Recensione dello spettacolo 456 – scritto e diretto da Mattia Torre

TEATRO VASCELLO, dal 27 Febbraio al 3 Marzo 2024 –

In principio era il sugo: quello della nonna.

Dal giorno della sua morte, quattro anni or sono, il sugo silenziosamente continua a sobbollire sul fornello, grazie ai continui rabbocchi dei familiari: un rituale ossessivamente rispettato all’interno del quadrato magico di questa trinità etologica.

Tra cura e accanimento, si continua a mantenere in vita questa divinità familiare (che si crede contenere “l’anima della nonna”) nella speranza che prima o poi la cottura alchemica trasformi – e quindi renda digeribile – ciò che ancora risulta indigesto.

Ad esempio il nervosismo carico di dubbi di Genesio (Carlo De Ruggieri), il figlio di Ovidio (il pater Massimo De Lorenzo) e di Maria Guglielma (la mater Cristina Pellegrino), che si rifiuta sommessamente di onorare il rituale familiare.

Cristina Pellegrino (Maria Guglielma, la mater); Carlo De Ruggieri (Genesio, il figlio) e Massimo De Lorenzo (Ovidio, il pater)

ph Alessandro Cecchi

Lui, più dei genitori, è tentato dal solletico del vento: osa sognare evadere. Per tenere sotto controllo la tentazione a desiderare deve fumare, illudendosi così di produrre lui il vento. Oppure deve lasciarsi cadere nell’incantesimo di una ninna nanna, somministrata puntualmente dalla mater nel suo orecchio: un irresistibile racconto sul suo animale totem, il ghiro, tratto da una sorta di bibbia del mondo animale, dove si descrivono tutti i pericoli del sottrarsi da una rassicurante letargia esistenziale.

Ma anche Ovidio, il pater, è particolarmente nervoso a causa del vento: un libeccio che non soffia solo fuori. E lui lo sa. Ma si può domare: nel suo caso risulta efficacemente letargico l’udir il succulento dispiegarsi di un menù – ed è sempre la mater colei che shakespearianamente somministra il farmaco della parola che seduce/manipola nell’orecchio – ideato specificatamente per scongiurare possibili nervosismi da parte di un ospite (Giordano Agrusta) dal quale ci si aspetta una conferma. Misteriosa.

Messo a tacere il nervosismo di Ovidio, ora la famiglia può passare alle prove della messa in scena della cerimonia d’accoglienza dell’ospite: una dimensione meta-teatrale dove il pater si fa director (regista).

Carlo De Ruggieri (Genesio, il figlio), Giordano Agrusta (l’ospite), Cristina Pellegrino (Maria Guglielma, la mater) e Massimo De Lorenzo (Ovidio, il pater)

ph Alessandro Cecchi

E poi c’è Maria Guglielma: lei, oltre ad esser l’unica a detenere il potere di saper insufflare seducenti farmaci, è abitata da un vento di mancata giustizia che nessuno dei due uomini sa domare efficacemente, se non attraverso botte e sputi. Ma i venti delle donne sono diversi: richiedono una cura speciale per essere calmati. E intanto lei sa aspettare.

ph Alessandro Cecchi

Il loro è un microcosmo familiare ancestralmente lontano eppur vicino a noi: dalla prossemica etologica sì, ma nella quale non fatichiamo a riconoscerci. Perché l’odio viene prima dell’amore; perché l’istinto di sopraffazione ci costituisce come esseri umani e l’amore invece va imparato.

Anche di questo ci parlano la drammaturgia e la lingua – cesellata ad hoc per questo spettacolo – di Mattia Torre, che osano spingersi sul confine tra umano e animale.  Ma non sul confine che separa i due mondi; piuttosto sulla frontiera intesa come luogo d’incontro dei due mondi, solo apparentemente opposti. Perché anche il bene è contiguo al male, così come il riso è contiguo al pianto. E spingersi proprio lì dove i due opposti sono così vicini produce uno stato di grazia: feroce e giocosa. Elegantemente irriverente.

Mattia Torre

Perché la catarsi che si produce è una presa di consapevolezza profonda che non spinge il pubblico a rimanere frustrato. Ma a rilanciare. Sempre.

Perché se è vero che siamo stati gettati al mondo in questa crudele precarietà di sopraffazione, dove la famiglia è anche la prima esperienza di crudeltà protettiva e l’imprinting della difficoltà di tessere sane relazioni, è vero anche che esiste una miniera di possibilità a cui attingere e a cui credere sempre. Subito. A cosa nello specifico? “A questo poi ci pensiamo”.

– ph Alessandro Cecchi –

Gli attori in scena – Massimo De Lorenzo, Carlo De Ruggieri, Cristina Pellegrino e Giordano Agresta – sono la stupefacente materializzazione della babele linguistica che riesce ad essere contenuta in questo nuovo idioma, che esprime con esplosiva efficacia una scrittura drammaturgica così materica da risultare quasi metafisica. Dove anche gli oggetti di scena rispondono ad una loro prossemica simbolica. Dove tutto recita. Dove tutto ci è necessario.

Uno spettacolo che riesce a farci morire dalla voglia di vedere come siamo in realtà: al di là delle convenzioni, del quieto vivere, del politically correct. 

Uno spettacolo che ci fa desiderare conoscere la nostra scandalosità: lo scandalo dello stare al mondo. Lo vediamo e insieme ci detestiamo e ci commuoviamo.

Uno spettacolo che ci apre gli occhi sul peggio di noi e in qualche modo ci permette di accettarlo. Non per crogiolarci, tutt’altro.

Per rilanciare. Sempre.

Recensione di Sonia Remoli


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