TEATRO VITTORIA, Dal 15 al 20 Marzo 2022 –

Da cosa nasce l’urgenza di proporre e fondare un Museo (cioè un luogo “sacro”, un luogo che raccoglie e conserva meraviglia) su Pier Paolo Pasolini? Che cosa ne è stato fatto del “nome” e del “corpo” di Pasolini nel Novecento? Perché quella porta spudoratamente bianca, che campeggia sulla scena, non si apre mai e solo in alcuni momenti rivela il suo vero colore? Di cosa si nutre la “tensione” che la fa restare chiusa?

Si nutre della strategia dell’insinuare su Pier Paolo Pasolini ingannevoli dubbi. Quei dubbi che spesso abbiamo con pregiudizio accolto e che ci hanno tentato a non fare, a non andare a fondo. Così, come “cani da cancello: tra il vorrei e il non posso, una catena”. Pregiudizi che ora tutti noi siamo chiamati a lasciar andare.
Ascanio Celestini con questo spettacolo porta in scena il suo personale contributo. Uno spettacolo dove prevalentemente si ride ma proprio grazie all’utilizzo di questa “chiave” Celestini riesce a solleticarci fino a pungerci. Fino a farci tenere a mente che “faccia aveva Pier Paolo”.

Entra in scena dalla porta “spalancata” del suo Museo, proponendosi come “guida” alla rivisitazione di una particolare biografia del Poeta: una geografia umana, fatalmente intrecciata agli eventi del periodo fascista. Dalla sala d’ingresso, la guida entra poi nel cuore del Museo: uno spazio circolarmente delimitato da luci liquide, opalescenti, aspre ed ancestrali, come il friulano nel quale Pasolini sceglie di scrivere. Luci liquide nelle quali immergersi per purificarsi nella “rosada” (rugiada).
Come vediamo fare dalla nostra “guida”, che entra nel circolo “sacro” e, sedendosi sulla sedia rossa, rompe il piano della verticalità per immergersi. In questo nuovo “stato” può immaginare oniricamente un incontro “ventoso” alla fermata del 109 proprio con il Poeta, questa volta Lui la sua guida. Durante il percorso sull’autobus, Celestini è ancora tentato di mettere una distanza con Pasolini. Lui invece rivendicherà con dolcezza proprio quella vicinanza che non gli è stata concessa: “Ma io non faccio pensieri meno poetici se li condivido con te”.
Perché la poesia è un bene “inconsumabile”, che vive nonostante tutto ma risplende nell’essere accolta, nell’essere tenuta a mente. Nell’essere riconosciuta.

Uno spettacolo scatenato e scatenante, che attraverso il ritmo “zounamico” della narrazione ci coinvolge e ci travolge. A spalancare quella porta chiusa.