Recensione dello spettacolo LAVINIA FUGGITA di Anna Banti – ideazione e messa in scena di Michela Cescon –

DOMUS AUREA – MOISAI 2024 Voci contemporanee in Domus Aurea – 5 Ottobre 2024 –

“Le storie delle donne non possono essere solo storie invisibili”

Quale miglior luogo della Domus Aurea si rivela simbolicamente più appropriato per rappresentare questo lussureggiante racconto di Anna Banti, contenuto nella raccolta “Le donne muoiono” (1951) ?

Forse nessun luogo come questo è la testimonianza pulsante di cosa rappresenti una damnatio memoriae, un esilio che qui in “Lavinia fuggita” prende la forma dell’ “interrare” il ricordo di una donna eccessivamente dotata in capacità conoscitive.

Anna Banti

Tutta la produzione di Anna Banti, in verità, si nutre del grande tema della solitudine della donna che, alla ricerca di riconoscimento nel mondo degli uomini, si ritrova protagonista di umiliazioni. Ma, a volte, anche di riscatti.

E’, per certi versi, anche la solitudine che la stessa Banti ha cercato di fuggire “ri-nominandosi” (Anna Banti è uno pseudonimo di Lucia Lopresti) e ri-convertendosi ad un genere letterario (la narrativa) diverso da quello al quale lei avrebbe voluto dedicarsi e nel quale avrebbe desiderato essere riconosciuta: la critica d’arte.

E così anche Lavinia, la protagonista principale di questo racconto – che Cesare Garboli definì il più bello di tutto il Novecento – è costretta a fare esperienza di una “solitudine di merito” tipicamente femminile.

Fin da giovanissima infatti il suo brillare conoscitivo venne oscurato attraverso allontanamenti. Era dotata, ad esempio, di una particolare attitudine nel riuscire “a balzare” da uno strumento musicale all’altro: “che ci vuole?”- era solita rispondere a chi ne rimaneva incantato. Come per effetto di un sortilegio, infatti, ogni difficoltà si scioglieva al suo cospetto.

Ma anziché curarsi di valorizzare questa sua eccellenza – proprio lì all’Ospedale della Pietà dove si studiavano canto e musica – “la interrarono”,  allontanando Lavinia dallo studio dove eccelleva, per confinarla tra le scartoffie di un’attività da maestra.

L’urgenza di comporre musica però – quando è davvero un’autentica passione – non trova argini: come si fa “a star zitti se ti chiama qualcuno che ti vuole bene “. E così’ Lavinia iniziò ad inserire dapprima, a sostituire poi, le sue partiture nelle partiture altrui: quelle che si doveva limitare a trascrivere. Consapevole che mai le avrebbero permesso di comporre musica, se non di nascosto. Fino a che una sua partitura arrivò nelle mani di Don Antonio Vivaldi. Fu la fine, o meglio, l’inizio di una nuova vita. 

Perché proprio quel giorno in cui tutti all’Ospedale si usciva per andare “a merendare”, si rivelò un giorno di appassionati e appassionanti incontri: chi si sposò, chi s’innamorò e chi come Lavinia ricontattò le proprie origini, fino ad allora sconosciute. E così quando Don Antonio Vivaldi le intimò: “venga Lavinia !” – lei, come nel mito accadde a Dafne inseguita, fu dalla “sua terra d’oriente” accolta nel proprio seno. E lì, dal luogo dove la giovane disparve, crebbe l’alloro.

Ieri sera in Domus a scegliere di riportare l’attenzione su questo tema della solitudine femminile è stata Michela Cescon: attrice pluripremiata, produttrice e direttrice del Teatro di Dioniso di Torino. 

E’ lei che ha avviato il racconto concertandolo con il canto e la musica di Tullio Visioli e di Livia Cangialosi. La sua interpretazione del testo della Banti – di una raffinatezza deliziosamente succulenta – è reso con una tavolozza di colori vocali, che acquistano una definizione a tutto tondo grazie ad una gestualità generosamente aperta ad un puntinismo cromatico da commedia dell’arte. Efficacissimo nel rendere il ventaglio di tonalità delle pennellate stilistiche che danno corpo alla scrittura della Banti, così ricca in lirismo metaforico e in scavo psicologico. 

Gli intervalli di musica e di canto – oltre a definire il carisma di alcuni passaggi decisivi della narrazione – disegnano, con la complicità della Musa Polimnia, come nuove armonie ricche in sacralità. Intellegibili non solo attraverso l’ascolto ma percepibili ad un livello più alto, dove la libertà riscopre una nuova melodia fatta di continui inizi. 

Lo spettacolo è stato dedicato a Eleonora Duse (1858 – 1924) – nell’occasione dei suoi 100 anni dalla morte – per la vibrante sfrontatezza nell’affrontare la vita così ben rappresentata dalla sua postura con le mani sui fianchi. Postura con la quale la Banti caratterizza anche la sua Lavinia .

Michela Cescon, Tullio Visioli, Livia Cangialosi


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo SVELARSI regia di Silvia Gallerano

di e con Giulia Aleandri, Elvira Berarducci, Smeralda Capizzi, Benedetta Cassio, Livia De Luca, Chantal Gori, Giulia Pietrozzini, Silvia Gallerano

con il contributo di Serena Dibiase e la voce di Greta Marzano.

AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA, dal 10 al  14 Gennaio 2024 –

Quanti significati si nascondono dietro lo “svelarsi” ? Li esplora con gioia, ironia e commozione l’omonimo spettacolo di scrittura collettiva voluto e diretto da Silvia Gallerano, in scena fino a domenica 14 gennaio p.v. al Teatro Studio Borgna dell’Auditorium Parco della Musica.

Una performance scritta e pensata da donne, per sole donne e per chi si sente donna.

Silvia Gallerano (ph@ Giulia Ducci)

Svelarsi è un’epifania: una rivelazione, un portare alla luce qualcosa di bello, di sacro, precedentemente nascosto.

Svelarsi è un liberarsi: uno sciogliere o allentare i lacci, un nuovo respiro ampio e profondo. 

Svelarsi è un offrirsi con elasticità e generosità. Un aprirsi a se stessi e quindi agli altri. Un attraversamento di confini.

Svelarsi è sollevare il velo ma anche avere occhi adatti a vivere e a recepire la rivelazione. 

Svelarsi è un essere pronti.

Che cosa significa “farsi notare”? Perchè è così essenziale essere visti ? 

Ritrovarsi insieme, come invita a fare questo spettacolo, può essere utile per rintracciare delle risposte che finalmente diventino gesti. “Senza perdersi in chiacchiere”. 

Gesti che ci svuotino da ciò che non è nostro e lascino aperti dei vuoti, liberi di riempirsi di autenticità individuali. Uniche.

Regalandoci così la forma dell’acqua, che può entrare ovunque e prendere tutte le forme: cambiando ciclicamente stato.

Sì: lo spettacolo diretto da Silvia Gallerano è una fertile e gioisa occasione per conoscerci, per metterci a nudo. E scoprire quanto possano essere belle le diversità. Quanto possano essere attraenti certe imperfezioni.

Rompendo così il gesso degli imperativi categorici relativi all’essere costantemente “accettabili” e “composte”.

In verità “Svelarsi” è più di uno spettacolo: è un esperimento, l’avvio di un processo di ricerca e di apertura. Un rito collettivo tra l’apollineo e il dionisiaco. Grazie al quale riuscire ad iniziare ad emanciparci dalle definizioni e dalle etichette: così chiare ma così asfissianti.


SVELARSI

regia Giulia Gallerano

di e con Giulia Aleandri, Elvira Berarducci, Smeralda Capizzi, Benedetta Cassio, Livia De Luca, Chantal Gori, Giulia Pietrozzini, Silvia Gallerano

con il contributo di Serena Dibiase e la voce di Greta Marzano

allestimento luci Camila Chiozza

consulenza costumi Emanuela Dall’Aglio

una produzione Teatro di Dioniso

in collaborazione con PAV nell’ambito di Fabulamundi Playwriting Europe e Frida Kahlo Production

con il contributo del MiC – Ministero della Cultura, Regione Lazio e Roma Capitale

in collaborazione con SIAE – Società Italiana degli Autori ed Editori 

sì ringraziano per il supporto e l’ospitalità ATCL per Spazio Rossellini, Lottounico, Fortezza Est e Fivizzano27


Recensione di Sonia Remoli