Recensione LA GATTA SUL TETTO CHE SCOTTA – regia Leonardo Lidi

TEATRO VASCELLO

dal 20 al 25 Maggio 2025

Cifra stilistica e politica delle regie di Leonardo Lidi è la vocazione ad applicare la propria testimonianza a servizio della salvaguardia dell’eredità di un testo, sia esso classico o contemporaneo. Arrivando a confrontarvisi poi in maniera originalissima ed efficace per la contemporaneità. 

Lidi sviluppa così un imprinting tutto suo, con il quale conduce lo spettatore a riallacciare immaginari fili tematici – sia durante la visione dello spettacolo che una volta uscito dal teatro – con la tessitura dei suoi lavori precedenti. 

Leonardo Lidi

Al calar delle luci, Lidi inizia a seminare il suo primo indizio sagomando la nostra attenzione sulla nipotina di casa Polliott (una deliziosa Greta Petronillo). Che ci confida, attraverso la sua interpretazione di Fly Me to the Moon, il suo desiderio di piccola donna che sogna l’amore: un amore capace di non temere universi lontani e sconosciuti. Un amore che non trattiene, che non manipola: un amore che lascia volare il desiderio oltre la Luna. Un desiderio da scoprire insieme, tenendosi per mano. Nonostante tutto.

Ma, ad un certo punto, il suo “canto alla vita” inizia ad incrinarsi, ad essere risucchiato, fino a venire brutalmente interrotto. E il sipario si apre su uno spazio ampiamente vuoto, accecantemente freddo, dal mortificante lindore marmoreo (la cura della scena è affidata, così come il disegno luci, a Nicolas Bovey). Dove sua zia – la preraffaellitica Margaret di Valentina Picello – va in fulgenti escandescenze per una macchia di sporco sul suo vestito, provocata dal vivace e imprevedibile gioco dei nipotini, invitati alla festa di compleanno del nonno. 

Valentina Picello è Margaret

Arriva così allo spettatore quella sensazione stonata di qualcosa che è stato spazzato via, che è  andato perduto. Un po’ come ne “il Giardino dei Ciliegi”, che chiudeva la trilogia del Progetto Čechov di Lidi. 

Ma cosa significa ora, qui nel testo di Tennessee Williams del 1954, quel concetto di “utile” così centrale già là nella Trilogia? E come parla a noi oggi?

“Utile” è ancora ciò che economicamente produce frutto, come un terreno, appunto. Ma anche come una donna, qui in Williams. E non solo: la tentazione è tornata attuale.

Perversamente produrre frutto fa esistere in quanto utili e funzionali ad un sistema, che ci conosce meglio di quanto ci conosciamo noi. E che non a caso, in cambio, ci illude di renderci visibili e inclusi.

Un sistema cioè che fa leva sui bisogni più radicati nell’essere umano: l’inclusione nella vita di una comunità (a partire dalla prima comunità: quella della coppia) e poi il bisogno costitutivo di sentirci (sempre) al sicuro. Protetti. Preferibilmente da altri. Bisogni che se subdolamente manipolati, ci svuotano del nostro personale e autentico desiderare. Ed è proprio questa la sensazione che avvertiamo all’apertura del sipario: un gran vuoto sterile di vitalità, scambiato per un paradiso.

Un paradiso che, qui, il padre della famiglia Polliott ha messo a frutto nei suoi primi (e ultimi) 65 anni di vita. Ossessionato da quella visibilità che si riceve in cambio a patto di trasformare il capitale umano in un valore “economico”, alla stregua di una merce. E così, fedele all’etica a cui si è votato, il patriarca vale quello che possiede: dollari e acri di terra. Sarà paradossalmente l’incontro con il sospetto di un’imminente morte a riattivargli la vista. Una vista senza cataratte d’ipocrisia che riporta alla luce, tra le rovine, anche una profonda sensibitià dialogica con Brick, con echi di maieutica socratica.

Questo testo  per il quale Tennessee Williams venne insignito del Premio Pulitzer – il secondo, dopo quello per “Un tram che si chiama Desiderio”  –  denuncia nella sua versione non edulcorata e censurata la perversione di un sistema incentrato sulla subdola protezione fondata sull’ipocrisia.

Nicola Pannelli è il Padre – Fausto Cabra è il figlio Brick

“Ma la vita è fatta d’ipocrisia – ricorda il padre a Brick – E tu non vuoi vivere d’ipocrisia? Ma caro mio, non si può vivere d’altro. Io tutta la vita ho navigato nell’ipocrisia e ci navigherai anche tu!…L’ipocrisia, è il sistema in cui viviamo…”.

 “Ipocrita” è colui che dopo aver deciso di separare, e quindi di nascondere, qualcosa da qualcos’altro, risponde in una determinata maniera alla vita e agli altri.

Ecco allora che Leonardo  Lidi  – con la complicità della traduzione di Monica Capuani – sceglie registicamente e politicamente di restituire autenticità al testo di Williams mandando in scena la sostanza dei “segreti” e quindi dei “sogni” e quindi delle diverse forme, che può assumere “il desiderio”. Quella “sostanza” – così pericolosamente destabilizzante per un sistema societario basato sull’apparente sensazione di perbenistica sicurezza – che è stata per troppi anni condannata ad essere accuratamente messa a tacere. Perché sporca: scandalosamente vitale.

Fausto Cabra – Valentina Picello

Lidi invece restituisce cittadinanza agli esclusi: ai tabù e a quelle fragilità che ci abitano ontologicamente. E che non devono farci perdere fiducia in noi stessi, né negli altri. Fragilità da affrontare insieme: “con” l’altro, senza scandalizzarci.

Perché “lo scandalo”, in realtà, etimologicamente si dà come una “ trappola”, un errore, un inganno, in cui è umano poter cadere. Una trappola esistenziale che solo successivamente è stata caricata di una connotazione morale: una tentazione, ovvero un’occasione di peccato di cui vergognarsi. 

Parlare e quindi condividere “scandali” può essere invece fertilmente trasgressivo, se aiuta a restituire ossigeno ad atteggiamenti asfittici, mortificanti e mortiferi. Se aiuta a farne cioè occasioni di nuovi inizi: per capire meglio chi siamo.

Fausto Cabra (Brick) – Valentina Picello (Margaret) – Riccardo Micheletti (Skipper)

E così mentre Margaret si accanisce (cadendo in una trappola) contro i figli dei cognati, che le ricordano quanto lei sia pericolosamente minacciata di esclusione a causa del suo mortificante mancato dare frutto come semplice terreno, suo marito Brick, pur essendole fisicamente vicino, la ignora. “Tu non vivi con me”. Tu vivi insieme a me nella stessa gabbia (trappola)”.

Lui infatti pur continuando a stare fisicamente in famiglia vive come in esilio volontario, autopunendosi e autoescludendosi, con la complicità dell’alcool, da quella vita sociale e familiare che ha tacitamente assecondato, non riuscendo a condividere e a difendere “con” Skipper la verità dell’omosessualità che li legava.

Verità che continua a legarli: ossessivamente il suo desiderare resta bloccato in un perverso tentativo di recupero e di espiazione, in cui Brick si riempie gli occhi di un continuo sedurre ed essere sedotto dal suo amore perduto.  

E Lidi rende questo disperato dialogo erotico di dilaniante bellezza. Il Brick di Fausto Cabra è come reduce da una guerra che ha perso e che lo ha mutilato nel corpo.  Ma non tutto è finito: riesce a succhiare linfa vitale non tanto dalla bottiglia quanto dal non voler smettere di dedicare attenzione erotica al suo oggetto del desiderio. I suoi occhi sono ancora languidamente vivi, la sua voce è umida di un pianto che vorrebbe scatenarsi come un temporale – per ricevere e per concedersi il perdono – ma che si limita a lambire provocantemente la sua bocca, mai paga (apparentemente) di alcool. Che gli viene servito dal fantasma di uno Skipper (Riccardo Micheletti ) che Lidi immagina di inquieta bellezza neoclassica. Un giovane uomo dallo stupefacente allure femmineo, che tesse intorno e insieme a Brick una magnetica prossemica. Seducente, come un rituale di corteggiamento in cui ci si mescola a portare e ad essere portati. 

Riccardo Micheletti (Skipper) – Orietta Notari (Ida) – Fausto Cabra (Brick)

Così facendo Lidi ci regala anche una persuasiva visualizzazione di quanto l’irrazionale possa essere più potente di ogni tentativo di imbrigliamento egoico-razionale. E di come sempre l’irrazionale sia un linguaggio raffinatamente enigmatico, prezioso sia per l’individuo che per la collettività, se messo in dialogo con quello razionale. 

Questa visualizzazione prende forma attraverso una sorta di imprinting con il quale Lidi guida il nostro sguardo – e quindi la nostra attenzione – a tenere insieme le due storie parallele: quella tra Brick e Skipper (narrata attraverso un linguaggio irrazionale) e quella del resto della famiglia (narrata attraverso i principi della logica).  Con un passaggio successivo Lidi fa di Skipper il collegamento che pone in dialogo le due narrazioni. Skipper infatti, posizionando la porta /quinta a doppio specchio  all’interno di alcune dinamiche, porta lo spettatore a “vedere” sottotesti diversi.  Un efficacissimo procedimento registico “cinematografico”, dove a parlare sono certe inquadrature in primo piano, ma anche degli interessanti piani sequenza. 

Greta Petronillo (la nipotina) – Valentina Picello (Margaret) – Fausto Cabra (Brick)

Effetto di questo ensemble di raffinatissime trame di montaggio registico è l’arrivo della consapevolezza nello spettatore che diversamente da quanto sembrerebbe, cio’ che più conta per ciascun personaggio, è ciò che a ciascuno manca. 

Al di là dei travestimenti che ognuno di essi sceglie di indossare, ciascun personaggio ci parla anche di altro.

Margaret ad esempio – una Valentina Picello dalla verve disperatamente lussureggiante – è un’insolita gatta, “castrata” dalla famiglia e dalla società nella sua natura selvaticamente felina. Essendo lei etichettata come un terreno che non dà frutto, rischia di scomparire. Rischia di essere esclusa, ancora una volta ai margini della società. Anche nella vita di coppia le è preferito Skipper. E forse veste non a caso un abitino di un ceruleo “non ti scordar di me” (la cura dei costumi è di Aurora Damanti). Non si può permettere e non ce la fa a scappare, a saltar giù dal tetto che scotta. Non si può permettere di essere sensibile e vulnerabile: deve cambiare natura, deve resistere con acume. E da manipolata diviene a sua volta manipolatrice. Ed  è consapevole della sua mutazione: dice di sentirsi “diversa”. E’ consapevole di non essere una persona buona, ma nessuno lo è.  Tanto che alla domanda di Brick: “come farai a fare un figlio con un uomo che non ti può soffrire?” – lei sul momento riconosce la difficoltà, ma non si arrende. Sa attendere rimanendo in ascolto e l’occasione arriva dopo lo scatenamento del temporale interno alla famiglia. E lei si fa trovare pronta quando sarà proprio Ida a servirgliela: è un sogno e un inganno. Ma Brick lo sa: “la verità va oltre il parlare: la verità è esasperante”. E lui sceglie di farsene complice. Ma non è quello che sembra.

                    Valentina Picello – Giuliana Vigogna (Mae) – Giordano Agrusta (Gooper) – Orietta Notari (Ida) -Fausto Cabra

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Papà Polliott, il padrone della “tenuta più fertile al mondo dopo quella del Nilo” – un elegantemente ruvido Nicola Pannelli dal denso carisma – è l’altro personaggio che dice di sentirsi “diverso”, di essere cambiato (dopo il sospetto di morte). Per non restare escluso ai margini dalla società, lui ha immolato il suo desiderio vitale per diventare ricco e quindi degno della stima e dell’invidia degli altri. E così si accontenta di valere quello che possiede. Non solo: il progressivo arricchirsi lo rende così tracotante da credere di poter gestire anche l’arrivo della morte. Ma poi la morte invece si palesa con un inganno e lui cade in crisi, fortunatamente. Così può cogliere l’occasione per vedere tutto con nuovi occhi, tamto da sentirsi “più saggio e più triste”. E riuscirà persino ad aiutare suo figlio Brick a “partorire maieuticamente” la causa del suo disgusto.

Nicola Pannelli (il padre) – Fausto Cabra (il figlio Brick)

Ida, sua moglie – una strepitosamente remissiva Orietta Notari, commovente nella sua resiliente energia vitale – è anche lei, in teoria, una donna “realizzata” e “inclusa”, perché in regola con il sistema (il suo terreno ha dato frutti) e perché ha sposato un uomo che nel tempo è diventato sempre più ricco. In realtà, più degli altri, Ida ha ricevuto in dono il potere dell’invisibilità e per tramutare questo dono in continue epifanie ama vestirsi di paillettes luccicanti. L’unica che in verità regala visibilità a Ida è Margaret: lei è la sola a chiamarla per nome e così facendo le restituisce la sua identità di donna. E forse non a caso Ida cercherà il suo appoggio prima-durante-dopo lo scoppio del “temporale familiare”. Ed è sempre includendo Margaret che si compone quello che Mae, con invidiosa ironia, definisce “un bel quadro familiare”, preludio all’annuncio del miracolo-mistero della tanto attesa natività.

Valentina Picello (Margaret) – Orietta Notari (Ida)

Gooper  – un efficacissimo Giordano Agrusta apparentemente morbido ma dallo sguardo carico di saette pronte per essere scagliate – è il fratello (apparentemente) “realizzato” perché divenuto avvocato e sposato ad una donna che non smette di rendersi fertile per il sistema. In verità Gooper da sempre soffre del fatto che fin dalla nascita i suoi genitori hanno preferito Brick a lui. E per sublimare questo insopportabile senso di esclusione, ha dedicato la sua vita allo studio dell’applicazione della giustizia, così da prepararsi adeguatamente alla vendetta finale sull’eredità paterna.

Giuliana Vigogna (Mae) – Nicola Pannelli (il padre) – Riccardo Micheletti (Skipper) – Fausto Cabra (Brick)

Mae  – una raffinata Giuliana Vigogna avvolta in un panneggio color veleno – è la complice perfetta di Gooper per acume misto sia ad accondiscendente sottomissione che a ipocrita trasgressione. E insieme fanno di tutto per portare a termine la loro vendetta, che ha il sapore infantile di un giudizio universale, misto al piacere di un colpo alla Bonnie e Clyde.

Fausto Cabra (Brick) – Valentina Picello (Margaret)

Leonardo Lidi, attraverso la sua preziosa vocazione alla salvaguardia dei contenuti originari di un testo, ci restituisce tutto il carattere scandalosamente di denuncia, contenuto nell’opera di Tennessee Williams: “quell’odore dell’ipocrisia che è l’odore più potente che esista, un odore di morte”. E la bellezza del suo personale adattamento si dà proprio nel non escludere la possibilità che uomini e donne possano essere scandalosamente magnifici, riuscendo a “fare comunità” proprio attraverso le proprie fragilità.

Come da sempre ci ricorda il Teatro.

Giordano Agrusta, Fausto Cabra, Riccardo Micheletti, Nicolò Tomassini, Leonardo Lidi, Orietta Notari, Giuliana Vigogna, Greta Petronillo, Nicola Pannelli, Valentina Picello


Recensione di Sonia Remoli