ELEONORA DUSE di Andrea Chiodi – con Manuela Kustermann – regia Francesco Tavassi


6 DONNE CHE HANNO SEGNATO LA STORIA – 6 AUTORI CHE LE RACCONTANO

Progetto

di Mariangela D’Abbraccio e Manuela Kustermann

TEATRO VASCELLO

10 Maggio 2025

E’ avvolta elegantemente in un morbido mantello che la cinge in un seducente abbraccio. E che lascia cadere all’indietro. Emerge dal buio con la complicità di una luce, divinamente crepuscolare. E’ la Eleonora Duse di un’incantevole Manuela Kustermann. 

Accanto alla poltroncina che l’accoglie con agio, il tempo in musica delle melodie al pianoforte di un’altra donna, Cinzia Merlin, accompagnano il suo ricordare. E la sospingono a condividerlo con noi, in platea, a cui vien voglia di sederci a terra, accanto a lei, per farci ancora più prossimi.

La rievocazione del suo daimon, ovvero la rievocazione della ricerca della sua felicità attraverso l’ascolto del proprio demone guida, è affidata alla penna capace di stupore di Andrea Chiodi, che ne sa cogliere anche l’intima femminilità dei dettagli.

Andrea Chiodi

La Kustermann indossa della piccola bigiotteria, proprio come amava la Duse: non serve altro per sottolineare il suo incarnato autenticamente vivo. Dall’avvincente panneggio del mantello, s’intravede un abito di leggero chiffon nero. Gli abiti erano la passione della Duse.

Fortuny, un designer e artista spagnolo, creò abiti e accessori per lei, declinando in essi la sua passione per la moda e per l’arte. La Duse apprezzava lo stile unico e la qualità dei lavori di Fortuny, sartoria celebre per un approccio innovativo verso la moda, ricco in forme fluide e dinamiche. Abiti al di là della moda convenzionale del tempo, questi, che sapevano parlare dell’ habitus della Duse: del suo autentico modo di stare al mondo e sul palco.

Eleonora Duse

Incontri femminili hanno dato forma alla sua vita.

Quello con la sua mamma: che fin da subito seppe sostenerla nell’entrare in relazione con l’affascinante mistero dell’arte teatrale. “E’ per ridere che ti fa male!” – le sussurrava quando a quattro anni salì per la prima volta sul palco ad interpretare la Cosetta de “I Miserabili” di Victor Hugo. E per aiutarla a piangere la sollecitavano con dei pizzichi.

Eleonora Duse e la sua mamma

Poi, alla morte della mamma in giovane età, fu l’incontro con Giacinta Pezzana a rendere più consapevolmente erotica la passione per l’arte teatrale. 

Giacinta Pezzana

La lunga carriera sulle scene della Pezzana – che inizia con l’unità d’Italia e si conclude con la Prima guerra mondiale – è spesso ricordata proprio per i rapporti artistico-pedagogici che stabilì con la giovane Duse e per l’interpretazione di Teresa Raquin di Zola. Sua la vocazione creatrice a tutto tondo e quell’anticonformismo che rese più difficile la sua carriera.

Eleonora Duse e Matilde Serao in vacanza a St. Moritz nel 1895. Fondazione Giorgio Cini

Altro incontro formativo fu quello con Matilde Serao. La loro amicizia, testimoniata da una fittissima corrispondenza, era autentica e piena di affetto. Fù, il loro, “un incontro spirituale, umano, oltre che letterario”. 

Sarah Bernhardt – Eleonora Duse

E poi ci fu il primo incontro con “l’artista prediletta dagli dei”: Sarah Bernhardt. Conosciuta in un periodo di crisi, tale da spingere Giuditta Pezzana a lasciare la compagnia, la Bernhardt rappresentò per la Duse una testimonianza così vibrante, da incoraggiarla ad osare nel non assecondare il pubblico, quanto piuttosto “meravigliarlo”.

E così fu meraviglia quando la videro recitare John Joice e il suo giovane figlio James, tanto da sentire l’esigenza di dedicarle una poesia. Tanto da ispirarsi a lei, proprio alla sua interpretazione de La Gioconda di D’Annunzio, per il personaggio di Molly Bloom ne l’ Ulisse.

La Duse ne fu onoratissima ma non si sorprese: “ogni forma d’arte alimenta sempre altre forme d’arte” – era solita sostenere.

Ma l’incontro più bruciante fu quello, a 14 anni, con la Giulietta del “Romeo e Giulietta” di Shakespeare. In questa sua interpretazione sentì di farsi “fiore di rosa” e come rosa si donò a Romeo, fino a ricoprire con i suoi petali il corpo di lui immobile. 

Sentire poi Romeo parlare di lei come “ella insegna alle torce ad ardere” fu folgorante per la Duse: le aprì la consapevolezza della sua vocazione per il teatro. Che in seguito definirà “non un’altra vita, ma vita”. Un prodigio che fa sì che lei sia tutte le donne che interpreta, e loro lei. 

Perché – diceva – “l’arte ci ricorda chi siamo veramente: attore è chi riannoda le fila dell’alfabeto”.

Manuela Kustermann

Una rievocazione meravigliosa, quella che ieri sera è andata in scena dal palco del Teatro Vascello. Manuela Kustermann ha dipinto con i colori della sua voce la poesia di un ritratto di Eleonora Duse, disegnato da Andrea Chiodi, davvero ammaliante.

Si conclude questo pomeriggio, il Progetto di Mariangela D’Abbraccio e Manuela Kustermann  per la regia di Francesco Tavassi “6 donne che hanno segnato la storia – 6 autori che le raccontano”, trovando coronamento con il racconto di Maurizio De Giovanni su Billie Holiday.

Cinzia Merlin (al pianoforte) – Manuela Kustermann



Recensione di Sonia Remoli

CAMILLE CLAUDEL – di Dacia Maraini – con Mariangela D’Abbraccio – regia Francesco Tavassi


6 DONNE CHE HANNO SEGNATO LA STORIA – 6 AUTORI CHE LE RACCONTANO

Progetto

di Mariangela D’Abbraccio e Manuela Kustermann

TEATRO VASCELLO

6 Maggio 2025

Sono gocce.

Sono gocce di un demone femminile che sa di costanza e determinazione: quella che scava la roccia. 

Sono gocce che hanno inciso, segnato e modificato la nostra Storia, attraversando battaglie sociali, discriminazioni, sofferenze. 

Con la grazia tempestosa di un incantesimo, ieri sera ha debuttato il Progetto “6 donne che hanno segnato la storia – 6 autori che le raccontano”.

Il progetto di Mariangela D’Abbraccio e Manuela Kustermann, curato dalla regia raffinatamente simbolica di Francesco Tavassi, si articolerà in 6 giorni dove ogni replica sarà dedicata ad una grande figura femminile. Raccontata, attraverso diversi registri narrativi, da 6 autori e restituita in forma di reading pensato per due voci: quelle di Mariangela D’Abbraccio e Manuela Kustermann, protagoniste del nostro teatro, interpreti fra le più attente e sensibili della scena italiana.

Camille Claudel e la sua creazione “L’ abandon” (1888)

Ieri sera dal palco delle Teatro Vascello è andata in scena un’epifania  di Camille Claudel  (1864-1943): la più grande scultrice di tutti tempi, il cui prorompente talento  – proprio perché femminile – fu messo a tacere in primis dalla famiglia, con la complicità della società del tempo. Una donna che, nonostante tutto, proprio attraverso la scultura riuscì ad intagliare un materno mortificante ed una società solidamente miope.

Un folle nettare abita Camille: un fiore di donna il cui nome evoca una pianta medicinale simbolo di forza e di resistenza, proprio grazie alle sue proprietà lenitive.

Dacia Maraini

Una linfa vitale, la sua, che sa farsi malia di parole nella penna delle meraviglie di Dacia Maraini: è lei che cura la drammaturgia dello spettacolo dedicato a Camille, restituendo al suo stare al mondo uno charme profetico. Parole, quelle tessute dalla Maraini, che trasmutano nella sublime matericità della voce di Mariangela D’abbraccio, così disponibile a lasciarsi sfaccettare dalla vitalità erotica di Camille.

Ed è contagio.

Un contagio tale da scolpire una nuova forma di partecipazione nello spettatore. Che si raccoglie, solerte, intorno al vento di presenze fantasmatiche che fanno visita alla mente di Camille: quelle che popolano i lunghi anni del crudele internamento, che la condurrà alla morte. Abbandonata da tutti.

A sinistra, Camille Claudel nell’atelier che occupava al numero 117 di rue Notre-Dame-des-Champs nel 1887, mentre lavora al gesso di Sakuntala; sullo sfondo, Jessie Lipscomb, sua amica e collega di lavoro (fotografia di William Elborne, fidanzato di Lipscomb) . A destra, il gesso originale dell’opera, in quegli stessi anni donato e ancora conservato al Museo Bertrand di Châteauroux.

E’ un vento, infatti, che riporta in superficie soprattutto traumi: “non sei una ragazza seria … per castigo perderai le braccia”- le ripete sua madre. Vento, che sa cambiare anche direzione contrappuntandosi, ad esempio, al fragrante piacere – totalmente appagante – dell’attesa della cottura della creta.

Ma poi torna ancora a soffiare quel vento: “cosa se ne fa una donna della sciagurata scultura?”.

“Come può una donna dal corpo così liscio – fatto per amare – sentire un’attrazione così irresistibile per la libertà?”.

Ma lei, Camille, pur così spaurita, è anche prepotentemente decisa.

E continua a gocciolare.

Fino alla fine.

Auguste Rodin

Auguste Rodin (1840-1917), suo maestro e amore inscalfibile della sua vita nonostante tutto – nonostante non sia riuscito ad onorare la loro più viva creazione – sosteneva che Camille fosse innanzitutto uno stupefacente mix olfattivo: essenze che sia la scrittura della Maraini che l’interpretazione della D’Abbraccio rendono pervasivamente. “Le ho mostrato l’oro, ma l’oro che trova è tutto suo”- scrisse di lei, a (parziale) dimostrazione di quanto Camille fosse un autentico talento, un’esplosione di originalità.

Mariangela D’Abbraccio

Sinesteticamente sono gli occhi della D’Abbraccio a veicolare tutta la fragranza di questo oro: sono lampi olfattivi. Perché solo “gli occhi innamorati sanno fermare la luce!”.

E che brio commosso la sua restituzione, con quelle mani capaci di scolpire nell’aria tensioni. 

E poi quell’intimo tremito, che sa farsi autentico riso nervoso, per epilogare in ossessive e quasi impercettibili contrazioni. 

Camille Claudel davanti alla sua statua del Perseo (1898 ca)

Una restituzione davvero ricca in meraviglia, quella che ieri sera si è incisa nei sensi dello spettatore, tornando a puntare l’attenzione sulla bellezza del genio di Camille Claudel. Un genio la cui umanità continuò a brillare anche una volta privata della libertà, del cibo e dei più elementari conforti.

Una donna, la cui testimonianza, va portata sempre con noi.

Mariangela D’Abbraccio


Il progetto prosegue questa sera con il racconto di Sandra Petrignani su Marie Curie, interpretato da Manuela Kustermann.



Recensione di Sonia Remoli

Teresa la ladra

TEATRO PARIOLI, dal 22 al 26 Marzo 2023 –

Un cono di luce bagna solo Lei. Il resto è immerso nel buio. Finalmente, qui sulla scena, Teresa (una fantasmagorica Mariangela D’abbraccio) riceve quell’attenzione accogliente e piena d’interesse di cui nella vita non è mai stata oggetto. Neanche quando è venuta alla luce: al momento del parto la madre la credeva morta e il padre voleva buttarla nell’immondizia. È stata la sua sana prepotenza di sopravvivenza a farla urlare con tutto il fiato, che non sapeva neppure di avere in gola, per reclamare il diritto ad esistere. Sua mamma era spesso triste e anziché parlarle, la picchiava. E così erano soliti fare i suoi fratelli più grandi.

Una scena dello spettacolo “Teresa la ladra” di Francesco Tavassi al Teatro Parioli

Mentre parla di loro, alcuni ragazzi entrano in scena: sono dei “nuovi fratelli, ovvero i musicisti dell’orchestra dal vivo che, abbracceranno, attraverso la musica, le parole di Teresa. Lei è bella: ingenua e insieme selvatica. Soprattutto è una donna con un destino da clandestina, da randagia. Ma più di tutto è coraggiosa: questo la fa bella davvero. La sua geografia mentale la rende irresistibilmente interessante: nel bene e nel male.

Mariangela D’Abbraccio in una scena dello spettacolo “Teresa la ladra” di Francesco Tavassi al Teatro Parioli

Per sopravvivere sarà costretta a rubacchiare, perchè in tempo di guerra, a volte non basta essere disponibili a lavorare. E noi, nonostante tutto quello che lei ci racconta, restiamo dalla sua parte. Perché Teresa difende sempre la propria integrità morale ma soprattutto non smette di cercare e di farsi domande per capire quanti volti può avere la libertà: leggera come una febbre e pesante come un’angoscia.

Mariangela D’Abbraccio in una scena dello spettacolo “Teresa la ladra” di Francesco Tavassi

Quella di Teresa è una storia individuale che sa diventare patrimonio universale: la sua, come la nostra, è una vita spesa nella ricerca dell’affermazione della propria identità personale. Teresa siamo noi, tutti noi. Noi che ci sentiamo ladri quando osiamo preservare la nostra più pura essenza; noi che rubiamo scampoli di libertà per riuscire ancora a respirare. Noi che guardandola, ritroviamo nei suoi occhi la nostra luce.

Francesco Tavassi, il resista dello spettacolo “Teresa la ladra”

La regia di Francesco Tavassi porta in scena un adattamento del testo di Dacia Maraini Memorie di una ladra” del 1972 , che tanto appassionò Pasolini per il sapiente lavoro su una lingua popolare d’antan, unendo parole e musica; gesti tormentati ma anche pieni di delizia. È una partitura tutta costruita sul ritmo e sulla velocità, seppur in un corposo ritratto d’epoca di circa due ore, all’interno del quale Teresa è immersa e travolta, senza mai però restarne succube o sottomessa.

Dacia Maraini, autrice del libro “Memorie di una ladra” , al quale si ispira lo spettacolo “Teresa la ladra”

Sta forse nella sua particolarissima genesi il segreto dell’energia travolgente di questo romanzo. Mentre conduceva un’inchiesta giornalistica sulle condizioni nelle carceri femminili italiane, nel 1969 Dacia Maraini incontrò una detenuta dalla personalità straripante, Teresa Numa: “Le ho parlato per due minuti e ho capito che era il personaggio che cercavo”. Non potendo intervistarla a causa dei regolamenti carcerari, la Maraini ha aspettato qualche mese che la donna uscisse di galera e ha raccolto per circa un anno la sua drammatica (ma anche grottesca e avventurosa) testimonianza sulla sua vita e la sua carriera di ladra e truffatrice: una storia picaresca, l’ha definita a ragione la Maraini, che ha frequentato poi la signora Teresa fino alla sua morte, avvenuta qualche anno fa. 

Dacia Maraini, “Memorie di una ladra”, BUR

Lo spettacolo di Tavassi mantiene del romanzo anche la forma della testimonianza orale: sono state volutamente lasciate ripetizioni, contraddizioni, riflessioni e il linguaggio è colorito, sgrammaticato, ricco di neologismi non voluti. Un vero capolavoro di Neorealismo straccione e grottesco che ha ispirato il film ” Teresa la ladra ” diretto nel 1973 da Carlo Di Palma e interpretato da una indimenticabile Monica Vitti e da Stefano Satta Flores

Locandina del film di Carlo di Palma “Teresa la ladra” con Monica Vitti

Ora, da qualche anno ormai, il testo è stato adattato a monologo teatrale e portato in scena con lusinghiero successo da Francesco Tavassi e da Mariangela D’Abbraccio sui palcoscenici di tutta Italia. Sinergicamente la scrittrice, l’attrice e il regista hanno pensato che la musica e le canzoni potessero essere uno strumento espressivo utile a completare il racconto rocambolesco di Teresa, facendo di questo spettacolo una sorta di operetta musicale, di teatro-canzone.

Sergio Cammariere, il musicista che ha collaborato alla realizzazione dello spettacolo “Teresa la ladra”

E’ stata dunque fondamentale la collaborazione di Sergio Cammariere , che ha scritto una vera e propria colonna sonora oltre a delle canzoni originali su testi della stessa Maraini. Mariangela D’Abbraccio è la Teresa che oltre a raccontarsi canterà la sua storia accompagnata da un gruppo di musicisti, in una formazione suggerita dallo stesso Cammariere. Prende forma così uno spettacolo funambolico così come la vita di Teresa.

Mariangela D’abbraccio, interprete di Teresa nello spettacolo “Teresa la ladra”

Mariangela D’Abbraccio, lasciandosi plasmare dallo sguardo della Maraini, sempre così affascinato dalla “diversità” e quindi dall’unicità dell’essere umano, riesce nell’arduo tentativo di restituirci tutta “la tenerezza” di una donna come Teresa. E fa sì che quello sguardo carico di tenerezza noi riusciamo a regalarlo anche a noi stessi.