MOBY DICK ALLA PROVA – uno spettacolo di Elio De Capitani

TEATRO VASCELLO

dall’11 al 16 Marzo 2025

Con il suo “Moby Dick alla prova” il regista Elio De Capitani ci dona un’intensa testimonianza di teatro civile. Manda in scena “la prova” di una vocazione alla militanza, che si manifesta nella tensione a concertare non solo il lavoro ma soprattutto lo stare al mondo di una eterogenea comunità. Sul ritmo musicalmente flessibile del respiro di un canto. 

Elio De Capitani

Ne sono una stupefacente dimostrazione di bellezza i canti che abitano appassionatamente la scena – i cui cori sono diretti da Francesca Breschi – e che sono accurate rielaborazioni degli sea shanties: antichi canti marinareschi usati assai efficacemente per accompagnare il lavoro coordinato di gruppo. 

Erano infatti forme musicali dal testo “flessibile” e quindi “disponibile” ad entrare in accordo con le “diverse” mansioni richieste per il funzionamento della nave. Canti che qui, a loro volta, si ritrovano accompagnati, o contrappuntati, da un’orchestra di accenti ritmici, frutto di varie modalità di percussione dei piedi o degli stessi oggetti di lavoro. Ed è pura bellezza.

Angelo Di Genio è Ismaele

Il nostro essere gettati al mondo è fratello a quello di Ismaele (qui un intenso Angelo Di Genio): abbiamo tutti un destino da erranti, da nomadi, sebbene sempre in bilico tra un confortevole desiderio di sicurezza, a terra (che rischia però di deprimerci) e una misteriosa attrazione verso l’apertura avventurosa, in mare (nella quale possiamo perderci). 

Un destino da erranti, specchio del nostro difficile rapporto con la libertà. Che da un lato ci inebria e dall’altro ci angoscia. Che da un lato ci tenta a dominare sugli altri e dall’altro ci fa sentire piccoli e impauriti. Fino a paralizzarci, preferendo consegnare la nostra libertà nelle mani di qualcun altro.

Elio De Capitani qui è il Capitano Achab

Perché come Ismaele sappiamo poco di noi stessi: per un periodo della nostra vita sono stati altri a darci un nome e un’identità, ma nel restante periodo che ci è concesso di restare al mondo, sta a noi voler scoprire chi siamo e fare qualcosa di nostro di quello che altri hanno iniziato a fare di noi.

Il “Moby Dick alla prova” di Elio De Capitani è la testimonianza di un invito “a provare” a vivere, guidati da un sogno da realizzare. Insieme. Nonostante e grazie alle nostre differenze. Grati per la “gioia di prepararlo”. Per la gioia di mettersi “in prova” e “alla prova”. Al di là della sicurezza di riuscire a portarlo in porto, così come inizialmente immaginato. Permettendoci, cioè, di esplorare tutti i cambi di rotta che durante la navigazione si presenteranno, in quanto inaspettate e fertili occasioni a cui prestare ascolto. E cercando di non farci tentare, come è accaduto al Capitano Achab, dall’ossessione a seguire ciecamente solo il nostro egoistico sentire: a volere e ad essere tutto.

La ciurma del Pequod (la cura dei costumi è di Ferdinando Bruni)

La bellezza di questo spettacolo sta proprio nel modo di restituire allo spettatore quei continui e necessari “tagli” propri di un lavoro comune in fieri, in prova. Individuando i momenti in cui saper lasciare spazio all’altro da noi: che sia il sentire di un nostro simile, l’incontro con un’esperienza inaspettata, un momento di riflessione, un cambio di rotta. 

Come esemplificato, ad esempio, da quel fulgente avanzare del capocomico De Capitani che, come coltello, separa le due file di tavoli e rende incandescente la sensazione dell’urgenza di dare vita a una biforcazione del cammino fino ad allora avviato dalla compagnia. Separando (in realtà solo apparentemente) le prove in corso del “Re Lear” di Shakespeare, per passare ad una nuova (e complementare) prova: quella del “Moby Dick alla prova”, appunto.

Una bellezza del “tagliare” che si completa con la capacità a saper “lanciare ponti”. Concetto quest’ultimo efficacemente visualizzato dal regista De Capitani attraverso la scelta di versare nell’orecchio, oltre che nell’occhio, dello spettatore quella “stabilità all’accordatura” offerta dal timbro chiaro e penetrante dell’oboe. Magnificamente suonato dal vivo dall’eclettico musicista, qui anche baleniere, Mario Arcari.

La versatilità e la capacità espressiva dell’oboe nasce infatti da una felice combinazione tra abilità tecnica, resistenza fisica e sensibilità musicale, metafora di un particolare modo di stare al mondo: un modo di appassionarsi a conoscere se stessi (nel bene e nel male) per potersi aprire all’ascolto del diverso da sé. Diventando così anche punto di riferimento per l’altro.

Elio De Capitani (Achab) – Enzo Curcurù (Stupp) – Mario Arcari (baleniere all’oboe) – Cristina Crippa (direttrice di scena/narratore/cambusiere) – Alessandro Lussiana (Elia e Tashtego)

Dall’intrigante bellezza rock sono poi “i ponti” gettati dall’affascinante stare in scena (e al mondo) della direttrice di scena/narratore Cristina (Crippa), storica fondatrice del Teatro Elfo Puccini. La sua capacità di “legare” nasce dal seguire “la prova” stando un passo indietro: seduta al suo tavolino rosso, inscritto in uno spazio dalla “sacralità” circolare. Lei autentica custode dello spettacolo, oltre che della cambusa.

Insomma, un adattamento registico e drammaturgico – la traduzione prevalentemente in versi sciolti dal romanzo di Herman Melville è della poetessa Cristina Viti – davvero interessante. Cifra dell’unione fra il singolo e il mondo e quindi invito alla partecipazione e al coinvolgimento. Senza interesse infatti l’uomo non si avvicina e non si arpiona alla sua realtà, quale nodo solido di una rete. 

Una rete di cui si fanno magnifici testimoni gli interpreti sulla scena: con Elio De Capitani, Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa.

Splendida dimostrazione di quel teatro “totalizzante” tanto amato da Gigi Dall’Aglio, al quale lo spettacolo è dedicato. E verso il quale Elio De Capitani non manca di gettare un ponte.

Si può dire che “ponte” sia la parola chiave intorno alla quale, a più livelli, gravita lo spettacolo. Che infatti attesta la sua efficacia, ad esempio, nel rendersi un ponte trans-generazionale capace di attraversare trasversalmente le tre generazioni di interpreti in scena. Ma anche quelle in platea.

Un ponte, ancora, tra la realtà sapientemente scarna della scena shakespeariana e la fantasia dello spettatore. E poi, tra contenente e contenuto: nel momento in cui la scena diviene il più favoloso degli “oggetti” di scena . Una magia anche “umanamente” preziosa, proprio perché fatta “con quello che c’è”. Senza presunzioni.

Decisamente uno spettacolo pieno di fascino, questo “Moby Dick alla prova” di Elio De Capitani: ben edificato e insieme così ricco in spontaneità, da riuscire a trasferire allo spettatore il magnetismo della gioia con cui è stato messo in prova.


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo MOBBING DICK – di e con Caroline Pagani –

TEATRO LO SPAZIO, 9 e 10 Ottobre 20224 –

Si apre con un prologo tratto dall’VIII canto dell’ “Orlando furioso” lo spettacolo di Caroline Pagani che  – con fine sagacia –  lancia un monito a guardarsi da coloro che si nascondono dietro l’incantesimo della parola – prima magia dell’uomo – per dare vita alla genesi dell’impossibile.

Una giovane attrice piena di entusiasmo si presenta ad una audizione. Trafelata arriva in teatro e sale sul palco con una valigia piena di costumi di scena. Non sa ancora che salire su un palco questa volta significa salire a bordo della nave di un ostinato Capitano Achab, ossessionato dall’idea di poter riuscire a “catturare” le ignote profondità di una Moby Dick attraverso l’esercizio del potere che il ruolo gli conferisce. E sebbene il tema affrontato sia serissimo, la Pagani riesce ad affrontarlo con la giusta dose di ironica comicità.

Cavallo di battaglia dell’attrice-esaminanda è Shakespeare, o meglio le figure femminili delle sue opere: donne di cui il Bardo analizza mirabilmente i diversi volti della psiche.

Convinta di essere opportunamente preparata e quindi pronta – “perché come dice Amleto essere pronti è tutto” – scoprirà che il vero fine dell’audizione è un altro. Ma ciò nonostante lei si dimostrerà comunque “pronta”.

Sebbene infatti il regista esaminante fin da subito semini dubbi sul suo autentico intento e l’attrice a qualche livello lo percepisca, lei continuerà a rispondere – senza smarrire coraggio e consapevolezza – alle richieste tendenziose del regista cambiando continuamente pelle.

E così, dall’ ambigua austerità monacale di Isabella (protagonista del dramma shakespeariano “Misura per misura”) approderà – attraverso continui cambi d’abito e d’ ”habitus” – alla dichiarata sensualità di Cleopatra. E da qui arriverà un finale di riscatto, tutto personale.

Uno spettacolo, questo che ci propone Caroline Pagani, che indirizza lo sguardo dello spettatore “sulla  parte acquea del mondo”, non solo attoriale. Senza perdere il sorriso, però. Proprio come riesce a fare un’altra donna che il personaggio della Pagani porta sempre con sé: l’indipendente e autoironica Betty Boop, dall’irresistibile fascino surrealistico.


Recensione di Sonia Remoli