alle cose. Non smette di farlo, no. Ma trova anche qui un modo per nominare le cose senza farlo sentire in difficoltà, in difetto. Quasi fosse suo il merito.

Le Partenze Intelligenti

Nei momenti più deludenti va allo stagno per verificare cosa sta succedendo dentro se stessa: se ciò che sta facendo vivifica o mortifica la sua natura. E scopre che l’uomo non è “un esperimento”, come lei. E che questo significa che l’uomo ha bisogno di essere assecondato: come se specchiandosi nello stagno volesse vedere due immagini riflesse. 

Ma a lei questo non basta: non è in lui, né solo in lui, che si realizza la sua consapevolezza a vivere momenti di felicità, di momentanea realizzazione. 

La Eva di Alessio Pinto allora inizia ad assumere la consapevolezza che essere servile non la fa stare bene come quando dà linfa invece al cervello: a sue idee personali.  A lei piace sposarsi con la filosofia perché è l’essere grata del suo slancio vitale – guidato da una costante meraviglia – che la conduce ad impazzire di curiosità di sapere. E quindi a sperimentare instancabilmente, fino al raggiungimento della prova che dimostrerà la sua teoria. Ne trae un piacere così profondo, che teme il giorno in cui finiranno le cose da scoprire: allora resterà priva del suo irresistibile piacere. 

Ma oltre ad inaugurare il metodo scientifico e la filosofia, Eva scopre anche le regole del desiderare: che è preferibile non avere troppa fretta nel conoscere tutto. Perché solo un’attesa, e quindi un senso di mancanza, può mantenere vivo più a lungo il suo piacere . 

Alessio Pinto

E la Eva di Alessio Pinto fa un passo in più: scopre e inaugura il piacere eterno. La consapevolezza cioè di lasciare tracce di sé nelle future donne amanti del sapere.

Perché Eva è – e resterà – il simbolo della capacità ad entrare in relazione: non è un caso che ami tanto parlare. Infatti raccontare, confrontarsi – e quindi contaminare e contaminarsi dei semi dell’ Altro – rende “eterni”. 

Ed è così – con il piacere di conoscere (e quindi di “rubare”, ovvero di “sottrarre” all’indifferenza) il bello della conoscenza – che lei sublima, ad esempio, la sua consapevole tendenza a voler “rubare” cose belle come la Luna. Di giorno no, ma di notte lo farebbe senza paura. Ma di Luna ce n’è una sola; e ancora una volta sarà il piacere della condivisione a farla desistere a “rubarla”.

E poi Eva scopre la morte, assistendo un porcellino in fin di vita. E è da lui che impara la dignità dell’ accogliere la morte. E di godere del suo arrivo.

Perché morire può significare non solo ritornare polvere ma anche lasciare scie luminose per chi ci ha conosciuti e amati e per chi, grazie a queste tracce luminose che resteranno di noi, ci conoscerà in futuro, portando avanti il piacere del meravigliarsi. 

Proprio come fanno le stelle: Eva con i suoi esperimenti era arrivata alla teoria – non ancora confermata – che si sciogliessero completamente morendo. Ma, grazie anche a lei, ci fu chi andò avanti nel piacere di sapere e scoprì che le stelle morte non smettono di essere luminose.

Come la Eva, incarnata nella Dafne Barbieri di Alessio Pinto, continua a ricordarci. 

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Rassegna UILT Lazio “Libero Teatro in un Teatro Libero”

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Recensione di Sonia Remoli

L’incredibile viaggio di Lady C.

TEATRO TOR BELLA MONACA, 21 e 22 giugno 2022 –

Vi è mai capitato di sognare gli articoli della Costituzione della Repubblica Italiana? Non è mica così strano! Basta partire da qualche episodio che ci è capitato durante il giorno, da qualche conversazione. Questa è l’idea brillante che ha sviluppato il regista e autore del testo Alessio Pinto: la Costituzione non è niente di incredibile. Permea la vita di ogni giorno.

Ma forse proprio perché così vicina, non riusciamo a notarla, a riconoscerla. A rispettarla. Ecco che allora può essere d’aiuto provare a immaginare che effetto farebbe la nostra Costituzione su qualcuno che viene da un’altra realtà, da un’altra quotidianità. Vediamo cosa ci rimanda il suo “specchio”. È così che Alessio Pinto immagina sulla scena un gruppo di ragazzi di diversa provenienza geografica, che condividono, apparentemente, solo uno spazio, un appartamento.

Un giorno, però, a condividere le spese (e non solo) arriverà un’insolita Lady, straniera alla Costituzione della Repubblica Italiana. Sarà lei, attraverso il suo diverso sguardo, ad illuminare le contraddizioni del nostro modo di “vivere” la Costituzione. Anzi sarà l’occasione per riscoprire i valori (dimenticati) alla base del nostro vivere in comunità. Rispettandoci davvero nelle nostre diversità. Proprio per le nostre diversità: così ricche di bellezza. Ma soprattutto riscoprendo il valore dei valori: la solidarietà.

Il regista sceglie poi, con efficace suggestione, di sottolineare i valori inalienabili contenuti nei primi dodici articoli della Costituzione, associandoli alla magia contenuta in alcuni testi, sapientemente selezionati, di David Bowie. Ed è lo stesso Alessio Pinto ad interpretarli con la complicità della sua inseparabile chitarra: affascinante menestrello.

I quattro interpreti sulla scena Giulia Martinelli, Danilo Brandizzi, Marta Marino e Alessandro Giova brillano nel tenere e sostenere l’incalzante ed effervescente ritmo della narrazione, punteggiato da momenti di comicità, ben colti e resi. Registro importantissimo e insieme delicato, quello della comicità, per veicolare con efficace leggerezza la necessità di modificare atteggiamenti sociali ed etici “viziati”. Perché il teatro è anche questo.