Recensione dello spettacolo SOBRIO O UBRIACO ?

TEATRO GARBATELLA, 27 e 28 Gennaio 2024 –

Cosa significa fare qualcosa “per gioco” ?

Giocare ci rende liberi o ci gioca brutti scherzi?

Che tipo di verità  siamo disposti a sostenere quando stiamo in un gioco ? 

Se – come sosteneva Hegel – “nella sua indifferenza e nella suprema leggerezza il gioco può essere la serietà più elevata e quella unicamente vera”, cosa si cela allora dietro a un gioco? 

Intorno a queste domande ruota l’interessante testo di Asia Giulia Quarta messo in scena con brillante sensibilità dalla regista Serena Masullo.   

Un filo di noir – che la drammaturgia delle luci sa sottolineare efficacemente – s’intesse nella trama di questa scoppiettante commedia degli equivoci. O meglio, dei segreti.   

I protagonisti in scena infatti  – interpretati da Asia Giulia Quarta (Samantha), Kevin Magrì (Enea) e Lucia Torre (Erika) – pur definendosi tra loro legati da un’intima amicizia in realtà, come accade spesso nella vita di cui il gioco è  una superba metafora, sono legati da intimi segreti. E sarà  proprio un gioco a rivelarli. 

L’autentico soggetto del gioco infatti  non è il giocatore ma il gioco stesso – ci ricorda Hans-Georg Gadamer. È il gioco che ha in sua balia il giocatore, lo irretisce e lo fa stare al gioco.   

E così arriva la consapevolezza che la verità  e la menzogna sono due facce della stessa moneta: sono ciò  che ci costituiscono come esseri umani.   

Ma dove c’è  imperfezione c’è evoluzione: è tutto un gioco di leggi e caso, una dialettica tra elementi normativi ed elementi idiosincratici casuali. Qualche volta prevalgono di più gli aspetti normativi e allora il processo è abbastanza direzionato; altre volte invece prevalgono gli aspetti casuali, che fanno cambiare rotta. E si rivelano un punto di svolta.   

Ecco allora che Samantha, la protagonista principale dello spettacolo interpretato appassionatamente dall’autrice Asia Giulia Quarta, ad un certo punto della sua vita sente l’urgenza di “vederci chiaro”. E un po’ come l’ispettore Clouseau dà avvio ad una ricerca delle cause del caos in cui si trova immersa da anni. Erede del fare imbranato ma efficace dell’ispettore francese, Samantha affidandosi al proprio istinto arriva a deduzioni sconcertanti ma corrette. E da lì  potrà  ripartire.

Perchè  così  è  la vita.   

Kevin Magrì, Asia Giulia Quarta e Lucia Torre

In una scena curatissima si muovono con destrezza e afflato i tre attori Asia Giulia Quarta (Samantha), Kevin Magrì (Enea) e Lucia Torre (Erika),  che riescono a sostenere efficacemente i giusti ritmi richiesti da un testo brillante e velatamente enigmatico. Puntuali anche nei tempi comici.   

Uno spettacolo che sa trovare la giusta chiave brillante per restituire al pubblico, che segue costantemente partecipe, verità profonde ed intime.         


Fino al 4 Febbraio p.v. il Teatro Garbatella prosegue nel portare in scena gli spettacoli della prima edizione della Rassegna “Puck – Nuove Proposte Teatrali”

12 Gennaio 2024 MONOLOCALE OSPITA IL GRANDE SLAM

13-14 Gennaio 2024 IL MELOGRANO ZUCCHERINO

19-20 Gennaio 2024 FAKE NEWS

21 Gennaio 2024 GLI OCCHI DEL CUORE

25-26 Gennaio 2024 L’EBREZZA DELLA VOLATA FINALE

27-28 Gennaio 2024 SOBRIO O UBRIACO

1-2 Febbraio 2024 NON SVEGLIATE VISHNU’

3-4 Febbraio 2024 RESTI UMANI NON IDENTIFICATI E LA VERA NATURA DELL’AMORE


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo LA CASTELLANA di Giuseppe Manfridi – regia di Claudio Boccaccini

TEATRO PORTA PORTESE, dal 12 al 14 Maggio 2023 –

“Io sono ciò che ho fatto” : questo l’altero cogito della Castellana di Giuseppe Manfridi, ovvero della contessa Erzsébet Báthory , realmente vissuta in Transilvania tra il 1560 e il 1614. 

Convinta da folle lucidità che il sangue delle fanciulle vergini le garantisse un’avvenenza eterna, fece del suo castello uno spaventoso luogo di sterminio seriale: “la fabbrica del suo candore”. I documenti del processo che la condannarono a essere murata viva, parlano di centinaia e centinaia di vittime. La Báthory aveva creato un sistema perfetto per adescare giovani ragazze al fine di tradurre il loro sangue nel cosmetico di cui aveva bisogno. 

Nella sua personalissima applicazione di uno dei principi della logica, il principio di causa-effetto, per la Castellana il sangue costituiva la causa di un effetto: l’eterna giovinezza della sua pelle. Per uno scopo universale: il “vanto del paesaggio”, all’interno del quale le giovani vittime, sacrificandosi, davano forma alla loro massima realizzazione vitale. 

Giuseppe Manfridi, autore del testo “La Castellana”

Desta l’interesse dell’autore Giuseppe Manfridi, uno dei massimi drammaturghi italiani, immaginare narrativamente il suo testo concentrandolo su un particolare momento della vita della Castellana: quello in cui i gendarmi arrivano sul luogo dei delitti per cercare e trovare le prove dello sterminio. Da qui, l’arresto e la condanna.

Della drammaturgia ricca in fascino di Giuseppe Manfridi, l’acuto sguardo di Claudio Boccaccini sa contattare e dare adeguato respiro a quel “quid” impenetrabile della natura umana femminile, che solitamente resta, o si preferisce lasciare, celato. Quel lato oscuro della luna che declina il “coraggio” in sfumature diversamente epiche.

Claudio Boccaccini, il regista dello spettacolo “La Castellana”

In una situazione da “orto degli ulivi” tale per cui “la ricercata” ha la consapevolezza che la sua tremenda attesa precederà la cattura, il processo e la condanna, Boccaccini sceglie, per dare carne e sangue alla bellezza della sua protagonista (un’intensa Giulia Morgani dalle mille temperature) una Castellana corvina e vagamente androgina. Volutamente pervertendo il canone del periodo rinascimentale che vedeva coincidere la bellezza con il biondo crine unito alla succulenza delle forme. All’acconciatura “a sella” preferisce il crine libero e, spettinato, lascia che le eclissi parti del volto.

Giulia Morgani, interprete dello spettacolo “La Castellana” di Claudio Boccaccini

Voluttuosamente ingorda di sangue, la bocca: una bellezza straniante la sua, così consapevole di femminile e di maschile, da insufflare turbamenti. Ma, in verità, lei ama solo auto-sedursi: il massimo degli eccessi, proprio perché consumato in solitudine.

Giulia Morgani in una scena dello spettacolo “La Castellana” di Claudio Boccaccini

Partenopeo, poi, è l’afrore sanguigno dell’idioma che la Castellana emana e con il quale riesce, attraverso un’inusuale ed estrema vitalità che le scorre sotto pelle, a contaminare tutta la scena. Fino a sedurne l’intera platea. 

Una donna capace di innalzarsi fino alle stelle più lucenti del sapere e insieme strisciare nel seminterrato più oscuro della psiche, invocando antichi demoni. Infernalmente paradisiaco il guizzo che le pulsa negli occhi. Con un che di maligno, che rimanda al suo modo di essere orgogliosamente sola. 

“La contessa Báthory assiste alla tortura di alcune fanciulle” – Museo delle Belle Arti di Budapest

Ma proprio sola non è: tra le argute innovazioni del nuovo adattamento di Claudio Boccaccini c’è la reale presenza del “solerte nanerottolo” lacchè Janos. Creatura nata dall’estro e dalle attenzioni demiurgiche di Antonella Rebecchini, che ne realizza una copia nell’atto di chi si inchina sì con il massimo della reverenza ma con la tentazione di fuggire.

Il nano Janos nell’istallazione scenica di Antonella Rebecchini

Procastinata in un’esigenza disperata di tapparsi le orecchie e gli occhi. Come nel clima emotivo dell’ “orto degli ulivi, anche qui “la ricercata” anela un conforto dal suo “discepolo” . Che ne è incapace: spaventato com’è fino alla paralisi. Sprovvisti entrambi di capacità relazionale, condividono singole solitudini.

Locandina del film “Le vergini cavalcano la morte ” di Jorge Grau (1973), ispirato alla storia della contessa Báthory

La sua ossessione per l’eterna giovinezza della pelle, l’organo più esteso del nostro corpo, confine tra noi e l’esterno, é espressione di un profondo disagio. La pelle, infatti, ci parla del difficile equilibrio tra il bisogno di proteggerci e l’esigenza di avvicinarci all’Altro. Rappresenta sia “il confine” che ci protegge, che “il luogo dell’incontro” con l’Altro.

Paloma Picasso interpreta la parte della contessa nel film “Contes Immoraux” di Walerian Borowczyk (1974)

Ma ciò che davvero è degno di nota, e la regia di Boccaccini lo sottolinea raffinatamente nella drammaturgia di Manfridi, non è tanto che la Castellana non riesca a trovare un equilibrio tra queste due spinte, quanto piuttosto riconoscere come proprio queste deviazioni e disequilibri comportamentali ci rivelino qualcosa di “vero” sull’essere umano.

Giulia Morgani (La Castellana di Boccaccini) e il nano Janos di Antonella Rebecchini

“Solo ciò che degrada, appartiene alla vita”: il crimine, la perversione, la follia, infatti, rappresentano paradossalmente espressioni essenziali dell’umano. Nel mondo animale non esistono, perché le bestie rispondono solo al comando univoco dell’istinto. Noi umani possiamo, invece, declinare le pulsioni per-vertendole e stravolgendole in svariate modalità. Ecco allora la folgorante scelta di vestire la Castellana di un vaporoso abito bianco: cromaticamente simbolo di purezza e insieme di summa emotiva, di mescolanza di bene e di male.

La locandina del film “Stay alive”,  film horror del 2006, scritto e diretto da William Brent Bell e ispirato alla storia della contessa di Báthory

Nella follia più folle, quella che non conosce dubbi e confina l’errore solo nell’Altro, arriva la condanna per i suoi crimini: un muro asfissiante che sancisce definitivamente la fine di ogni possibile relazione osmotica con il mondo esterno. Una seconda pelle impermeabile: inumanamente eterna.

Claudio Boccaccini

Potentemente evocativa la scelta registica di immergere lo spettacolo in una drammaturgia musicale, costituita da un tramestio uditivo di movimenti cadenzati, sensazioni, suoni e grida. Uno spettacolo, questo di Claudio Boccaccini, che apre e alimenta suggestioni che non si esauriscono con la fine spettacolo. Anzi.

Quel che resta del castello di Cachtice in Slovacchia


Recensione di Sonia Remoli