Recensione dello spettacolo PUPA & ORLANDO – da Giuseppe Fava

TEATRO LO SPAZIO, 1 e 2 Febbraio 2024 –

– Tratto dai testi di GIUSEPPE FAVA –

Dov’è la verità ?

E’ notte: Pupa va in strada per fare “carezze d’amore” . Spaventata, sussurra di Nino Rota Canzone arrabbiata. Ma una struggente malinconia domina sulla rabbia.

Canto per chi non ha fortuna

Canto per me

Canto per rabbia a questa luna

Contro di te…

Contro chi e ricco e non lo sa…

Chi sporcherà la verità

Penso all’illusioni dell’umanità

Tutte le parole che ripeterà…

Dipinto di Giuseppe Fava

Gli avventori le dicono che lei è una cosa inutile; si dimenticano il suo nome. Ma lei non perde la consapevolezza della sua identità.

Perchè si racconta a noi. E così grazie al potere del racconto può continuare a tenere insieme tutti i ricordi che le danno la prova di esistere. 

Pupa s’innammora: riesce sempre a trovare qualcosa di cui innammorarsi. E ne è felice. Scopre di diventare madre ma prima che nasca suo figlio muore il suo Michele. Allora il bambino si chiamerà come suo padre e oltre al nome ne erediterà il destino.

Marco Aiello (Orlando) e Claudio Pomponi (Pupa)

L’amore poi prende il nome di Orlando ma lui la fa esibire nelle piazze: è il suo amore e il suo pappone. Sono storie d’amore e di morte. Pupa lo sa: basta chiudere gli occhi e immaginare che quelle carni siano del suo Orlando.

Ma le narrazioni di Pupa e di Orlando differiscono: dove sarà la verità?

Dipinto di Giuseppe Fava

Pupa si strugge per i suoi figli, per le contraddizioni dell’essere madre: desiderare di spingere fuori – alla vita – il proprio figlio ma poi desiderare anche farlo rientrare nel proprio grembo. Proggerlo dal crescere, dall’allontanarsi, dall’essere indipendente. Dal morire.

Quanto vale la vita di un uomo ?

Claudio Pomponi (Pupa) e Marco Aiello (Orlando)

In un’epica del sopravvivere dolce-amaro, Marco Aiello (Orlando) e Claudio Pomponi (Pupa) – a scena quasi nuda – riescono a “riempirci gli occhi di parole e la gola di sospiri per amore”.

La Pupa di Pomponi brilla di un femminile in purezza: candido e sordido; delicato e prorompente. E di una vocalità sinuosa e suadente. Un femminile trasversale all’ontologia del genere.

Di Marco Aiello emerge la versatilità, nella quale si muove attraversando le pluripartiture che in lui prendono vita: dall’avventore al musicista (di lacerante bellezza i suoi interventi contaminanti con l’armonica a bocca); dall’avvocato al pappone. Sostiene con efficacia e credibilità un dialetto siciliano parlato con un ritmo vorticoso eppure chiarissimo, netto, opportunamente articolato.

Entrambi ricordano un po’ i guitti della commedia dell’arte ma il riferimento più esplicito e ai cantastorie erranti siciliani. 

Uno spettacolo che brucia il cuore.

È il teatro di Giuseppe Fava: il teatro che punta la luce sulla “normalita”, sullo stile popolare dal linguaggio denso e marcato. Sull’ “antica ed eterna contraddizione di vivere tra infelicità e speranza”. Un teatro come esercizio del potere investigativo verso la ricerca di quella libertà, che non è un dono di natura ma ardita e consapevole conquista.


Recensione di Sonia Remoli