E’ notte: Pupa va in strada per fare “carezze d’amore” . Spaventata, sussurra di Nino RotaCanzone arrabbiata. Ma una struggente malinconia domina sulla rabbia.
Canto per chi non ha fortuna
Canto per me
Canto per rabbia a questa luna
Contro di te…
Contro chi e ricco e non lo sa…
Chi sporcherà la verità
Penso all’illusioni dell’umanità
Tutte le parole che ripeterà…
Dipinto di Giuseppe Fava
Gli avventori le dicono che lei è una cosa inutile; si dimenticano il suo nome. Ma lei non perde la consapevolezza della sua identità.
Perchè si racconta a noi. E così grazie al potere del racconto può continuare a tenere insieme tutti i ricordi che le danno la prova di esistere.
Pupa s’innammora: riesce sempre a trovare qualcosa di cui innammorarsi. E ne è felice. Scopre di diventare madre ma prima che nasca suo figlio muore il suo Michele. Allora il bambino si chiamerà come suo padre e oltre al nome ne erediterà il destino.
Marco Aiello (Orlando) e Claudio Pomponi (Pupa)
L’amore poi prende il nome di Orlando ma lui la fa esibire nelle piazze: è il suo amore e il suo pappone. Sono storie d’amore e di morte. Pupa lo sa: basta chiudere gli occhi e immaginare che quelle carni siano del suo Orlando.
Ma le narrazioni di Pupa e di Orlando differiscono: dove sarà la verità?
Dipinto di Giuseppe Fava
Pupa si strugge per i suoi figli, per le contraddizioni dell’essere madre: desiderare di spingere fuori – alla vita – il proprio figlio ma poi desiderare anche farlo rientrare nel proprio grembo. Proggerlo dal crescere, dall’allontanarsi, dall’essere indipendente. Dal morire.
Quanto vale la vita di un uomo ?
Claudio Pomponi (Pupa) e Marco Aiello (Orlando)
In un’epica del sopravvivere dolce-amaro, Marco Aiello (Orlando) e Claudio Pomponi (Pupa) – a scena quasi nuda – riescono a “riempirci gli occhi di parole e la gola di sospiri per amore”.
La Pupa di Pomponi brilla di un femminile in purezza: candido e sordido; delicato e prorompente. E di una vocalità sinuosa e suadente. Un femminile trasversale all’ontologia del genere.
Di Marco Aiello emerge la versatilità, nella quale si muove attraversando le pluripartiture che in lui prendono vita: dall’avventore al musicista (di lacerante bellezza i suoi interventi contaminanti con l’armonica a bocca); dall’avvocato al pappone. Sostiene con efficacia e credibilità un dialetto siciliano parlato con un ritmo vorticoso eppure chiarissimo, netto, opportunamente articolato.
Entrambi ricordano un po’ i guitti della commedia dell’arte ma il riferimento più esplicito e ai cantastorie erranti siciliani.
Uno spettacolo che brucia il cuore.
È il teatro di Giuseppe Fava: il teatro che punta la luce sulla “normalita”, sullo stile popolare dal linguaggio denso e marcato. Sull’ “antica ed eterna contraddizione di vivere tra infelicità e speranza”. Un teatro come esercizio del potere investigativo verso la ricerca di quella libertà, che non è un dono di natura ma ardita e consapevole conquista.
L’evocativa drammaturgia di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi portata in scena dalla calda sensibilità di Piero Maccarinelli dà vita ad uno spettacolo ironico, allegro, mordace ma anche delicato, tenero, commovente, plasmato da una vitale tensione verso il rispetto della dignità umana.
Il regista Piero Maccarinelli
È il racconto di un improbabile e folgorante incontro tra tre diverse modalità di stare al mondo, apparentemente inconciliabili ma intimamente capaci di essere attraversate da una fertile accoglienza. Un incontro di quelli capaci di rompere l’abituale scorrere del tempo: quelli dove niente è più come prima.
Alberto Onofrietti (Manuel), Antonello Fassari (Renato) e Alvia Reale(Aurora)
E’ l’incontro tra un anziano padre (un lirico Antonello Fassari) che, precedentemente partigiano e poi disilluso dagli ideali del comunismo, oramai rimasto solo in casa continua a trovare ispirazione e conforto in un microcosmo di libri; sua figlia (una densa ed enigmatica Alvia Reale) che, sentitasi tradita dal suo stesso padre, prende ampie distanze prossemiche ed affettive dallo stesso; e un teppistello fanaticamente tatuato di ideali politici di destra (un tormentato e splendidamente tempestoso Alberto Onofrietti) alla guida della propria vita, senza essenziali istruzioni per l’uso e senza r-assicurazioni affettive.
Antonello Fassari e Alberto Onofrietti
Ma se è vero – come è vero – che “una vita è i suoi libri“, citando il titolo di uno splendido libro di Massimo Recalcati, l’anziano Renato ha maturato una speciale predisposizione ad avvertire possibili e fertili confronti emotivi con gli altri. Perché nel leggere ci si accorge che il libro ci legge. E c’insegna che lo stesso attraversamento può avviene anche dall’incontro con gli esseri umani. Anche da quelli che sembrano così diversi da noi.
Molto efficace la costruzione dello spazio scenico – curato da Paola Comencini – modulato per accogliere occasioni d’incontro con i libri.
“Impariamo qualcosa di chi siamo dal libro che leggiamo, perché noi stessi in fondo siamo un libro che attende di essere letto”.
E Renato lo sa e non a caso oltre alla sua testimonianza sceglie di lasciare in eredità al tempestoso Manuel un libro che ha accompagnato la sua vita ma che sente di non poter riuscire a terminare : “Guerra e pace” di Lev Tolstoj. Perchè per realizzarci come persone occorre amare la vita in tutte le sue sfaccettature, nel bene e nel male, in guerra e in pace. E lo stesso vale nei confronti di chi incontriamo: amare sempre la diversità dell’altro, così speciale proprio perché così diversa.
Alberto Onofrietti e Antonello Fassari
Ed è per questo che nell’accogliente microcosmo di Renato, che ha generosamente fatto spazio all’esuberanza -seppur ancora acefala- di Manuel, il ritratto di Antonio Gramsci può alternarsi a quello di Francesco Totti. Una fertile duttilità d’animo che non passera inosservata allo sguardo della figlia Aurora che, tornata dal padre dal quale si era isolata per 30 anni, avvertirà come la presenza di Manuel sia stata preziosa per predisporre suo padre ad un nuovo punto di vista sulle possibili deviazioni politiche giovanili. Un padre che ha imparato “a tradurre” la lingua dell’attuale impazienza giovanile.
E allora “farà giorno”.
Alvia Reale e Alberto Onofrietti
E, seppur solo per un attimo, si scopriranno – proprio come ne “I tre moschettieri” di Alexandre Dumas, primo libro letto voracemente da Manuel – “tutti per uno, e uno per tutti !”.
E allora al di là dei duelli di parole e di silenzi, resta e vince l’acuta tolleranza verso un’onesta carenza morale e una nobile guitteria, quando queste arrivano a fiorire in generoso altruismo.
Uno spettacolo importante e necessario.
Antonello Fassari, Alvia Reale, Alberto Onofrietti
FARÀ GIORNO
commedia in due atti di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi
Che cosa resta in noi dei traumi collettivi che ci hanno attraversato in questi ultimi venti anni ? Quanto ci hanno temprato e quanto, invece, hanno contribuito a lasciarci con i nervi scoperti ? Quale sarà l’eredità che lasceremo alle generazioni future?
In questo libro Massimo Recalcati, psicoanalista e saggista italiano, con affascinante chiarezza e audace profondità, esprime l’urgenza di riaprire il sipario sulla scenografia antropologica che ha caratterizzato “l’inverno del nostro scontento”: quello provocato in noi dagli eventi dell’ultimo ventennio.
In questi anni infatti si sono susseguiti, in un incredibilmente ristretto lasso di tempo, laceranti traumi: la grande crisi finanziaria, il terrorismo, la pandemia, la guerra. Recalcati riapre allora “le tende” del sipario facendo sentire la sua “voce” con la solennità propria di un testimone e con l’appassionata professionalità di chi sa individuarne ed analizzarne, con piglio “traumaticamente virtuoso”, le relative coreografie esistenziali.
Perché è da queste coreografie che hanno preso forma e corpo posture rigide, e quindi iper-protettive, verso i nostri confini personali. Ma quando “la vita si protegge dalla vita”, cioè diventa impermeabile all’incontro con l’Altro, “ci si incammina verso la dissoluzione”.
Ecco allora che l’analista e, in quanto tale, l’antropologo Recalcati può e deve uscire dalle pareti “isolate” del proprio studio, se è vero – come è vero – che l’interiorità dell’individuo non è mai da considerarsi a sé rispetto all’esterno in cui è immersa. Come scoprì Möbius attraverso l’elaborazione del suo nastro e teorizzò il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, attraverso i suoi studi sul rapporto tra psicologia individuale e società.
In questa continua osmosi tra esterno ed interno, anche le personalità politiche che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio preso qui in esame (da Berlusconi a Grillo, da Renzi a Mattarella, da Trump a Putin) risultano interessanti allo sguardo acuto e solerte di Massimo Recalcati. Ma non in quanto “persone”, ovvero come singole individualità da analizzare, bensì come “cifre simboliche del nostro tempo”.
Parallelamente l’analista Recalcati si riconosce lui stesso come cittadino e la sua postura “a pugni chiusi” è proprio quella di chi sente l’urgenza di indignarsi, per resistere ai continui tentativi di abuso di potere sulle soggettività.
Un’indignazione che non ha nulla del capriccio ma piuttosto la grazia dello sdegno che storna l’onore e la concretezza del severo e deluso disprezzo.
Un’indignazione a cui allude anche l’immagine scelta per la copertina e “la pesantezza” luminosa delle tonalità. Ma proprio su quel bianco&nero così saturo, che esprime appieno tutto il pathos dei momenti di passaggio e di trasformazione radicale della nostra esistenza, svetta un colore che regala personalità ai caratteri del titolo: quel colore che rimanda al coraggio unito allo spirito di sacrificio.
È il giallo zafferano: l’arancione che Vasilij Kandinsky associava al temperamento proprio di un uomo sicuro della propria forza. Infatti – sosteneva – “è quasi un rosso ma più vicino all’umanità del giallo”.
Massimo Recalcati, sempre attento alla resa iconografica dei suoi contenuti, sceglie per questo libro una copertina raffinatamente sagace, che trasmette tutta quell’audace intrepidità con la quale, come bambini, dovremmo porci. Andando così oltre le narrazioni che ci vengono riferite e sviluppando una nostra consapevolezza critica. Per osare inoltrarci attraverso ingressi celati. Ma percorribili. Insieme. Riattivando il nostro fiuto e il nostro desiderio. Ancora.
Solo così, dopo aver attraversato quell’ “inverno del nostro scontento”, si potrà arrivare ad assaporare una “gloriosa estate”. È questo il messaggio augurale, dal carattere di “rivolta” e di “preghiera”, che qui, in A pugni chiusi. Psicoanalisi del mondo contemporaneo, Recalcati veicola.
Massimo Recalcati – psicoanalista e saggista –
Una “gloriosa estate” incentrata sul rispetto dell’umanizzazione della vita nonché sul rispetto del senso della Legge.
Due forme di rispetto che ci portano a sviluppare una libertà che non si sgancia mai dal senso di responsabilità e proprio per questo riesce a rivelarsi generativa di profonde passioni, di vere e proprie “vocazioni” talentuose, di desideri incandescenti.
Desideri che rompono quell’omeostasi nella quale stiamo tendendo a crogiolarci troppo e che finisce per condurci sempre più verso una cronica stanchezza e a successive tendenze depressive. Desideri quindi forieri di vitali soddisfazioni, a patto che non si incorra nella tentazione di legarli ad un oggetto.
Massimo Recalcati – Arena di Verona –
Complice di questo nuovo scenario possibile, la Politica potrà tornare ad essere un punto di riferimento culturale di alto livello, al quale i giovani guarderanno ancora con fiducia. Un luogo, come già sosteneva Aristotele, capace di tenere insieme le differenze dei singoli, per il bene comune della città.
Una Politica capace, quindi, di fornire anche un’autentica testimonianza di come “saper tramontare”: la virtù delle virtù umane. Quella che ci spinge ad avere cura dell’Altro, oltre che di noi stessi. Perché “lo specchio” che conta davvero per ciascuno di noi non è quello che riflette narcisisticamente la nostra immagine. Ma quello dell’Altro, quello cioè della socialità: delle persone che amiamo e che stimiamo.
Massimo Recalcati, reduce da quindici tutto esaurito al Teatro Carcano di Milano, ha portato e porterà sul palcoscenico (la prossima data sarà quella del 20 Luglio a Santo Stefano Magra (SP) presso la ex Ceramica Vaccari) una lectio con estratti del suo ultimo libro “A pugni chiusi” – edito da Feltrinelli.
Qui puoi guardare le interviste a Massimo Recalcati su questo libro: