Recensione dello spettacolo L’ UOMO CHE VOLO’ OLTRE SE STESSO di e con Giuseppe Manfridi – regia di Claudio Boccaccini

TEATROSOPHIA, dal 17 al 19 Maggio 2024


Quanto bisogno abbiamo – per natura – di essere visti e letti dagli altri, commentati e quindi oggetto di un loro racconto?  

Quanto bisogno abbiamo di essere ricordati per qualcosa di unico e quindi deviante dalla normalità?

Quanto ci fa sentire davvero vivi tutto questo?

E cosa succede invece quando si verifica un deficit di vitalità e quindi di visibilità, preda di quell’ “autunno del nostro scontento” che ad esempio da anni affligge l’indolente e fedele Wakefield e la sua silenziosissima moglie, che sceglie di abdicare anche ai piaceri insiti nel dialogare per rinchiudersi in una muta e fedele osservazione del marito?

Succede che ci s’impoverisce sempre più del nostro potere erotico-immaginativo, finendo per non trovare più le parole per poter definire ciò che davvero desideriamo comunicare, o che sospettiamo danneggiarci. “La sua mente – dice la moglie di Wakefield nel racconto che, del fatto di cronaca, ne fa Nathaniel Hawthorne – s’intratteneva in lunghe e oziose meditazioni che non tendevano a nessun fine o non avevano forza sufficiente per raggiungerlo, i suoi pensieri erano di rado abbastanza risoluti da trovare espressione nelle parole”. E’ quello che succede quando ci si uniforma al sistema dei sistemi, rinunciando a perdere la nostra singolare individualità, le nostre aspirazioni, in cambio dell’essere riconosciuti in una massa di “normalità omologata” .

E il vero danno è che non trovare le parole per dire ciò che ci interessa davvero comunicare – ovvero non ascoltare il nostro demone creativo – fa smettere di esistere i desideri. Perché questo è il potere della parola e quindi della scrittura: far esistere le cose. Se non si hanno le parole per dirle, le cose che pensiamo non trovano realizzazione.

Giuseppe Manfridi (ph@Grazia Menna)

Per questo lo spettacolo che Giuseppe Manfridi costruisce come un gustosissimo gioco per intarsi dinamici, che sanno incastrarsi e insieme lasciarsi liberi di saltare oltre se stessi, risulta prezioso. Anche politicamente, in quanto veicola e rende fruibilissimo il concetto di “comunità”. Che al di là di una perversa vocazione all’omologazione, sa invece accogliere quei preziosi salti, quelle devianze dalla dritta via, che regalano gusto e nutrimento al nostro stare al mondo.

Ce ne parla Wakefield con quella sua “disposizione all’inganno che di rado aveva prodotto effetti maggiori di qualche piccolo segreto che teneva celato” ma che un venerdì di ottobre il suo demone persuade a far si che prenda la forma di un vero e proprio salto lungo 20 anni.

Ce ne parla Bob Beamon con il suo “chi lo sa! “: carma, dalla magnifica apertura ad uno sterminato salto dì possibilità, sussurratogli dal suo demone (racconta Manfridi) e da lui ripetuto come in trance prima di confezionare in 7 secondi un salto lungo 8 metri e 90 centimetri.

Ce ne parlano i piedi scalzi e il pugno in guanto nero di Tommie Smith e John Carlos, rispettivamente medaglia d’oro e di bronzo nei 200 metri piani ai Giochi Olimpici del 1968. Salti (ovvero coraggiosi gesti simbolici contro il razzismo) lunghi il tempo della squalificazione dalle gare successive. 

Ce ne parla, facendo un salto di pochi giorni e di pochi metri dal villaggio olimpico del 1968, la mattanza di Tlatelolco nella quale furono massacrati migliaglia di studenti con le loro famiglie per aver osato chiedere pacificamente il rispetto dei loro diritti.

E ce ne parlano ancora altri interessantissimi personaggi della letteratura, che la magia di Giuseppe Manfridi andrà a contattare.

Giuseppe Manfridi (ph@Grazia Menna)

Questo racconto dei racconti intessuto da Giuseppe Manfridi  ed interpretato – sotto il cesellante sguardo registico di Claudio Boccaccini – con una complicità fascinosamente dotta, predispone il pubblico a gustare la succulenza dell’enunciazione del ricamo di storie, che si dispiegano richiamandosi incredibilmente tra loro, in un intendersi di analogie.

La speciale sinergia artistica che si sprigiona tra Claudio Boccaccini, Giuseppe Manfridi e Antonella Rebecchini – estrosa autrice delle immaginifiche installazioni sceniche – è tale da riuscire a far “volare oltre se stesso” questo fantastico spettacolo.

Claudio Boccaccini

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Recensione di Sonia Remoli