CONCERTINO PER GLI SCONFITTI DALLA VITA – di Niccolò Fettarappa e Lorenzo Minozzi

INDIA CITTA’ APERTA

8 Luglio 2024

Stupefacente apertura dell’India Citta Aperta  – la proposta estiva del Teatro India – con il brillante e affilato concerto/spettacolo di Niccolò Fettarappa  e Lorenzo Minozzi.

Un elogio degli sconfitti “dalla” vita (e non “della” vita). 

Perché la vita attuale – canta con penetrante perspicacia il duo – rende i giovani “figli iper protetti” e necessariamente con un presente – nonché un futuro – da “sconfitti”. 

Ma lungi dall’essere unicamente una spietata analisi che – scivolando fatalmente su un piano inclinato di sempre maggiore aggressività – si limiti a “biasimare” una situazione di crisi, i due invece brillano per la loro tensione a combattere. E per “concertarsi” insieme al pubblico, così da condividere soluzioni surrealmente vivaci.

Perché “un concerto” è qualcosa che può caricarsi di una valenza non solo musicale ma altresì di un impegno politico-sociale. Significa cioè preparare e armonizzare più persone a compiere un’azione comune, così come preparare dei musicisti, o accordare gli strumenti, per l’esecuzione di un pezzo.  

In questo senso Niccolò Fettarappa e Lorenzo Minozzi, cantando del loro disagio, si fanno aedi della loro generazione. Le cui gesta – assai poco epiche – anelano ad una trasformazione. Possibile, appunto, soltanto attraverso una concertazione: un accordo comune che tuteli le diversità di ognuno.

Al calar del sole, sul paesaggio dall’archeologia industriale – di cui gli spazi non convenzionali del Teatro India sono uno splendido esempio di “fabbrica del teatro di domani” – si alza un canto solennemente scanzonato (le musiche sono di Lorenzo Minozzi e Niccolò Fettarappa) sullo stare al mondo da “sconfitto dalla vita” di Niccolò Fettarappa: “un poveraccio come voi”, che a 29 anni vive ancora con la mamma. Ma soprattutto è un tipo “un po’ bruttino e con la cervicale, che ha fatto questo concerto per dire che sta male”.

Il secondo “pezzo” della serata, introdotto dalle note blues di un’armonica a bocca, è un’ode di scusa alla mamma dove in prima persona Fettarappa si racconta: “non farò mai il concorsone, mamma, io mi iscrivo al Dams. Mamma, vieni qua, devi pagare l’università”.

Segue una paradossale riflessione esistenzialista di serendipity : “volevamo scrivere un concerto. Non ce l’abbiamo fatta. E’ uscita fuori una riforma delle pensioni”. E così – partendo dal presupposto che le prossime generazioni, ancor più della loro, rischieranno di non percepire pensioni – il duo propone una riforma che preveda l’assegnazione della pensione alla nascita, “visto che non abbiamo scelto noi di nascere”. A 60 anni poi, si potrà rinunciare alla pensione ed iniziare con il primo stage e con i tirocinii non pagati.

E ancora un pezzo sulla richiesta di essere inclusi nei fondi europei: “vorrei fondi europei, perché la paghetta di mamma non mi basta più… da bambino sognavo vitalizi … ma basta: non piangiamo più sul voto versato”.

Con profonda leggerezza Fettarappa passa poi ad un’esilarante quanto acuta analisi semiotica dei tormentoni estivi spagnoli, secondo i quali l’estate è un imperativo ginnico. Tutto un “bailar  esta noche sulla playa con una mano sulla colita”.

Esamina poi la tendenza all’amore tossico, al poli-amore, alla depressione, fino ad arrivare a cantare la conquista – improbabile – del ”bonus psicologo”: una paradossale epopea burocratica.

Ma il finale si fa prossimo e Fettarappa invita il pubblico ad avvicinarsi per confessare, con feroce ironia, una verità esistenziale, oggi ancor più invadente di sempre. 

Un  concertare – questo di Fettarappa e Minozzi – forte, prestante, vigoroso, vivace, intraprendente, risoluto, coraggioso, appassionato.

Insomma: rampante.

Uno spettacolo iconico di una generazione, che apre fulgentemente la proposta estiva di uno spazio “aperto” qual è quello del Teatro India, dove è possibile continuare a vivere la sperimentazione artistica, contaminandosi con nuovi linguaggi espressivi. Percependosi come “comunità”.

India Città Aperta è la proposta estiva del Teatro India,  promossa dalla Fondazione Teatro di Roma , in collaborazione con Dominio Pubblico ETS e curata dal direttore artistico Tiziano Panici.

Una proposta che prende vita dal desiderio di rendere lo spazio del Teatro India fertile al dialogo tra generazioni diverse e ai loro linguaggi, che spaziano tra teatro, stand up, circo, musica, cinema, podcasting, editoria. 

Un progetto che vuole animare l’estate dei cittadini romani, a cominciare dai bambini, attraverso laboratori ad hoc, per arrivare agli adulti, fino agli anziani.  È un modo per accogliere tutti, indistintamente, e immergere gli spettatori nella cultura, attraverso più di 50 eventi, che coinvolgono più di 100 artisti.

Una proposta che si dà come un’occasione per incontrarsi e celebrare la creatività. Percependosi come comunità che cresce attraverso l’arte e la cultura, sperimentate insieme agli artisti. Una comunità disposta a condividere, sentendosi coinvolta in ciò che vede. 

Dall’8 luglio al 3 agosto India Città Aperta, accoglierà i romani e i turisti che vorranno visitarla, con eventi che si articoleranno dal mattino alla sera, con un calendario ricco di esperienze immersive. 

Un fiume in piena – di arte, musica e poesia – nel quale immergersi e lasciarsi trasportare.

Complice l’iconico gazometro, protagonista dello skyline cittadino.


Recensione di Sonia Remoli

Recensione FILIPPO TIMI LIVE – Non sarò mai Elvis Presley – di e con Filippo Timi

TEATRO ARGOT STUDIO

dal 10 al 13 Aprile 2025

Il palco del Teatro Argot Studio di Trastevere – a coronamento dei festeggiamenti per i suoi primi 40 anni (1984-2024)  – ieri sera ha ospitato l’incandescente debutto della prima delle 4 serate live del  “Filippo Timi Live Non sarò mai Elvis Presley”, prodotto da Argot produzioni.

A concertarsi con la sinergica performance musical-canoro-teatrale di Timi, il produttore e compositore romano Lorenzo Minozzi.

Il giocoso exploit di Timi – ricco in improvvisazioni dal fascino esistenzialista – trova avvincenti sinapsi artistiche e filosofiche con la sperimentazione sonora di Minozzi, compositore che fa sua la manipolazione armonica e ritmica di campionamenti ambientali.

Quello di Timi è un canto – e quindi un racconto poetico – sulle origini e su quello che ognuno di noi può farne. Un tema che tutti ci riguarda questo sull’eredità familiare, che come un imprinting ci modella e ci guida, fino ad un certo punto del nostro stare al mondo. E che poi va fatta propria, manipolata criticamente e quindi anche fedelmente tradita. 

Il canto di Timi é meraviglia: viscerale e ludico; ironico e sensuale; provocatorio e tenerissimo. Ha qualcosa di indelebile, di sacro. I temi di cui canta – personalissimi – arrivano con tutta la potenza vibrante di modelli archetipali, dove la burla sa di tragedia e la tragedia dell’abbraccio accogliente di un sorriso.

Lorenzo Minozzi – Filippo Timi

Nel live di ieri sera, come un aedo che ama accompagnarsi non con la cetra ma con l’handpan – uno strumento composto da due gusci in metallo che opportunamente sfiorati producono vibrazioni eteree ed ipnotiche – ha intessuto il canto delle gesta della sua vita, lasciandolo contrappuntare dalle creative sonorità, sapientemente artigianali, del compositore Minozzi. 

Il tutto sullo sfondo di “paesaggi”, che contribuiscono a rievocare l’immaginario del progetto. Ad echi distorti di paesaggi televisivi – parco giochi dell’infanzia – si susseguono così visioni di riscritture paradisiache dell’età adulta. 

In scena “il paesaggio dei paesaggi”, dove le coordinate spazio-temporali si fondono e si confondono: dove il sopra si mescola al sotto; il prima al poi; il pieno al vuoto; il sacro al profano. Dove la giocosità di un circense stare al mondo felliniano si sovrappone ad una francescana natività. Dove “a incarnarsi” è un live, sul quale fa eco la cometa di rituali proiezioni.

Timi ricorda “la sua natività” come un luogo dal buio opprimente e dagli echi disorientanti propri della putrefazione. “Cosce dell’assurdo” da cui scappare “fuori dall’incompiuto”. Un paesaggio chiuso e cupo, ritemprato dalla musicalità della sua lingua natia: il perugino di Ponte San Giovanni.

E poi arriva la magia delle vibrazioni dell’handpan per accompagnare la scoperta della sconsiderata generosità dell’amore: quel “per te”, capace di cambiare i connotati alla realtà. “Per te farò sanguinare i fiori del pregiudizio”: una dichiarazione, un racconto di lotta, di speranza, di resistenza. Veicolato dall’espressività dell’armonica a bocca di Lorenzo Minozzi.

E se poi arriva la scoperta che la felicità “dura il tempo di una bancarella a Santa Marinella”, la cenere può comunque diventare “cipria”. Perché il finale sta anche a noi modellarlo: sdrammatizzando il “cemento ruvido” familiare con il politicamente scorretto dei “Griffin”. Perché l’essere nati da “sassi” immobili, sempre fermi nella loro orizzontalità – così suggestivamente visualizzata anche dalla modalità di percussione della chitarra di Lorenzo Minozzi – non esclude la ricerca e il raggiungimento di quella fluidità espressiva libera dal “giudizio universale”, cancro di prevedibilità.

Un “live” questo di Filippo Timi che scuote e che piacevolmente sorprende, fino ad inebriare lo spettatore di possibilità vitali. 

Perché Timi canta dell’importanza di accorgersi del paradiso nascosto nell’imperfezione dell’imprevisto, così diverso dai nostri progetti.  E fiorire: spuntando comunque, nonostante tutto. Prendendoci “cura anche dei simboli che ognuno di noi è”.

E allora poco importa non essere come Elvis Presley. Anzi, è meglio così.

Un teatro, quello di Filippo Timi, che prende e regala attenzione, in un gioco scenico misterioso e complesso fra parola, suono, musica, teatro. 

Un teatro che è prima di tutto coinvolgimento e come tale “fa volare”: un sogno che se non si può realizzare con le ali, si può assaporare però a piccoli sorsi. Un pò come quel cocktail  che Timi “ci offre”, già entrando in sala. 

Lorenzo Minozzi – Filippo Timi


Recensione di Sonia Remoli