dal 7 al 16 Febbraio 2025

E’ feroce e piace; ti fa stringere lo stomaco e si ride.
Eleonora Danco fotografa la realtà senza filtri: con crudele purezza.
Nudo anche l’insinuarsi della segretezza dell’inconscio che, manifestandosi in un’esalazione di verde, parla una lingua di immediata efficacia illogica.
E’ un’umanità animale quella che va in scena. Vive di rituali: da quelli tipici del combattimento animale muso a muso, corpo a corpo, a quelli più civili della convivialità dei compleanni, fino a quelli più subdoli propri della manipolazione.

Federico Majorana (Pietro) – Lorenzo Ciambrelli (Luca)
Civiltà che però non ce la fa a mantenere una sua forma. E – in un continuo fallimento relazionale – solo si riesce a pretendere trascurando le esigenze dell’altro e ad accusare fino alla minaccia di morte. Sempre. Senza tregua.
La Danco sa quanto può essere profonda la superficie e così la fotografa per lavorare sull’intimità. La sua scrittura non spiega, non fa morale, né psicologia: ti arriva dritta allo stomaco. La prima trama è intessuta dal ritmo fulminante sul quale si intreccia la scrittura, vertiginosamente materica.

E’ la storia di una famiglia e dell’ imprinting alla sola relazione di sottomissione. I tre figli vivono e crescono senza nessuno che trasmetta loro la gioia di vivere (imprinting materno) e senza nessuno che testimoni loro l’equilibrio tra il senso del limite e il desiderio vitale (imprinting paterno).
Una famiglia che non è il luogo della preparazione alla vita: non è il luogo dove coltivare e condividere l’amore, per moltiplicarlo. Non è il luogo del rispetto reciproco, che salvaguarda le differenze di ognuno. Non è il luogo della sana autorità, che educa a vivere secondo principi interiorizzati, necessari per far scaturire vibranti desideri.

Federico Majorana (Pietro), Beatrice Bartoli (Paola), Eleonora Danco (Franco, il padre) , Orietta Notari (Maria, la madre), Lorenzo Ciambrelli (Luca)
E’ una famiglia che si riunisce a tavola con un appetito di morte: una funesta convivialità dove c’è chi mangia per una vorace avidità di possesso e chi non mangia per sottrarsi all’invasione dell’Altro.
Maria, la mamma, in occasione del suo compleanno rivela il desiderio di voler essere “moglie” e non “madre” e – piuttosto che godere nel vedere la sua famiglia riunita – preferirebbe andare a letto prima possibile. Franco, il marito, che la ignora così come fa con i figli, è un “sepolto vivo pieno di vita”. Paola, la figlia più piccola, preferisce tenersi prossemicamente distante dal tavolo da pranzo, tanto l’inespressa rabbia verso la famiglia la blocca a vivere. Pietro è spaventatissimo dalla vita e non riesce a realizzare nulla di soddisfacente. Luca rileva l’attività del padre per risollevarla dai debiti ma anche lui è senza un vero desiderio da realizzare che lo guidi.

Eleonora Danco (Franco, il padre) , Beatrice Bartoni (Paola, la figlia)
Vestito di ombre, in secondo piano, si intravede in scena un altro tavolo: é abitato da un telefono rosso. Che non squilla mai: tutti i collegamenti verso “un’altra realtà” restano bloccati.
Nel secondo atto – “Semifreddo” – la Danco ci presenta la stessa famiglia 20 anni dopo. Nel mentre, si è passati dall’uso della lira a quello dell’euro. Nessun miglioramento nelle dinamiche relazionali attribuibile a questo cambio di moneta. Nessun valore aggiunto. Anzi il degrado sociale ed emotivo dei componenti della famiglia è decisamente peggiorato.
Alla precedente centralità del tavolo da pranzo del primo atto (“Bocconi amari”), si sostituisce ora la poltrona-trono del padre. Il tavolo da pranzo resta ma viene disertato dalla famiglia, ora convocata dal padre, per il suo compleanno, intorno alla sua poltrona-trono. Dalla quale “divide et impera”, come un “Re Lear del terzo piano”. La madre è morta e ogni vaga forma di convivialità e di ritualità si svuota totalmente di senso.

Eleonora Danco (Franco, il padre), Lorenzo Ciambrelli (Luca, un figlio)
E laddove venti anni prima la madre aveva preparato un “disperato” pranzo luculliano per il suo compleanno, ora il padre ottantacinquenne festeggia “il suo esserci ancora” offrendo un “ostinato” semifreddo. Un dolce che per sua natura non raggiunge la consistenza e lo stato di congelamento che caratterizza il gelato. Tanto da divenire l’epiteto con il quale, con tono scherzoso e irriverente, nel gergo giovanile (soprattutto negli anni ’60) si alludeva alle persone anziane: quelle che non ce la fanno a passare l’inverno.
La Danco mette in campo in questo secondo atto una regia più visionaria, più surreale e insieme più intima, che si origina proprio da quel tavolo sempre lì, in secondo piano. Abitato ora non più da un “muto” telefono rosso ma dall’inconscio rito dionisiaco dei tre fratelli. Nel corso dei venti anni qualcosa è cambiato: le barriere comunicative con “l’altra realtà” del subconscio si sono abbassate.
Nella realtà, invece, Paola rinuncia alla posizione eretta e si riduce a strisciare a terra muovendosi stesa sopra un carrellino. Rinuncia anche ai suoi abiti, per indossare l’habitus di un verme, aderendo e sfregando la sua pelle a quella del tavolato del carrellino.

Eleonora Danco (Franco, il padre), Beatrice Bartoni ( Paola, il verme), Federico Majorana (Pietro, un figlio)
Pietro è sempre più dipendente da tutto, pur di resistere al peso della vita. Luca si ammazza di attività fisica per espiare le sue colpe. Il padre-“Re Lear del terzo piano” per farsi rispettare deve ricorrere all’espediente di offrire in cambio soldi a ricompensa. Come i suoi figli ora concede più spazio alla sua vita subcosciente. E lo sguardo registico di Eleonora Danco ce la rende con ancestrale efficacia.
Uno spettacolo volutamente sconcertante, dove è affidata alla concertazione registica il dono di costruire una identità a ciascun personaggio, accordandola all’ensemble.
Gli interpreti – Eleonora Danco (Franco, il padre); Orietta Notari (Maria, la madre); Beatrice Bartoni (Paola, la figlia); Lorenzo Ciambrelli (Luca, un figlio); Federico Majorana (Pietro, l’altro figlio) – portano in scena una recitazione sapientemente fisica, ricca in tecnica e con una musicalità fisico-verbale dal sapore hard-rock . Una recitazione che attraversando la carne sa arrivare spudoratamente al cuore dello spettatore.

Recensione di Sonia Remoli
