Recensione dello spettacolo PASTICCERI – Io e mio fratello Roberto – di e con Roberto Abbiati e Leonardo Capuano

TEATRO LE MASCHERE, dal 18 al 20 Giugno 2024 –

Tutto è “a vista”.

La scena riproduce un laboratorio di pasticceria, dove lavorano “dal vivo” due fratelli. Sono fratelli gemelli. 

Ma qualcosa inizia a sottrarsi “alla vista”: uno dei due non ha nome proprio, prima caratterizzazione di un’identità. Il sottotitolo dello spettacolo recita: “Io e mio fratello Roberto”. E quella che sembrerebbe una privazione, inizia pian piano ad avere il sapore di una iper protezione, con un retrogusto di sopraffazione.

Acuta scelta drammaturgica di anticipare quella che è l’ontologia dei fratelli gemelli: generalmente difficili da distinguere e quindi con un’innata fame d’identità da soddisfare. Quella necessità di sviluppare un “me” separato da un “noi” diventa allora cruciale, alimentata anche dal dover competere fin dall’inizio per risorse condivise nello stesso tempo.

Leonardo Capuano e Roberto Abbiati

E così l’empatia che i gemelli provano l’uno per l’altro può trasformarsi in una lotta interiore per arrivare ad essere individui “unici”. Un mondo sotterraneo, non “a vista”, di emozioni e relativi atteggiamenti di cui, ad esempio, ci parla la balbuzie di Roberto.

Ma siamo in una cucina, il luogo per eccellenza delle trasformazioni, dove non solo i cibi ma anche le emozioni meno commestibili possono diventare pietanze gustose: utili alla vita. Serve l’azione del fuoco, non solo quello del gas ma anche quello dell’anima: quello che si sprigiona dal lasciarsi condurre dalla musica, dall’amore. Dall’improvvisare quando non si ricordano più le parole.

La scena è una stanza – un luogo fisico ma anche della mente – dove si può dar libero corso sia alla propria aggressività (grazie all’uso dei coltelli) che al propria energia sessuale. Un’energia vibrante che ripetutamente però resta bloccata da qualcosa: come l’orologio al centro della parete. Fermo all’orario in cui è avvenuto un terribile imprevisto, per sostenere il peso del quale non sono risultate sufficienti le risorse a disposizione dei due fratelli. Un trauma. 

Roberto Abbiati e Leonardo Capuano

Ma non tutto nella vita può seguire delle istruzioni, come avviene per le ricette dei dolci. E tra queste cose c’è anche l’amore, che non vuole essere controllato. Ma controllare.

Sarà per questo che in amore vince chi “viene dopo”: Roberto, il fratello balbuziente che del lavoro in pasticceria fa fatica a seguire le regole della logica, finendo per dipendere dalla gestione dell’altro fratello, quello “affidabile”.

Ma Roberto è dotato di una diversa intelligenza, che va al di là dei precisi confini fissati dai principi della logica: è un‘intelligenza emotiva la sua, che gli permette di muoversi meglio negli imprevisti poetico-erotici dell’amore, ad esempio. Lui sa stupirsi (per questo può sembrare uno che “viene dopo”) e di conseguenza sa produrre stupore. E il suo sguardo, anche quando è fisso, è creativamente perso.

Roberto Abbiati

Roberto Abbiati, l’interprete, è i suoi occhi. Parlare con la voce è secondario per uno come lui: non se ne sente la mancanza. E la sua balbuzie, pur essendo un “blocco emotivo”, in realtà viene come trasformata in una preziosa gemma che caratterizza la sua individualità. Ben oltre i suoi baffi. Quando poi parla, gli esce una vocina piccola piccola ma così suadente, da veicolare meravigliosamente un’abilità (inconsapevole) nell’arte dell’uso della parola. Tanto da sedurre, in primis, il suo stesso fratello.

Ma lui, così rigido nella sua individualità, nella sua egoità, non si permette di goderne; anzi rimprovera Renato di un “cattivo” uso delle parole, che lo riducono “a un burro”. Se invece sapesse quanto è irresistibilmente amabile quando si lascia spalmare dalle parole di Roberto! Ma lui ha ancora bisogno di credere che un vero uomo deve essere efficiente e ricco in nerbo: “Io sono io e lui è mio fratello Roberto, che arriva sempre dopo”.

Leonardo Capuano e Roberto Abbiati

In verità il meno identificato dei due fratelli è proprio lui: ancora così traumaticamente legato a suo padre e ai propri rigidi confini personali. E Leonardo Capuano, che lo interpreta, sa rendere con sensibile efficacia questo suo intimo dissidio, colto così bene da Roberto:“ Mio fratello non è nato simpatico, parla bello sciolto e mi legge nei pensieri”. E’ un uomo pervaso da una forte carica erotica che agisce nella manualità che necessariamente si sprigiona in una cucina, metafora della donna ideale: la mamma.  Ma la sua manualità non riesce a decollare fuori dai luoghi comuni delle ricette seduttive. Si fida solo di se stesso e delle sue bavaresi alla fragola e non ce la fa ad incuriosirsi fino a farsi preda del mistero che incarna una donna. Lui sa essere protettivo con le sue donne (le bignoline) e con suo fratello: ma la protezione è una forma di controllo non di arrendevolezza, di scioglievolezza.

Roberto Abbiati e Leonardo Capuano

Per questo è così spaventato dall’effetto che gli suscitano le parole di Roberto: lo fanno sentire perso, disorientato. Gli fanno perdere la memoria: e si blocca. E così lo spettacolo. Come l’orologio, che ricorda ossessivamente, ma silenziosamente, qualcosa di incontrollabile. Di cui non riescono a parlare tra loro i due fratelli. Ma con noi del pubblico sì, in teneri a parte. Questa esperienza familiare traumatica, come a suo modo può esserlo l’amore per una donna, richiede però di essere ancora ben “amalgamata” – dolcemente sì, come ordina il fratello a Roberto – ma anche rendendosi disponibili a una trasformazione.

Di cui si hanno i primi segnali nella modalità di preparazione dell’ultimo dolce della serata: una torta Charlotte, alla quale i due fratelli gemelli lavorano finalmente a quattro mani, senza subordinazioni. Un “noi”, dove trova libera espressione lo stile e quindi l’identità di ciascuno dei due pasticceri.

Leonardo Capuano e Roberto Abbiati

Uno spettacolo gustoso, profumato, eccitante, commovente, sorprendente: ingredienti follemente amalgamati all’interno di una drammaturgia calvinianamente leggera, portata ogni volta alla giusta temperatura da due interpreti irresistibili.

Leonardo Capuano e Roberto Abbiati


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo ELETTROCARDIODRAMMA di e con Leonardo Capuano –

TEATRO LE MASCHERE, dal 4 al 6 Giugno 2024 –

E’ un cocktail di allucinazioni stupefacentemente verosimili, dove i principi della logica (quello di identità-non contraddizione e quello di causa-effetto) diventano come idrosolubili, dissolvendosi nel liquor cerebrospinale del personaggio sulla scena. 

È un gioco per divertirsi; sono sogni dove ci si scopre intrepidi.

E’ l’esigenza di creare un ambiente sicuro nel quale riuscire ad esplorare e ad affrontare una serie di difficoltà legate a emozioni e pensieri.

E’ il teatro nel quale possono trovare rappresentazione  affetti ed emozioni appartenenti alla storia relazionale e che, contestualizzati nel qui ed ora, permettono di accedere a un mondo interiore singolare e collettivo.

Una dimensione dove sentir dire “devo fare un elettrocardiodramma” fa sì che l’espressione verbale venga tradotta letteralmente e che il personaggio in scena si faccia lui stesso “elettrocardiodramma”. Portando in salvo l’essenza della vita. 

E il merito è della terapia teatrale, dove ci si può permettere di essere altro da sé. Come in un gioco, come in un sogno. 

Il personaggio in scena – interpretato con lisergico realismo da Leonardo Capuano – ci si dà come un’epifania. Non ha un nome proprio perché non ne ha bisogno: è un personaggio di un inconscio collettivo in cui tutti, in qualche modo, confluiamo. Una creatura maschile dotata anche di un’esuberanza di femminile.

L’occasione – così ci racconta – è data dal fatto che in un ipotetico gioco, come profetizzato macabramente da sua madre, è caduto dalle scale svenendo. E ora sente in testa un gran rumore. 

Ed è da qui che parte il suo farsi elettrocardiodramma, dove la tecnica medica riesce a fondersi argutamente con quella teatrale. 

E quella che in medicina è una riproduzione “grafica” dell’attività elettrica del cuore, qui sulla scena diventa una riproduzione “verbale”. I cui picchi sono resi con episodi di balbuzie acuta. Leonardo Capuano è mirabilmente credibile: pulito ma intenso; ossessivo e poetico; stralunato ma vero.

Le tensioni generate dalle cellule cardiache che in medicina sono registrate da un apparecchio (il cardiocardiografo) qui sono registrate dalla sua gamba  destra che si attiva meccanicamente, al di là di ogni efficace controllo. In presenza di un’acutizzazione della tensione si attiva un altro movimento involontario, rapidissimo, ripetuto ossessivamente: quello della sua mano destra.

Il movimento della carta del cardiocardiografo – che esce verso sinistra contemporaneamente all’oscillazione verticale delle linee prodotte dalle variazioni di potenziale – è resa da un movimento sull’orizzonte di sinistra dalle sue gambe, che scorrono lasciando immaginare il prodursi del continuum di carta.

Leonardo Capuano

Da tutto l’acuto lavoro drammaturgico e fisico-interpretativo di Capuano emerge l’insostenibile leggerezza dello stare al mondo, sostanzialmente soli anche se in compagnia, in balia di ogni evento e di ogni sua molteplice interpretazione. Senza poter contare sul conforto di un qualche equilibrio: cercato, anzi “rincorso” per tutto lo spettacolo. Come una palla: ma non è una palla. E’ l’idea gestuale di un’armonia, dalle sembianze di un cerchio.  Ecco allora che per provare ad andare al di là dei fraintendimenti delle parole e della stessa gestualità, il personaggio – quasi come una nike -si auto-mutila l’uso delle braccia.

Ma sarà poi vero che dove non arriva la natura arriva la chimica ? Esisterà mai un farmaco per gestire il peso del quotidiano vivere? E se non c’è, che si fa?  Come si gestisce tutto questo caos esistenziale ? 

Non c’è fretta. Per procedere bisogna ritrovare la calma. E poi suvvia: queste domande esistenziali tengono impegnati, fanno passare meglio il tempo! Perché finché c’è qualcosa da attendere, non va poi così male. Ce ne parlano i suoi occhi: persi, sì, ma che non smettono mai di cercare. Senza  fine.

Perché la nostra piccola vita è il racconto di infiniti sogni. E del sogno che tutti li genera, li accoglie e li distrugge.

E’ questo l’esito dell’elettrocardiodramma. Forse.

Un testo drammaturgico, questo di Leonardo Capuano davvero di grande efficacia, anche lirica: incantevoli i dialoghi concretamente illogici con un’immaginaria donna al primo incontro. Una tempesta di emozioni.

Solo un sensibile e rigoroso lavoro di ricerca può come in Padovano far assurgere a luminosa semplicità ciò che semplice non è. Affatto. Ed è un trionfo di intensità, che irretisce chi guarda.


Recensione di Sonia Remoli