Recensione dello spettacolo ANELANTE – di Flavia Mastrella e Antonio Rezza – con Antonio Rezza –

TEATRO VASCELLO, dal 14 al 19 Gennaio 2025 –

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Che cosa ci rende “anelanti” ?

Parlare.

Commentare.

Improvvisarci opinionisti.

Anelando divenire, magari, rispettabili influencer: massima realizzazione per essere considerato un personaggio di successo. E quindi in grado di influire sui comportamenti e sulle scelte di un determinato pubblico. 

Perché anche a questo aneliamo: essere guidati nelle nostre scelte.

Tanto che non riusciamo neanche più a tenere spento il cellulare a teatro, come se i nostri commenti o quelli dei nostri influencer non si potessero permettere di chetarsi per la durata di uno spettacolo.

Ecco allora che Antonio Rezza, consapevole di questa improrogabile urgenza, persuaso di un qualcosa che non può essere silenziato o messo a tacere, apre lo spettacolo proprio con l’entrata in scena dello squillio di una suoneria. 

Che lascia “parlare” come motivo di apertura: quale furor dionisiaco per una composizione erotica, ovvero come base musicale da cavalcare e sulla quale comporre il testo dello spettacolo. 

Scritto con i piedi, ovvero immaginificamente digitato attraverso una danza, eseguita in un habitat di scrittura creativa, generato dalla fulgente fantasia di Flavia Mastrella. Un habitat principale dove tutto è lineare, geometrico: dove tutto è bianco oppure nero, dove sei “in” o sei “out”: senza spazio alcuno alla diversificazione, propria di uno spettro di sfumature tridimensionali.

Diversificazione che trova accoglienza, apparentemente, in un habitat secondario, di sfondo, senza spessore: un ambiente “jungle”, elogio dell’irregolarità e dell’apertura alla trasformazione, attualmente in crisi d’identità.

Habitat visualizzazione del nostro egocentrismo attivo o passivo: da influencer o da follower, a seconda della posizione che ci si piega ad assumere. Perché questo nostro inarginabile bisogno di dire (o di riferire) la “nostra” opinione su tutto, senza un’autentica conoscenza e senza ascoltare davvero l’altro con personale spirito critico, è la pulsione più potente che attualmente ci abita. 

Ed è così che lunghe catene dimostrative – alle quali con verace surrealismo Antonio Rezza dà forma – e principi lontani dal senso comune vengono preferiti all’esprit de finesse, che si fonda sul sentimento e sull’intuizione. Predisposizioni quest’ultime che avvicinano, muovendoci a compassione l’uno verso l’altro. E non indifferenti come “due rette che si incontrano solo all’infinito”, oppure come seguaci disposti ad offrire l’una e l’altra “guancia”, in cambio di riflessioni paranoiche narcisisticamente auto-referenziate.

Se siamo disposti a dar via la libera espressione dei nostri desideri, in cambio di qualcuno che si assuma la responsabilità della loro gestione, poco importa -insiste Rezza – che Dio esista o meno.

Siamo comunque orfani di padre, in una società dove il senso della legge – del quale il padre si faceva testimone – è “evaporato”. Così, da un lato ci fanno credere che possiamo desiderare (anelare) tutto ma in verità finiamo per lasciare che a decidere sui nostri desideri siano altri. Perchè scambiamo il godere con il desiderare, postura esistenziale quest’ultima che sola rende ricca la nostra vita. Non di follower ma dell’espressione del nostro talento personale.

In scena un penetrante e fantasmagorico Antonio Rezza si avvale della complicità di multiformi interpreti quali Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara A. Perrini, Enzo Di Norscia.

Particolarmente efficaci gli habitat a cui  ha dato origine lo slancio creativo di Flavia Mastrella,  sui quali sono carismaticamente declinati i costumi degli interpreti in scena, a seconda del loro habitat di appartenenza.


Recensione di Sonia Remoli