Recensione dello spettacolo ERODIADE di Giovanni Testori – regia Marco Carniti – con Francesca Benedetti

TEATRO BASILICA, 21 Febbraio 2024 –

Non fu con gli occhi il loro primo incontro.

Fu con la voce: quella di lui, calda, tonitruante.

Così è l’orecchio di Erodiade l’ingresso attraverso il quale prende corpo tutta la potenza dannatamente erotica di Giovanni Battista. Ed è questa sua carnale carica vocale che l’Erodiade di Francesca Benedetti riesce ad “ereditare”.

E’ una mirabile Francesca Benedetti quella infatti che ci si da’ attraverso l’oscura sensualità della voce che si scopre carne: quella del Battista, quella che tanto l’aveva “inchiodata”.

E che ora inchioda noi del pubblico.  

Francesca Benedetti

Se per qualche ora Erodiade può finalmente stringere un frammento di quel corpo tanto desiderato e negato, per sempre conserverà in sé quella sua rovente tattilitá vocale e la tenebrosità di quei colori.

È un “laiare” (un lamentarsi, verbo derivato dal termine “lai”) che la Benedetti plasma. Se ne hanno echi sulle mani, sulle tensioni interiori che danno forma ai drappeggi della sua tunica. E poi in quelle trasformazioni del respiro. 

Il trono dal quale parla, finalmente sola con quel che resta di Giovanni Battista, è un’elegante e minimalista installazione che oltre ad essere un trono allude alla stilizzazione di una croce: quella sulla quale lei si offrirà come vittima, in una fusione cromatica disperatamente commovente.

Erodiade, il personaggio biblico spesso messo in ombra dalla sensualità della figlia Salomè, nel testo di Giovanni Testori racconta il suo disperato amore per Giovanni Battista e l’inaccettabile rassegnazione davanti alla sua scelta di morire martirizzato, piuttosto che cedere alle sue offerte amorose. Un’Erodiade vittima, non carnefice.

Francesca Benedetti

La regia di Marco Carniti sceglie con efficacia di incentrarsi sull’ossessione di Erodiade a voler “decidere”: sul suo non rassegnarsi a subire la scelta castrante del Battista. Ad avere anche lei parte attiva, pur consapevole di agire dentro un finale in realtà predestinato.  Suo è il desiderio ossessivo di “decidere” e quindi di “tagliare”, reso con lacerante e compulsiva efficacia anche dalla drammaturgia sonora di David Barittoni.

Francesca Benedetti e Marco Carniti

Una magnifica ossessione che prende forma dalla fusione alchemica che si realizza all’interno del flusso di coscienza che Testori affida ad Erodiade. E che si manifesta attraverso l’inchiodata dirompenza dell’interpretazione di Francesca Benedetti che, come in un basso rilievo, si staglia dal fondale dei suoi stessi pensieri. Un fondale che prende forma attraverso il multiforme scorrere di quei disegni con la stilografica delle oltre settanta posizioni della testa recisa del Battista, che effettivamente nacquero nella mente di Giovanni Testori parallelamente alla gestazione della scrittura di questo lacerante lamento.

Uno spettacolo che onora la ricorrenza del centenario della nascita di Giovanni Testori e la vertiginosa poliedricità della sua parola materica.

Francesca Benedetti è viva e vibrante testimonianza del continuare ad esserci di Giovanni Testori.

L’affluenza straripante e incontenibile ieri sera al Teatro Basilica la prova del suo essere ancora così necessario.

Bisogna amarsi meno,

bisogna lasciare al tempo

l’ingorda gioia d’insegnare

che l’amore non è ricevere,

né dare,

ma lasciarsi prendere,

affondare

—-

Giovanni Testori

(da Non a te nudo amore, di Massimo Recalcati e Nicola Crocetti)

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Recensione di Sonia Remoli

Falstaff e le allegre comari di Windsor

GIGI PROIETTI GLOBE THEATRE SILVANO TOTI, Fino al 10 Luglio 2022 –

Dal 24 giugno al 10 luglio ore 21.00 (da mercoledì a domenica)

FALSTAFF E LE ALLEGRE COMARI DI WINDSOR

di William Shakespeare
Regia di Marco Carniti
Traduzione e adattamento Marco Carniti

Produzione Politeama s.r.l. 

Una bandiera in attesa, in tensione. Una scelta di luci la identifica come la bandiera dell’Italia: epico omaggio, al suo Paese d’origine, del regista di fama internazionale Marco Carniti . Ma perché scegliere di “farla recitare” proprio in questa tensione d’attesa? E’ in attesa di salire o in attesa di scendere completamente? Magari entrambe le possibilità. Perchè il Teatro è un enorme silenzio di attese e, come ricordava la bandiera che svettava sopra il Globe Theatre dei tempi di Shakespeare, “Tutto il mondo recita”. La bandiera dell’Italia, allora, sta ontologicamente salendo e scendendo. Come la vita insegna.

Il Teatro è il luogo che accoglie le diverse verità. Centro di tutti i mondi e di tutti i popoli. Anche per questo l’Inno nazionale Inglese che apre lo spettacolo sa trasformarsi nell’Inno nazionale dell’Italia. Che a sua volta si traduce in un gran fragore, che arriva dalle nostre spalle.

Avanzano dalle entrate della platea, infatti, con travolgente esuberanza gli attori, che a breve saliranno sulla scena. Sembrano una rappresentanza delle maestranze del teatro, accompagnati da quei “flight-cases” con i quali ormai (dopo la pandemia) siamo abituati ad identificare i rappresentanti del mondo dello spettacolo.

Quei bauli neri cioè che, nel corso della rappresentazione, il regista scopriremo eleggere ad elementi modulari della scenografia. E che sapranno diventare cesta, vasca, canapè, tavolo, ecc.ecc. In questa sorta di proemio allo spettacolo, gli attori prossemicamente in platea, presentano non solo se stessi (rivelando il proprio nome e il ruolo che andranno ad interpretare) ma anche il tipo di rappresentazione che a breve insceneranno.

“La più divertente commedia sulle malelingue” la definiscono. Alludendo ai “rumors” (ambigui “flauti” mozartiani, o rossiniani “venticelli” calunniatori) e all’incapacità dell’epoca (e non solo) di accogliere e valorizzare le differenti “lingue” dei popoli. Tentazione babelica di ridurre la pluralità ad una singolarità, presunta superiore. E più in generale alludendo a tutto ciò che di “straniero” abita gli spazi, spesso “carsici”, della nostra umanità: scenograficamente resi, con grande suggestione, attraverso la presenza di “cannule”: quasi stalattiti e stalagmiti del nostro sottosuolo.

Ma “lo straniero” più difficile da accogliere e da tradurre è l’archetipo del “femminile”, di cui il regista Carniti ci propone un vero e proprio elogio. Le sue donne, a prescindere dall’estrazione sociale, “la sanno molto più lunga” degli uomini. Ma anche negli uomini più “hard”, Carniti fa risaltare la presenza di questo oscuro “ingrediente”: gli alfieri di Falstaff, ad esempio, pur presentandosi apparentemente come i più duri dei motards, risultano inclini al pettegolezzo non meno delle donne.

E poi Frank Ford: così attento a custodire la propria virilità e così ossessionato dall’ eventualità di ritrovarsi delle corna tra i capelli, non si accorge di quanto “femminile” c’è in lui nel momento in cui è disposto a calarsi in nuove vesti, per andare ad annusare il livello di intimità tra sua moglie e l’ipotetico amante.

Ma è con la “sua” Madama Quickly che Carniti tocca l’apice dell’estrosità: ecletticamente in accordo con la tradizione elisabettiana (che soleva attribuire ruoli femminili a uomini) è ad un uomo che il regista affida il ruolo di questa donna, che brilla sulla scena e all’interno del suo adattamento per la ricchezza delle proprie “risorse” femminili. Un essere geniale proprio per il fertile uso che fa sia dell’archetipo “maschile” che di quello “femminile”. Che sa in quanti modi si possono usare mani, lingua, gambe, scopa, istinto. Che sa come prendere quello che vuole da tutti, consapevole che niente è solo suo. Né dura per sempre.

Molto interessante anche la resa che Carniti fa del paggio Simplicio, racchiusa, acutamente, nel suo intercalare “non è vero, sì !” e del paggio di Falstaff, Robin: creatura musicale nonché “veleggiante” Cupido, che alla fine della narrazione esibirà una natura anche “satiresca”.

Il regista Carniti, si rivela come suo solito un abile “compositore” teatrale. La bellezza estetica, il suo senso del bello, sono la cifra del suo stile. Dagli allestimenti ai costumi, tutto rifulge e insieme comunica significati. I costumi delle due comari, ad esempio, oltre ad essere stilosamente accattivanti, contribuiscono a sottolineare, nel loro alternarsi “a specchio” di bianco e nero, il complice completarsi emotivo delle due solerti donne. Lo stesso dicasi per l’orientamento dello “svilupparsi” delle loro acconciature.

Anche in teatro, ambiente meno libero rispetto a quello della lirica, Carniti dimostra di saper trovare escamotages per modificare la scena, regalandole di volta in volta la giusta atmosfera. Un’analisi profonda e appassionata la sua, che ci apre le porte di un mondo denso, carico di significati e che viaggia nel tempo senza perdere d’intensità. Una messinscena poetica, evocativa e insieme moderna, attuale. Che ci permette di sognare, o di ridere, oltre che di pensare.

Pur costituendo un armonico “unicum” polifonico, gli interpreti sanno regalare ciascuno qualcosa di unico, di nuovo, di speciale.

Interpreti

SLENDER Tommaso Cardarelli

MADAME QUICKLY Patrizio Cigliano

MADAME FORD Antonella Civale

NYM Roberto Fazioli

MASTER FORD Gianluigi Fogacci

FENTON Sebastian Gimelli Morosini

ROBIN Dario Guidi

FALSTAFF Antonino Iuorio

GIUDICE SHALLOW Roberto Mantovani

ANNE PAGE Valentina Marziali

EVANS Gigi Palla

MADAME PAGE Loredana Piedimonte

PISTOL Raffaele Proietti

MASTER PAGE Mauro Santopietro

BARDOLFO Alessio Sardelli

SIMPLICIO Federico Tolardo

Musiche

MARIO INCUDINE Arpa dal vivo DARIO GUIDI

Aiuto regia

MARIA STELLA TACCONE

FRANCESCO LONANO

Assistente alla regia

ILARIA DIOTALLEVI

Costumi

GIANLUCA SBICCA

Scene

FABIANA DI MARCO

Assistente scenografa

GIULIA LABARDI