Recensione a DIARIO DI UN DOLORE – un progetto di Francesco Alberici –


Diario di un dolore“, tratto dall’omonimo libro di C.S. Lewis e dall’ “Autoritratto” di Franz Ecke

Un progetto di Francesco Alberici, con la collaborazione di Astrid Casali, Ettore Iurilli, Enrico Baraldi

in scena Astrid Casali, Francesco Alberici


TEATRO BASILICA, dal 16 al 19 Gennaio 2025

Si apre come un cassetto, nel quale per molto tempo è stato custodito un segreto. E che un giorno si riapre, scoprendo di volerlo condividere con qualcuno. 

Spiazza continuamente lo spettatore: lo tira in causa in maniera diretta e indiretta, seminando ad ogni passo disorientamenti di varia natura.

Parla al corpo e del corpo: come sa fare il dolore. Facendo “risuonare”, come in uno specchio, il dolore fatto di sobbalzi e d’irrequietezza. Ma anche quello da stordimento d’ubriacatura. 

Francesco Alberici e Astrid Casali

Va in scena, cioè, la cronaca diaristica della fenomenologia di due dolori realmente vissuti: quello di Astrid e quello di Francesco. I quali, come C.S. Lewis, preferiscono avere gente intorno: noi.

Perché il dolore arriva a contattare energie dilanianti, in fermento nel sottosuolo, che urlano attraverso il corpo.

Ed è una disarmante sorpresa, che fa presa.

E che imprigiona in un rituale ossessivo: “nessuno mi aveva detto mai …” .

E’ l’inceppamento di una coreografia vitale. 

Lo spettacolo, andato in scena ieri sera al Teatro Basilica, nasce da un progetto di Francesco Alberici, che si avvale della collaborazione di 𝗔𝘀𝘁𝗿𝗶𝗱 𝗖𝗮𝘀𝗮𝗹𝗶, 𝗘𝘁𝘁𝗼𝗿𝗲 𝗜𝘂𝗿𝗶𝗹𝗹𝗶, 𝗘𝗻𝗿𝗶𝗰𝗼 𝗕𝗮𝗿𝗮𝗹𝗱𝗶, per lavorare intorno agli inceppamenti che paralizzano le nostre vite. E sui loro possibili “riavii”.

“Vedendo oltre gli incantamenti ma senza che l’incantamento scompaia”.

Francesco parte allora dalla testimonianza del suo personale inceppamento e lo intreccia con quello di Astrid.  In verità tutto lo spettacolo – in un interessante gioco metateatrale – è dedicato al “riavvio” dell’inceppamento di Astrid: la sua seconda possibilità di rivivere il suo dolore, per riavviare questa volta però la sua coreografia vitale. Cercando e liberando, cioè, i tempi, le modalità e quelle parole che, come “proiettili”, hanno fatto sanguinare, ad esempio, la costruzione della sua vocazione di attrice. E di figlia.

Una modalità di teatro “nudo” – questo del progetto di Alberici – che dosa, con cura, accoglienza e imbarazzo; verità e finzione; dolore e catarsi; sorriso e commossa poesia. E che nel raccontare e nel “denunciare” un dolore, lo lascia libero di prendere un’altra direzione.  

Un teatro che parla di ferite che sanguinano ma che possono trovare il modo di entrare in relazione con la morte, quale partner di un respiro vitale più fluido.

Dove ogni separazione si rivela una fase “diversamente” accogliente.

Dove ogni nuovo inizio è un valido inizio. Seppur con tutti i suoi difetti, con tutte le sue resistenze, con tutta la sua imprevedibilità. 

“Perché la realtà guardata fissamente è insopportabile”.

E allora noi, come il Perseo di Calvino possiamo imparare a sostenerci su ciò che vi è di più leggero, come i venti e le nuvole. E spingere il nostro sguardo su ciò che può rivelarcisi solo in una visione indiretta, come in un’immagine catturata da uno specchio. 

Come è avvenuto a Francesco quando ha incontrato l’ “Autoritratto” di Franz Eckee.

Come accade a noi, con questa performance.

Astrid Casali e Francesco Alberici


Recensione di Sonia Remoli