Una storia semplice

TEATRO VITTORIA, dal 21 al 26 Marzo 2023 –

Che non si tratti di “una storia semplice” subito viene registicamente dichiarato dall’adattamento di Giovanni Anfuso . Il sipario si apre, infatti, su una scena buia dove gli attori, allineati su due diversi schieramenti, danno le spalle al pubblico. Si celano al loro sguardo. E se, una volta illuminati, si voltano lo fanno con fare losco, con sospetto. Come a difendersi. Ma da cosa? Dalle complicazioni, da scandagliare, insite nella ricerca della verità. E quindi della giustizia.

Giovanni Anfuso, il regista dello spettacolo “Una storia semplice”

A opporsi a questa prossemica, la postura aperta e solenne di Giuseppe Pambieri, voce narrante dell’autore. Entra in scena, infatti, declamando la frase di Dùrrenmatt che, a mo’ di prologo, anticipa condensandola in poche righe, l’ostinata fiducia sciasciana nel “pianeta uomo” (come ribadirà sul finale, a suggellamento):

“Ancora una volta voglio scandagliare

scrupolosamente le possibilità che

forse ancora restano alla giustizia”.

Giuseppe Pambieri (voce narrante dell’autore) in una scena dello spettacolo “Una vita semplice”

Pambieri sa come insistere, attraverso il gesto e la parola, sul valore umano e civile del concetto espresso dalla parola “ancora” (ripetuta, a breve distanza, ben due volte) facendosi luminoso portavoce, attraverso Dùrrenmatt, di quella resiliente poetica sciasciana eppure così consapevole della tentazione tutta umana a sviare dal corretto esercizio delle giustizia. Uno scetticismo “salutare” quello di Sciascia: il miglior antidoto, come era solito ribadire lui stesso, contro quel fanatismo ottimista che finisce per uccidere la libertà.

Leonardo Sciascia, Una storia semplice (1989)

D’altronde già la stessa parola contenuta nel titolo, “storia”, una delle più importanti della nostra lingua, non esprime un semplice concetto, bensì una narrazione. E, come tale, “la narrazione” si può caricare di molteplici significati, perché diversi possono essere gli sguardi, i punti di vista, su un evento.

… è un caso semplice, bisogna non farlo montare e sbrigarcela al più presto…non facciamo romanzi…”

E questa è la cifra più importante della nostra specie, della nostra ambivalente natura: quella “irriducibile disparità di punti di vista” che ci può far eccellere o che ci può condurre ad un perverso abbrutimento.

Il cast dello spettacolo” Una storia semplice” di Giovanni Anfuso

Il regista Anfuso gioca molto in questo suo adattamento sull’evidenziare le diverse narrazioni, i diversi punti di vista, tenendo un giusto equilibrio tra bene e male, tra serio e faceto, tra drammatica densità e necessaria leggerezza. Fedelmente al testo originale, Anfuso inscena una guerriglia tra quei personaggi che si ostinano a far sembrare “semplice” ciò che non lo è (sebbene appartenenti ad ambienti che dovrebbero ergersi a tutela della sicurezza dei corpi e delle anime) e quei personaggi che invece sanno dare voce ad un’ urgenza di approfondimento. Come il brigadiere Antonio Lagandara (un poetico Paolo Giovannucci) o il Professore Carmelo Franzò (sagacemente interpretato da Giuseppe Pambieri).

Guerriglia ben resa dal corpus attoriale in scena, che sa avvalersi di un opportuno utilizzo del ritmo: sottolineando efficacemente l’ossessività di alcuni atteggiamenti con un’ironica e scanzonata musicalità del suono e del movimento. Lo spettacolo si articola, infatti, dando vita esso stesso ad un affresco (complici le scene di Alessandro Chiti e i costumi di Isabella Rizza) raffigurante una “rutilante” umanità shakesperiana, ambiguamente devota ad alcune figure di santi.

Georges de La Tour, San Giuseppe falegname (1642)

La vicenda narrata viene infatti incastonata proprio nel giorno della vigilia della “sentitissima” festa dedicata a San Giuseppe falegname: il santo che rappresenta la dignità del lavoro. Ma non solo: anche il santo che rappresenta una particolare figura di “paternità”: non naturale ma che “si può scegliere”, come dirà “il figlio” dell’assassinato Giorgio Roccella. Perché sono i “padri” coloro che possono insegnare ai figli a interiorizzare il valore della “legge”, il suo carattere di necessario “limite”.

Busto di Sant’ Ignazio, ambito lombardo, XVII sec.

L’altro santo “complice” di questa “storia semplice” è Sant’Ignazio: il santo dall’intelletto “illuminato” e dall’ “intuizione” quasi infallibile, dietro il cui busto viene nascosto l’interruttore della luce del luogo in cui viene conservata la refurtiva. S

Un Santo solo apparentemente complice di un nascondimento, che infatti si rivelerà, al momento giusto, attraverso “un improvviso caso di sdoppiamento” pirandelliano: sarà proprio il commissario di polizia (un potentemente torbido Stefano Messina) a tradirsi attraverso un atto mancato. Inconsapevolmente rivelerà il posizionamento di questo interruttore “segreto”: un lapsus d’azione, come se “in quel momento fosse diventato il poliziotto che dava la caccia a se stesso”.

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, Natività dei santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, 1600

Inoltre è una tela raffigurante la “Natività dei santi Lorenzo e Francesco d’Assisi” del Caravaggio l’oggetto del desiderio innominato che spicca tra la refurtiva nascosta nella soffitta del diplomatico assassinato Giorgio Roccella e il cui furto, fatto di cronaca realmente accaduto a Palermo nell’ottobre del 1969, ha fortemente colpito la sensibilità di Leonardo Sciascia , tanto da costituire una forte ispirazione per questo suo ultimo racconto del 1989 (anno anche della sua morte).

Leonardo Sciascia (1921 – 1989)

Le arti figurative costituiscono un elemento importante per ben comprendere l’opera sciasciana. Ed è meravigliosa la soluzione scenografica finale (di Alessandro Chiti) di “riportare alla luce” la semplice maestosità della tela del Caravaggio, da dietro le sinistre – ma proprio per questo efficacissime – architetture che velano e svelano i retroscena dell’inquietante vicenda.

Leonardo Sciascia, illustrazione di ARGO | fb.com/argoimago

Uno splendido modo per tentare di sublimare il mancato ritrovamento della tela ma soprattutto per ricordare, sempre, un uomo divisivo e scomodo come pochi ma che dalla sua avversione contro i compromessi, verso la quale ci sentiamo sempre più spesso in debito, trae ancora oggi, a oltre 100 anni dalla nascita, la sua modernità. 

La dolce ala della giovinezza

TEATRO QUIRINO, dal 31 Gennaio al 12 Febbraio 2023 –

Il sipario si apre su una scena piena di vuoti.

Vuoti con i quali il regista, scenografo e costumista Pierluigi Pizzi, figura di intellettuale umanista animato da passioni che ruotano intorno alle arti visive, è stato capace di dipingere il silenzio che domina un adattamento apparentemente pieno di parole.

Pierluigi Pizzi, regista dello spettacolo “La dolce ala della giovinezza”

Come Edward Hopper seppe ritrarre la solitudine della società americana della sua epoca, diventando uno dei maggiori realisti americani del XX secolo, così Pizzi in questo adattamento mette in scena soggetti dallo sguardo così perso da sembrare non interagire tra di loro. Gli ambienti e gli sfondi sono sì luoghi reali presi dalla vita di ogni giorno ma vanno “oltre” la loro forma concreta, trasmettendo un senso di solitudine, di malinconia e d’incomunicabilità.

Elena Sofia Ricci accoglie i fragorosi applausi per la sua interpretazione nello spettacolo “La dolce ala della giovinezza”

Architetture geometrizzanti sono immerse in un sofisticato gioco di luci fredde, taglienti, e volutamente ‘artificiali’ ( ligth designer Pietro Sperduti). Hanno colori brillanti ma non trasmettono vivacità; sono reali ma in esse c’è qualcosa di metafisico, alla Giorgio De Chirico. Sono pareti, quelle che ci propone Pizzi, esteta colto e raffinato, piene di finestre di diversa natura. La finestra è l’anima di un edificio, il luogo dello sguardo per eccellenza, capace di rivelare il modo di intendere il mondo.

Edward Hopper, Sole di mattina (1952)

Un focus metafisico: ciò che permette lo sguardo dall’interno verso l’esterno, così come dall’esterno verso l’interno. Tensioni visive separate e allo stesso tempo collegate dalla finestra, attraverso la quale, tuttavia, lo sguardo del personaggio non riesce ad uscire all’esterno, in quanto imprigionato nel proprio mondo interiore. A tal punto che lo spettatore vive la contrastante condizione di colui che è invitato dentro l’intimità della scena, ma poi è respinto fuori dalla chiusura introspettiva del personaggio.

Elena Sofia Ricci in una scena dello spettacolo “La dolce ala della giovinezza”

E sempre più prepotentemente arriva allo spettatore un senso di inquietudine. E di impazienza: tema, questo, particolarmente caro al regista Pizzi che oltre a costituire un aspetto della sua natura “impaziente e nomade”, fu oggetto della sua Lectio magistralis in occasione della Laurea honoris causa in Scienze dello spettacolo, conferitagli nel 2008 dall’Università di Macerata.

 Pierluigi Pizzi alla cerimonia per la sua Laurea honoris causa conferitagli dall’Università di Macerata

Immerso nel silenzio è l’incipit dello spettacolo, dove a parlare sono i ricordi della diva del cinema Alexandra del Lago, in fuga dalle sue immense insicurezze. Pierluigi Pizzi affida l’interpretazione di questo iconico ruolo della continua ricerca dell’oblio come anestetico al male di vivere, ad una Elena Sofia Ricci piena di grazia nella sua ondivaga inquietudine.

Elena Sofia Ricci (Alexandra Del Lago) nello spettacolo “La dolce ala della giovinezza”

Pizzi la immerge in un tempo che sembra non passare mai; che sembra essersi fermato, congelato in una perenne attesa. Interessante allora il guizzo registico di rendere il passare del tempo attraverso una cadenzata discesa del sipario che, quasi come un orologio, “segna” la coordinata temporale. Un succedersi cronologico delle azioni affatto rassicurante, come sottolineato dalle dolcemente ossessive note musicali composte da Stefano Mainetti.

Stefano Mainetti, compositore e direttore d’orchestra

La dolce ala della giovinezza” di Tennessee Williams, che debuttò a Broadway nel 1959 ma fu conosciuta dal grande pubblico per l’adattamento di Richard Brooks (1962), che aveva, fra gli interpreti Paul Newman e Geraldine Page, narra la storia di Chance Wayne (qui interpretato da un ambiguamente disinvolto Gabriele Anagni ) che torna nella sua città natale in Florida dopo aver fallito il  tentativo di sfondare a Hollywood come attore.

Gabriele Anagni (Chance) e Elena Sofia Ricci (Alexandra Del Lago) in una scena dello spettacolo “La dolce ala della giovinezza”

Diventa allora un gigolò e s’accompagna alla stella (in declino) del cinema Alexandra Del Lago, non più giovanissima e per di più depressa, drogata e alcolizzata. Il ritorno di Chance trova ragione nel desiderio di riconquistare il suo primo vero amore e finalmente sfondare come attore, grazie all’ancora benefico lasciapassare della diva.

Gabriele Anagni e Elena Sofia Ricci

Personaggi, che qui nell’adattamento di Pizzi ( un po’ come nei quadri di Edward Hopper ) risaltano più che per la brutale intensità propria del testo originale, piuttosto per la feroce passività del crogiolarsi nel ricordo delle aspettative deluse, dei sogni disattesi, delle persone lasciate alle spalle. Un ricordo che resta però ancora aperto in un’attesa che prenderà differenti epiloghi.

Gabriele Anagni e Elena Sofia Ricci in una scena dello spettacolo “La dolce ala della giovinezza”

Elena Sofia Ricci e Gabriele Anagni sono affiancati sulla scena dalla complicità di Chiara Degani, Flavio Francucci, Giorgio Sales, Alberto Penna, Valentina Martone, Eros Pascale e Marco Fanizzi.

Il cast dello spettacolo agli applausi

Qui l’intervista ad Elena Sofia Ricci su Repubblica