ANTIGONE – regia Roberto Latini

TEATRO ROMANO DI OSTIA ANTICA

19 Luglio 2025

Teatro Ostia Antica Festival

Il senso del passato

Al di là dei meccanismi “confortevoli” della tragedia classica – dove si puó far conto su una “distribuzione delle parti” che protegge lo spettatore dal riflettersi nelle intime e contraddittorie responsabilità proprie di “ciascun” personaggio – la rilettura innovativa dell’Antigone di Sofocle da parte di Jean Anouilh è un testo – qui tradotto da Andrea Rodighiero  e adattato da Roberto Latini – che sceglie di rinunciare al meccanismo della suspense tragica, per andare a sagomare l’attenzione dello spettatore sulla luce delle ombre, proprie del diverso modo di stare al mondo di ciascun personaggio. 

Roberto Latini

Ciascuno in bilico tra il suo essere uomo e il suo essere umano: ciascuno costituito da una propria dose di “sentire” fatto di solidarietà e di opportunismo; di compassione e di indifferenza; di comprensione e di giudizio; di perdono e di odio; di cura e di disattenzione; di gentilezza e di violenza.

La regia di Roberto Latini visualizza con intensa efficacia questa tensione d’indagine di Jean Anouilh, mettendo in scena una strada – topos dell’eredità paterna di Antigone – ma sollevando i personaggi dal dover accordarsi  su quel “cedere il passo”, che aveva contraddistinto la storia di Edipo e (metaforicamente) anche quella dei suoi fratelli Eteocle e Polinice. Lo fa cioè trasformando quella che era una libera scelta, nella “regolamentazione” di  uno stop. Nello specifico, la fermata di un bus. Sul quale però Antigone si sente libera di scegliere di non salire. Mai.

Perché regolamentare una libera scelta non spegne, né anestetizza, il sentire umano. 

Perché non è vera solo la considerazione che “tutte le scelte che hai fatto ti hanno portato adesso qui” ma anche che “tutte le scelte che non hai fatto ti hanno portato adesso qui”.

Lo stesso Creonte, che in veste di “re” condanna l’ostinato sentire di Antigone, si chiede come “umano” – e scopre di desiderarlo anche lui – se mai qualcuno sarebbe disposto a morire per lui, pur di dar voce ad un sentire esuberante la Legge e al di lá del suo effettivo “merito”` quale destinatario del gesto.

Un sentire che, proprio in quanto “esuberante” rischia di perdersi,  sfociando in una pulsione di morte. Così come rischia di essere risucchiato in un meccanismo di mortifera manipolazione – dove in cambio di una pseudo sicurezza si cede il proprio pensiero critico – il sentire di coloro che “con indifferenza” aderiscono alla Legge.

E’ un rapporto – questo tra la Legge e il sentire umano – che parla intimamente di noi. E a noi. 

Non a caso il Teatro ne fa l’oggetto privilegiato della propria indagine.

Ecco allora che la regia di Latini sceglie di fare di ciascun personaggio “un corpo di voce”, capace di rendere magnificamente il vicendevole insinuarsi delle tensioni securitarie nel sentire esuberante dei protagonisti della storia.

La stessa scelta di distribuzione dei personaggi non è quasi mai univoca e la duplice partitura rende con avvincente efficacia il riflettersi – e quindi il visualizzarsi – di aree dell’animo di un personaggio nell’altro.

Le opportunitá offerte dallo spazio scenico del Teatro romano di Ostia vengono poi esaltate nel loro valore simbolico rendendole aree dell’animo dei protagonisti. Ad esempio, lo spazio dell’orchestra ospita l’area più enigmaticamente sotterranea non solo di Antigone – la cui restituzione da parte del Latini attore si incide nello spettatore per una sublime bellezza vertiginosamente aerea – ma anche degli altri personaggi. 

Anche i costumi – curati da Gianluca Sbicca – esaltano i colori e le morfologie vocali dei personaggi, la cui unicitá del volto è parzialmente celata da una maschera omologante – che ricorda quelle antigas del periodo bellico della Seconda Guerra Mondiale. Maschera alla quale possono rinunciare  quando scendono nell’area sotterranea della propria  psiche. 

Nell’area superiore del palco – area della cittá di sopra, ordinata dai principi della Legge di Stato e simbolo dell’area psichica dell’io – le posture e i gesti della voce/corpo dei personaggi si esprimono attraverso  la meccanicità dell’obbedienza, alludente a quella di marionette i cui fili sono gestiti dall’opinione pubblica della cittá: un agglomerato di mezzi di comunicazione uniformante. La cura delle scene é di Gregorio Zurla.

Le musiche e i suoni di Gianluca Misiti, nonchè la drammaturgia delle luci di Max Mugnai, sono anch’essi sensuale corredo acustico di una messa in scena sapientemente versata nelle orecchie dello spettatore.

E che inizia così:

Roberto Latini

Ecco. Questi personaggi stanno per rappresentarvi la storia di Antigone…”.

L’ “Ecco” che apre il prologo è un vero e proprio “ecce homo”: come a dire “eccoli, guardateli, sono proprio questi personaggi qui, questi davanti a voi, che fanno la storia (oltre che il mito) di Antigone”. 

Ed é la voce solenne e suadente di Francesca Mazza che – come in un reportage esistenziale – ci rivela ritratti acuminati di personaggi assai riconoscibili: a noi vicini, prossimi.  

Vale qui la pena ricordare che Anouilh fu trascinato a scrivere la sua “Antigone” non appena appresa la notizia dell’atto del giovane Paul Colette – atto rivendicato senza porsi a rappresentante di alcuna idea politica – con il quale aveva attentato, senza fortuna, alla vita del vice di Philippe Pétain (che allora governava la Francia di Vichy) conquistandosi le percosse della polizia, una condanna e la deportazione.

Personaggi quindi – quelli annunciati nel prologo – che non hanno nulla di rassicurante: escono fuori dai confini della tragedia e ci vengono a graffiare. O ad accarezzare, complici. E ci sussurrano – spogliandoci delle nostre maschere – quali sono le ombre che ci costituiscono. E così, denudati, restiamo a guardarci.

Francesca Mazza

Accorgendoci come non ci sia davvero niente di rassicurante nelle nostre tenere e vigliacche esigenze di sicurezza. 

Intenzione dell’autore è  quella di non lasciarci “tranquilli”, come se la storia non ci riguardasse davvero, o come se ce la potessimo cavare con una rassegnazione furba: indifferenti, senza dubbi, senza turbamenti, “sempre innocenti, sempre soddisfatti di noi stessi e della giustizia… senza immaginazione”.

Intenzione dell’autore è contaminarci dell’urgenza ad andare a “scovare” – un pó come fa Emone – l’Antigone che è in noi, in tutti noi. Perché ora la nostra Antigone l’abbiamo nascosta “laggiù nel fondo” della nostra anima. Un pó troppo in fondo, forse. Come Creonte. 

Silvia Battaglio

Ma anche come Ismene: una sorella incline sí al conversare e all’omologarsi ma anche a quella meditazione solitaria propria del personaggio del “messaggero” (nella doppia partitura un’interessante Silvia Battaglio).

Solo ora, così predisposti gli spettatori attraverso un prologo spietatamente poetico, la recita può iniziare.

Manuela Kustermann

“Da dove vieni?” – è la voce insieme stridula e rauca della meravigliosa Nutrice di Manuela Kustermann, solo lei capace di intuire l’essenza volatile di un’ Antigone – “dal passaggio più leggero del passo di un uccello” – che fin da piccola piangeva pensando che c’erano tante bestioline, tanti fili d’erba nel prato e che non si poteva prenderli tutti. 

Lei, la Nutrice, una donna dalla sensibilitá ancestrale: “marmotta”  e “cane da guardia” si definisce. E si rammarica di non esser riuscita ad essere stata sufficientemente attenta nel controllare la “tana” da lei scavata. Sente, infatti, a qualche livello, l’attrazione pericolosa di Antigone per la notte, per il mondo di sotto. E questo “la manda in oca”: la rende goffa e confusa.

Sente che é una bambina che si sta improvvisando adulta, senza passare per l’adolescenza. Una piccola Antigone che non vuole avere ragione ma che si ostina a fare ció da cui si sente chiamata. Senza voler scendere a compromessi. “Ancora troppo piccola per tutto questo”: essere catturata e insieme essere per la prima volta se stessa.

Orgogliosa come “un piccolo Edipo”, Antigone é consapevole che il re di Tebe “deve” farla ammazzare “senza volerlo”. Perché questo significa essere un re. Ma, se oltre ad essere un re é anche “un essere umano”, deve farlo in fretta: solo questo lei gli chiede.

Creonte (qui, una coinvolgente Francesca Mazza)  comprende la richiesta di Antigone  e le confida: “avrei fatto come te, a vent’anni. È per questo che mi bevevo le tue parole. Ascoltavo dal fondo del tempo un piccolo Creonte magro e pallido come te e che non pensava ad altro che a dare tutto anche lui”.

Ora, invece, Creonte é un uomo che “gioca al gioco difficile di guidare gli uomini”. Un gioco difficile, il suo, non essendo guidato dalla passione ma solo dalla spinta all’esecutivitá, propria di “un operaio sulla soglia della sua giornata”. 

E’ un re che ha paura, Creonte, e che rimpiange la sua vita di prima: quella ribelle dei vent’anni e quella precedente alla morte di Edipo: una vita noiosa e libera da responsabilitá.

Non immune dalla paura é la stessa Antigone, che cerca il calore umano dello “sfregarsi” in un abbraccio, prima di ogni momento particolarmente difficile. E lo chiede apertamente: alla Nutrice ma anche ad Emone e finanche alla guardia (qui un’Ilaria Drago efficace in entrambe le partiture).

Ma un nuovo “Ecco” apre l’epilogo affidato alla vocalitá decisa e vellutata di Manuela Kustermann.

“Ecco, senza la piccola Antigone, è vero, sarebbero stati tutti più tranquilli. Ma adesso è finita”.

E ritorna l’attenzione puntata proprio su quei personaggi che Anouilh ci aveva posto di fronte al momento del prologo e che, senza la storia di Antigone, sarebbero stati “tranquilli”: senza turbamenti. Anche gli spettatori senza la storia dell’ Antigone di Anouilh sarebbero stati piú “tranquilli”: non sarebbero stati sollecitati a rispecchiarsi nelle diverse aree contrastanti del sentire dei diversi personaggi coinvolti nella storia.

Ma la vita non ci chiede di essere “tranquilli”, men che meno “indifferenti”, come invece fanno le guardie: atteggiamento con cui Anouilh non a caso chiude il testo. Loro si curano solo di giocare a carte, ovvero di giocare ai soldi.

Ma ogni fine contiene anche un nuovo inizio: é il senso del passato.

E allora Jean Anouilh chiude con un paradosso per dare vita a un nuovo enigma: chi sono coloro che invece di avere cura del rispetto della giustizia, amano giocare ai soldi?

Ma soprattutto: chi sentirá l’esigenza di decifrare questo enigma, di interpretarlo, di farlo risuonare in se?

Roberto Latini. Foto ©Masiar Pasquali

Attraverso questo spettacolo Roberto Latini ci fa dono, ancora una volta, di una splendida testimonianza dell’esigenza di prenderci cura di noi. Di tutti noi.

E lo fa indirizzando il nostro sguardo su chi – precedendoci – ha dovuto giá “scegliere le domande da infilare nelle tasche del tempo, dell’età, della speranza” –  come scrive splendidamente lui stesso, nelle note di regia allo spettacolo.

Domande che ci parlano di un desiderio che custodisce “una veritá vera, scomoda, incapace, parziale”. E cioé che “la nostalgia del vivere é precedente a tutti noi”.

Per questo, noi che ora siamo vivi, possiamo evitare di “dolcemente dimenticare” le tracce e le rovine lasciate da chi ci ha preceduti: é questo  quel “senso del passato” di cui questo Festival ha cura di parlarci. Perché quelle tracce e quelle rovine chiedono continuamente di essere riesaminate.

Perché il nostro passato – come ci ricorda Latini nel suo finale – é il risultato non solo delle scelte che abbiamo fatto, ma anche di quelle che NON abbiamo fatto.

Perché il passato é “un affare che ci riguarda”.

-.-.-.-.-

Recensione di Sonia Remoli

L’ANTIGONE DI MENDELSSOHN – direttore Francesco Lanzillotta

Teatro Ostia Antica Festival – Il senso del passato

AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA ENNIO MORRICONE

23 Giugno 2025

Straordinario successo all’Auditorium Parco della Musica per l’Antigone di Mendelssohn – musiche di scena per la tragedia di Sofocle: direttore Francesco Lanzillotta, narratore Massimo Popolizio, maestro del Coro Andrea Secchi.

Un appuntamento di spiccata rilevanza artistica e culturale – nato dalla collaborazione tra l’Accademia Nazionale Santa Cecilia e il Teatro di Roma – per restituire alla scena un’opera rara e affascinante come L’Antigone di Mendelssohn: una delle opere più singolari del repertorio romantico nel suo coniugare la potenza del linguaggio musicale con la profondità del testo di Sofocle, nella traduzione tedesca di Jacob Christian Donner. 

Un’opera fortemente significante, anche nell’attuale momento storico, scelta per inaugurare la Stagione Estiva dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e il Teatro Ostia Antica Festival, Il senso del passato.



Un passato a cui ritornare per rispondere alla sua richiesta di essere continuamente ripreso, rianalizzato, riletto. Perché c’è sempre qualcosa di vivo nel passato che chiede continue ricostruzioni inedite.

Concertata da Francesco Lanzillotta – uno dei direttori d’orchestra più interessanti nel panorama musicale italiano; tra i più apprezzati della sua generazione e regolarmente ospite di importanti compagini orchestrali – l’esecuzione dell’Orchestra e del Coro maschile dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha trascinato il pubblico in sala in un’esperienza – colma di entusiastica passione – all’interno dell’intensità del mito e del fragile stare al mondo degli uomini.



Merita di essere ricordato che le musiche per L’Antigone di Mendelssohn sono state eseguite dal vivo solo una volta prima di questa occasione: nel 1986, quando l’Orchestra ceciliana le ha portate in scena all’Auditorium Pio, sotto la direzione di Marcello Panni.

M° Francesco Lanzillotta – Massimo Popolizio

Dal guizzo liquido e affilato si è rivelata la riflessione carismatica indotta sullo spettatore dagli interventi del narratore Massimo Popolizio, che hanno abilmente regolato il flusso della relazione tra musica e testo. Stimolando nello spettatore un autentico interrogarsi al cospetto del mare del passato, ancora così vivo e inquieto nel presente. 

Ma il dono più grande che la partecipazione a questa esperienza di teatro musicale lo spettatore custodirà con sé è l’aver sperimentato come si può vivere la drammaticità della tragedia con meravigliosa passione entusiastica. 



Quell’entusiasmo che sedusse Felix Mendelssohn durante le prove finalizzate alla prima messa in scena del 28 ottobre 1841: “ora abbiamo due prove al giorno – scriveva in una lettera – e i cori sembrano esplodere: è una vera gioia. Il compito in sé è stato meraviglioso e ci ho lavorato con grande piacere”. 

Quell’entusiasmo che presso i Greci era la condizione di chi veniva invaso da un furore divino: l’indovino, il sacerdote, il poeta. Ma anche l’uomo. Perché l’entusiasmo è un sentimento di potenza suprema: un invasamento che ci pone in contatto con la parte divina che è in noi. Quel fervore impareggiabile, che è arcaicamente religioso e poetico, musicale e profetico, trascendente e confitto nel corpo.

Felix Mendelssohn



Mendelssohn sa con la sua musica provocare nello spettatore gli effetti di quest’energia, sublimandoli con echi romantici dal temperamento elegiaco, quale più alta espressione dell’arte come sentimento. Dove si raggiunge la sintesi tra commozione individuale e idealizzazione della realtà. 
Un esempio meraviglioso di questa speciale cifra stilistica viene proposto allo spettatore attraverso la figura di Antigone, interpretata da Simonetta Solder in tutta la passionalità arcaica di bimba cantilenante, dai contorni taglienti quasi di sacerdotessa.

Massimo Popolizio – M° Francesco Lanzillotta – Simonetta Solder



Ma un’altra fulgente dimostrazione di questo stile ci viene restituita attraverso l’adattamento del testo recitato realizzato da Gianni Garrera – filologo, traduttore e  studioso di riferimento in italia di Søren Kierkegaard – dove ad esempio il suicidio di Antigone viene metaforicamente paragonato al poetico dondolio di un’altalena. 

E ancora, un altro fascinoso esempio è rintracciabile nell’Introduzione, dove viene stabilito il conflitto tra Creonte e Antìgone, tra Stato e individuo. Qui inizialmente si ascoltano accordi solenni in ritmo puntato (associati al sovrano Creonte): un Andante maestoso che viene bruscamente interrotto da un cambio di tempo, che introduce una sezione in ritmo ternario. Un Allegro assai appassionato che, nel tratteggiare il carattere di Antigone, segue uno sviluppo del tutto personale. 



La composizione delle musiche di scena op. 55 per la tragedia di Sofocle è il frutto dell’incontro del più classico dei musicisti romantici con il più classico dei tragici greci. Nell’ ambiente culturale germanico l’Antigone costituiva l’esempio più perfetto di teatro, che i Greci ci avessero lasciato. 

Il progetto originario prevedeva un’orchestrazione esclusivamente composta da strumenti che avessero degli equivalenti nell’antichità greca: il flauto (per l’aulo antico); la tuba e l’arpa (in sostituzione della lira). Le parti cantate poi dovevano essere affidate ad un coro maschile, che avrebbe seguito una linea rigorosamente monodica. Ma il regista, letterato e scrittore Ludwig Tieck dissuase l’amico Mendelssohn a procedere in tal senso: evidente era il rischio di una musica eccessivamente piatta e monotona rispetto ai gusti del tempo. 



Mendelssohn rinunciò allora al suo proposito originario virando sull’uso di un’orchestra dove le parti corali venivano affidate ora ad un coro maschile, suddiviso in due semi cori con complessive quattro parti: due affidate ai tenori e due ai bassi. Complessivamente il coro constava di 16 cantori (diversamente dall’uso dell’epoca di Sofocle, che ne prevedeva 15) con un capo coro (un tenore o un basso) cui venivano affidate parti da solista. 

Mendelssohn musicò per intero poi quei brani corali – momenti centrali dell’azione tragica – che fungono da intermezzo tra un episodio e l’altro: il parodo, i cinque stasimi e la parte finale dell’esodo. 

Ad aprire la partitura, una compatta Introduzione: Andante maestoso – Allegro assai appassionato.

“Il senso del passato” è il tema portante del Teatro Ostia Antica Festival, di cui L ’Antigone di Mendelssohn è lo spettacolo di apertura. Restare in dialogo con il passato è infatti lo snodo di questo testo sofocleo, nonché dell’avvincente spettacolo di teatro musicale, diretto da Francesco Lanzillotta.

Un passato che ci chiede di essere continuamente guardato, ascoltato, per divenire nuovo spunto di rilettura e quindi anche nuova riflessione sul presente. 

Ce ne parla con struggente entusiasmo l’adattamento di Gianni Garrera, dove trovano ospitalità le insistenti richieste di Antigone – ma anche di Creonte, qui interpretato da Christoph Hülsen – affinché non solo i cittadini di Tebe ma anche gli spettatori si rendano disponibili a farsi “testimoni” della situazione dilemmatica, nella quale sia lei che Creonte si sono trovati ad essere protagonisti. 

Simonetta Solder (Antigone) – Christoph Hülsen (Creonte) – Alessandro Budroni (La guardia, Il servo, Corifeo)

Frangente esistenziale non così lontano dai dilemmi contemporanei. Tanto che, a qualche livello, lo spettacolo di teatro musicale diretto da Lanzillotta tende a sottolineare quegli elementi del testo originale che lo rendono quasi “un processo” relativo ad un fatto di cronaca contemporanea.

Parallelamente, lo spettacolo risulta associabile anche ad una rievocazione sacra della passione di Antigone, scandita dalle stazioni annunciate dagli interventi narrativi di Massimo Popolizio: “Qualcuno ha seppellito…”; “E’ stata riconosciuta…”; “Ora Antigone percorre l’ultimo tratto viva …” ecc.  

Massimo Popolizio

Perché una delle domande che il testo ci rivolge è: 

Come si fa a tenere insieme una comunità, quando qualcuno non si riconosce più intorno a certe parole, come “stato di diritto”?  

Ma anche:

Come si fa a tenere insieme una comunità, all’indomani di una guerra, quando un capo politico si trova in difficoltà nel gestire “le differenze” e – per evitare l’effetto contagio nonchè la perdita della proprio reputazione – è tentato di ricorrere alla violenza? 

Voi spettatori cosa fareste? – sembra chiederci Sofocle.

La risposta ovviamente non può essere univoca ma andrà cercata di volta in volta nella pratica politica. Ma vale la pena chiedersi: qual è il principio che può guidare la politica nell’avere la sensibilità di capire quando e come mettere “confini” e quando invece è necessario “incontrarsi” sul confine? 

Gianni Garrera

L’adattamento di Gianni Garrera prende forma proprio intorno al diverso modo di abitare il concetto di confine, da parte degli uomini. “Superare i limiti è l’insensatezza” ma il desiderio dell’uomo tende ad eccedere. Errare è quindi umano, ma ostinarsi è qualcosa che può accecare e che rischia di farci desistere dall’impegnarci a trovare “le parole” più adatte per esprimere il nostro disagio. Orientandoci piuttosto verso “il silenzio” e quindi verso la violenza dei gesti. E non riuscendo spesso a riconoscere, noi umani, che la saggezza umana non può mai essere “totale”, anziché continuare a confrontarci per incontrarci in qualche punto del confine delle differenze che ci separano, siamo spinti dall’odio a credere di poter esercitare un diritto alla violenza sull’altro, o su noi stessi. 

Ad abitare, da viva, il confine della morte è condannata Antigone, per aver sollevato il problema se la morte di un “nemico” dello Stato possa essere oggetto di cura (di sepoltura) da parte di un familiare. E quell’accoglienza alla sua richiesta che non trova spazio in Creonte – che ricorda un po’ quel mancato cedere il passo su cui si scontrarono Edipo e Laio – Antigone è convinta che le verrà riconosciuta nel mondo sotterraneo di Ade, luogo di residenza di Dike (dea della giustizia). Ed è così che il desiderio di sepoltura raggiunge in Antigone un’ostinazione tale – sordo com’è ad ogni tipo di dubbio e alla cura verso la propria vita – da divenire un desiderio di morte.

Ma la capacità di decisione di Antigone non è libera dai lacci arcaici del suo γένος (ghénos = stirpe, famiglia). La narrazione di Sofocle infatti prende avvio da un antecedente fratricida – ancora una volta legato ad un mancato cedere il passo all’altro – consumato sulle mura di Tebe. E Sofocle scrive che i due fratelli di Antigone – Eteocle e Polinice – sono caduti di “reciproca” morte, “condividendo” una pozza con lo “stesso” sangue. Un sangue speciale, diverso: incestuoso, chiuso. Sangue di una famiglia dove i confini sociali sono saltati: dove un fratello (Edipo) può essere anche un padre. E dove una sorella, Antigone, può dire a Creonte che lei può farsi legge a se stessa: una legge tutta sua, della sua stirpe edipica, che sovverte l’ordine “normativo” della vita della società.

Andrea Secchi (maestro del Coro) – M° Francesco Lanzillotta (direttore)

Ma, al di là dei lacci arcaici che imbrigliano Antigone al suo destino, Sofocle sembra volerci chiedere:

come ci si educa al passaggio da individui a cittadini, da famiglia a società? 

Un dilemma nel quale anche noi siamo stati recentemente chiamati in causa, in occasione della crisi pandemica, dove abbiamo sperimentato come nessuno si salva da solo e che anche chi ci è prossimo può esserci “nemico”.

Hegel nei “Lineamenti di filosofia del diritto” immaginava che un passaggio graduale dalla sfera individuale a quella pubblica potesse avvenire attraverso l’istituzione scolastica.

Ma anche il Teatro, da sempre, si dedica a svezzarci da “figli” al rango di “cittadini”. 

Lo stretto legame fra il teatro tragico del v secolo a.C. e la politica ateniese ne è un dato di fatto, largamente condiviso. E quello di Sofocle impegnato nell’educare la sua Atene – splendida ma anche piena di contraddizioni – é il profilo di un moderato vicino, per mentalità e ideali, ai ceti aristocratici ateniesi, propenso a collaborare con la democrazia periclea, ma al tempo stesso costantemente impegnato a segnalare al suo pubblico le debolezze intrinseche di quel sistema e i rischi di una sua degenerazione.


Ecco allora che questo interrogarsi sul “senso del passato” che ci propone il Teatro Ostia Antica Festival diventa oggi più che mai necessario. E l’entusiasmante Antigone di Mendelssohn diretta da Francesco Lanzillotta, ne è stata una luminosa occasione di riflessione.


Il prossimo appuntamento del

Teatro Ostia Antica Festival

Il senso del passato

sarà

al Teatro Romano di Ostia Antica

dal 2 al 6 Luglio

con Edipo Re di Sofocle
traduzione Gianni Garrera
adattamento e regia Luca De Fusco


Recensione di Sonia Remoli