Recensione dello spettacolo LA VOCE UMANA di Jean Cocteau – regia Rosario Tronnolone –

TEATRO DI DOCUMENTI, dal 17 al 22 Ottobre 2023 –

Perdere un amore rischia di non farci più capire chi siamo. Perdere un amore fa vacillare la nostra identità e manda in frantumi la visione del mondo alla quale insieme all’altro avevamo donato una nuova forma. Sì, gli altri sono importanti per caratterizzare “chi siamo”: il loro sguardo, le loro parole, i loro gesti, il loro essere testimoni (e magari anche eredi) di ciò che viviamo ci sono ontologicamente necessari.

Jean Cocteau

Anche di questo ci parla Jean Cocteau (1889-1963) – di cui si celebrano i 60 anni dalla morte – in quest’affascinante e “scandalosa” opera teatrale del 1930. Lo sottolinea, in verità, già nella prefazione a questo testo, dichiarando esplicitamente come esso nasca in risposta ad un certo sguardo che “altri” hanno sul suo modo di lavorare.

Gli fanno notare, ad esempio, di far troppo spesso ricorso a congegni meccanici per le scene. Ecco allora che in questo testo Cocteau toglie tutto, o quasi, e lascia alla sola interprete agire lo spazio. Farsi spazio. È lei lo spazio: lei così accogliente da lasciarsi invadere. Da non curarsi più di sé fino a votarsi (e vuotarsi) come una supplice, tanto da non ritrovare più un proprio sé quando lui se ne va. Quel sé che le permetterebbe di ricominciare. Invece, tagliata la simbiosi, lei si ritrova irreparabilmente monca. Sanguinando dolore.

Inoltre, sempre “gli altri” fanno notare a Cocteau che è suo costume accanirsi ad utilizzare gli interpreti senza tener conto delle loro inclinazioni. Nasce allora, in risposta a tale sguardo, l’idea di realizzare un testo, questo, che non si dia come un diktat, un’imposizione da seguire con ossequio, quanto piuttosto si offra come uno spazio psichico da riempire, un pre-testo: una condizione, un luogo dove all’interprete vengono lasciati in gestione ben due partiture: due ruoli.

Quello di lei che parla e quello di lei che ascolta. E che proprio nell’ascolto ha il potere di dare vita e forma, attraverso eloquenti e più o meno rispettosi silenzi, al carattere dell’altro personaggio: quello di un lui che si trova dall’altro capo del filo del telefono. Colui che è invisibile ma che prende corpo – e spazio – attraverso i silenzi di colei che ascolta. È quindi l’ascolto della voce umana a decidere che vita avrà l’altro. Quale spazio siamo disposti a concedergli. Cocteau non poteva trovare modalità più efficace e di bellezza più superba di questa.

Il regista Rosario Tronnolone

Ieri sera è andata in scena la prima de “La voce umana” del regista Rosario Tronnolone al Teatro di Documenti, nel cuore del quartiere Testaccio di Roma. Uno spazio “sui generis” progettato e costruito da Luciano Damiani, massimo scenografo del Novecento e uno dei più innovativi artisti teatrali di tutti i tempi.

Un possibile allestimento in una sala del Teatro di Documenti

Damiani (1923 -2007) – di cui si festeggiano i 100 anni dalla nascita – dopo aver lavorato nei principali teatri di prosa e di lirica del mondo, decide di creare uno spazio che possa esprimere la sua idea di teatro: uno spazio che, senza rinnegare il passato e la tradizione, diventi il “teatro che prima non esisteva”. Uno spazio “democratico e popolare” dove le persone, gli attori e gli spettatori possano restare insieme nel farsi dello spettacolo. Qui, infatti, l‘unificazione strutturale tra spazio della scena, spazio del pubblico e spazio degli attori annulla la tradizionale separazione tra palco e platea, e disintegra il dualismo “dietro le quinte/davanti le quinte”.

L’interprete Siddhartha Prestinari

In questo “gioiello architettonico”, capolavoro di architettura teatrale, il regista Rosario Tronnolone ha lasciato esprimersi un’intensa e palpitante preda ferita e sanguinante, quale si è rivelata essere Siddhartha Prestinari. E noi, lì accanto a lei – complice la tipologia dello spazio scenico del Teatro di Documenti – abbiamo vissuto attraverso lei il nostro essere stati, almeno una volta, prede ferite e sanguinanti. O magari cacciatori: vista la duplice versatilità richiesta all’interprete in questo celeberrimo monologo-dialogo.

Laddove Cocteau suggeriva un total- white per spazio, oggetti di scena e camicia da notte di lei, con un tocco di “malefico” che si poteva insinuare dal quadro sopra il letto e dal gioco sinistro delle luci, la regia di Valerio Tronnolone sceglie di calare sulla stessa interprete l’allusione alla nota malefica: vestendola di nero. Con un elegante pigiama dal taglio maschile, che ne esalta una femminilità androgina. Anche il telefono, suo prolungamento in quanto ultimo filo a legarla al suo ex, si tinge di nero. L’effetto “sanguinante” dei drappi rossi di Cocteau è qui reso da sinistri fasci di luce rossa, che calano e colano in scena, in alcuni momenti topici dello spettacolo.

L’interprete Siddhartha Prestinari

Ma la più autentica e lacerante sensazione di animale ferito, e progressivamente sempre più sanguinante, ci arriva dalla viscerale – eppur composta – interpretazione di Siddhartha Prestinari, fin dall’inizio dello spettacolo psicologicamente umida di tracce di lacrime, di muco. E di sangue. Al di là del suo elegante contegno, si fa sempre più prepotentemente intimo l’urlo della sofferenza. È la sua voce a insinuarsi, con quel tipo di subdola potenza che solo certa fragilità riesce a scavare in chi guarda e ascolta. Fino a scoperchiare il vaso dei nostri vissuti. E a farci ritrovare lì con lei, a sanguinare. Ancora. 

I suoi piedi nudi, a forza di calpestare ossessivamente il suolo della stanza, hanno finito per condividerne la polvere. Come chi si vota alla volta di un pellegrinaggio, per pentirsi e per chiedere ancora aiuto. Supplicando. Inginocchiandosi. Come quei pellegrini del quadro del Caravaggio (“La Madonna dei pellegrini”) . Come chi si sente “peregrino”, cioè “straniero”, nel luogo che si trova ad abitare.

Siddhartha Prestinari e Rosario Tronnolone

La Prestinari è mirabile nella sua psicologica artigianalità a saper modellare, in maniera sempre diversa con la voce, il disagio che la invade. Si intuisce anche nel suo chiedere aiuto al corpo, nel cercare sempre nuove posture compensatorie. Smette di cesellarsi l’animo, e quindi la voce, solo quando si ribella con la centralinista o con le persone che invadono la linea telefonica. Per difendere strenuamente la “sua” linea telefonica: il suo ultimo legame con lui. Quel che resta del cordone ombelicale dal quale traeva nutrimento. Ma neanche questo ultimo filo che li lega è solo suo. Anche qui deve competere con altre persone che si inseriscono sulla “sua” linea di “abbonata”. 

Eloquentissimo poi il ritratto di lui, che ricaviamo dalla densità carica di pathos dell’ascolto di lei e dal suo sapiente sagomare i momenti di silenzio. Così, Siddhartha Prestinari consegna allo spettatore un dialogo intrigante e lancinante, che non fa cadere nemmeno per un attimo l’attenzione e l’apprensione. Sua la capacità di stimolare nel pubblico l’esigenza di prendere e far proprio, con la mente e con il cuore, il luogo emotivo rappresentato. Una comprensione che ha la cifra dell’umano oscillare tra il ruolo di vittima e quello di carnefice, alla ricerca del difficile equilibrio tra cedere il proprio spazio (il proprio ascolto) senza permettere la totale invasione altrui.

Una prova attoriale di sublime bellezza.


Recensione di Sonia Remoli

IL MUTAMENTO – In viaggio da Atlantide all’Universo

TEATRO DI DOCUMENTI , dal 27 Aprile al 7 Maggio 2023 –

Ieri alle ore 17:45 la creativa regista Stefania Porrino ci ha “convocati” al Teatro di Documenti per condurci, con la complicità dei suoi attori, in “un viaggio al centro della Terra”: un viaggio alla ricerca dei nostri desideri più veri.

L’autrice e regista Stefania Porrino

Tema del viaggio: “Continua a cercarmi”. Sì, perché i desideri, più sono sentiti, più ci viene di nasconderli.

Una scena dello spettacolo “Il Mutamento” di Stefania Porrino

Perché? Ma perché abbiamo paura: paura di realizzarli. Per realizzarli occorrerebbe attivare quel coraggio che non sappiamo di avere ma che in realtà è “l’altra faccia” della paura che predomina in noi. Quel coraggio necessario per riuscire ad aprirci ad “un mutamento”. Lasciando indietro quelle nostre amate-odiate abitudini: così rassicuranti sì, ma anche così insoddisfacenti. E con le quali ci siamo ormai abituati a convivere.

Sala del Teatro di Documenti

E quindi, dopo aver preso posto ai lati dell’insolita sala del Teatro di Documenti, un pò come si farebbe in un vagone della metro, gli attori ci hanno “trasportati” in una seduta di psicoanalisi di gruppo. Tecnica del giorno, scelta dalla psicoterapeuta per una sorta di meditazione sui “mutamenti” che soli hanno il potere di condurci a contattare i nostri desideri più veri: l’improvvisazione di uno psicodramma.

Una scena dello spettacolo “Il Mutamento” di Stefania Porrino al Teatro di Documenti

In un’affascinante e molteplice meta-teatralità, l’acuto testo dell’autrice-regista Stefania Porrino riesce a coinvolgere anche noi del pubblico in questo “viaggio al centro della Terra”, o meglio al centro di noi stessi. Come agli attori-pazienti, anche a noi è capitato di essere stati messi in crisi da situazioni di “mutamento”. E immedesimarsi nelle situazioni problematiche degli altri, ci aiuta a vedere con più coraggio in noi stessi, non essendo coinvolti direttamente.

Evelina Nazzari, in una scena dello spettacolo “Il Mutamento – In viaggio da Atlantide all’Universo” di Stefania Porrino

E’ così che la sala diventa il palcoscenico dell’inconscio, dove convivono le nostre diverse personalità. A vista, senza alcun filtro, si indossano e ci si libera di quelle maschere che più o meno consapevolmente siamo soliti rappresentare. Di particolare efficacia e cura i costumi di Natasha Bizzi.

Solo così si arriva a scoprire il desiderio di voler sperimentare il piacere, tutto nuovo, di essere continuamente messi alla prova, piuttosto che restare impaludati in una comoda zona di confort.

Solo così si scopre il piacere adrenalinico di voler cavalcare le onde dell’Amore: della voglia di farsi travolgere dalla “capacità di amare”, che vuol dire saper accogliere e gestire la delizia e il tormento; i momenti di riconoscimento e quelli della frustrazione; la gioia e la tristezza.

Giulio Farnese e Nunzia Greco in una scena dello spettacolo “Il Mutamento” di Stefania Porrino al Teatro di Documenti

Solo così si riesce a tollerare che a mille domande possano seguire pochissime risposte: perché riusciamo a riconoscere che è in noi che le risposte vanno cercate e trovate. Senza lasciarci paralizzare dalla paura di sbagliare, perché quello che erroneamente chiamiamo “sbaglio” è in realtà un allontanarci dal nostro sentire più autenticamente vero.

Il libro “Il romanzo del sentire – da Atlantide a noi” da cui la stessa autrice-regista ha tratto il testo dello spettacolo

L’effetto catarsi è assicurato: lo spettacolo coinvolge totalmente lo spettatore. Merito di un testo, tratto da “Il romanzo del Sentire – Da Atlantide a noi” di Stefania Porrino, profondo ma fruibilissimo e di una messa in scena seducente. Gli attori Giulio Farnese, Nunzia Greco, Evelina Nazzari, Alessandro Pala Griesche e Carla Kaamini Carretti si sono rivelati degli ottimi “compagni di viaggio” per gli spettatori: la loro interpretazione brilla in credibilità. Notevolissima la loro densità vocale.

La regista Stefania Porrino e il cast dello spettacolo “Il Mutamento-In viaggio da Atlantide all’Universo”