TEATRO VITTORIA, dal 18 al 23 Gennaio 2022 –

Sulla scena quasi buia, protagonista è un pianoforte. Arriva da lontano, una voce fuori scena. Ora è vicina: alle spalle del pubblico si affretta a salire sul palco l’impaziente ed anticonformista pianista Clara Schumann (l’intensa Guenda Goria). È accompagnata da un deliziosamente meravigliato giovane falegname del teatro (il ricco in grazia Lorenzo Manfridi).

Iniziamo a capire che siamo a poche ore dall’inizio di un concerto della pianista ma ovunque sul palco regna il caos: a terra nessuno ha tolto i coriandoli dello spettacolo precedente; manca la chiave per aprire il camerino; nessuno ha provveduto ad accendere le luci in sala. Insomma manca un “accordatore”, non solo del pianoforte.

Di fronte a questo disordine che amplifica e fa risuonare il suo disordine interiore, la pianista si apre ad uno torrenziale sfogo verbale polimorfico. Nell’esprimersi si rivolge a momenti a se stessa, in altri al giovane falegname ma soprattutto al suo adorato marito : “Lasciati pensare, Robert !”. E lo rimprovera per averla “costretta a stare bene a tutti i costi”, tenendola cioè lontana da lui.

“Potrei uccidervi” – lui le ripeteva, proteggendola così dalla visione di ciò che ora è diventato: un uomo che ‘”frequenta gli spiriti” e non si ricorda di quanti figli ha. “Ma non ricordare non equivale a non sapere”, si affretta a precisare . Un uomo che dice “Ciao, esco!” e che poi va a buttarsi nel fiume. Ora, anche lui è in una specie di teatro dove, da dietro una tenda-sipario, gli altri possono spiarlo. Ma lei no, lei non può. Lei aspetta che lui da un momento all’altro esiga che lei vada da lui.

Nell’attesa, si siede al pianoforte e suona. E, tra consonanze e dissonanze, riescono a raggiungersi. E il pubblico con loro. L’importante, torna a ribadire la pianista al giovane falegname, è non scappare dalle occasioni: non fare “il pescatore”, colui cioè che getta la lenza e poi aspetta.

Nello spettacolo l’accorata recitazione (accompagnata da un attento gioco di chiaro-scuri del disegno luci) è punteggiata da momenti di appassionate esecuzioni pianistiche; come se la musicalità delle parole trovasse un naturale proseguimento nella musicalità delle note. Quasi un unico discorso, declinato in variazioni sul tema della sublimità dell’amore.

La Goria, che per tutto lo spettacolo riesce ad arginare una prorompente crisi di nervi, ci ha regalato in chiusura (complice il caloroso applauso del pubblico) un inaspettato scioglimento delle catene della sua tensione. E con lacrime non più trattenute, ha ringraziato il pubblico presente in sala, numeroso ed attento. “Eroi”, lei ci ha definito, in considerazione dell’ancora castrante situazione sanitaria.

E ci ha omaggiato con un brano di Ezio Bosso sulla musica libera. Perché come lui era solito dire, riusciamo ad essere liberi quando la musica entra nella pancia, passa per il cuore e fa muovere la testa. Una serata terapeutica. Perché il teatro sa essere anche questo.