TEATRO INDIA, dal 18 al 21 Aprile 2024 –

Ma come ci si scopre concilianti con la morte, dopo averla conosciuta attraverso lo sguardo di Riccardo Pippa, ideatore e regista di questo poetico, ironico e catartico spettacolo portato in scena da Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti e Matteo Vitanza del Teatro dei Gordi !!!
E come può essere sensuale intrattenersi con la morte! Se ci facciamo caso capita spesso, ogni giorno, d’incontrarla. Mica solo quando siamo lì lì per morire !
E come ci risultano familiari questi personaggi in maschera! E’ strano, ma sembra di averli già incontrati. E’ come se nei loro volti si riconoscesse una mostruosità familiare. Ma più autentica.

Ed è proprio la loro autenticità a sfidarci: si mascherano per spogliarsi, per mettersi a nudo. Per essere “scandalosi” ma anche teneri, accoglienti. E sono pronti a prenderci per mano. Come fa anche la morte. Quindi non esageriamo: anche la morte ci assomiglia.
Ideatore e regista dello spettacolo è Riccardo Pippa: un autentico appassionato di drammaturgia che, tra le altre cose, ha scritto la prima biografia artistica di Renata Molinari, alla quale è legato il più fertile filone di riflessione sulla natura, il ruolo e la funzione del dramaturg.
In questo spettacolo parlare non serve: la parola è sempre così ambigua. E poi non c’è niente da “capire”. Molto meglio ascoltare il corpo degli interpreti in scena. In fondo, cosa c’è di più potente di mettere gli attori di fronte a degli spettatori?

Le maschere utilizzate per questo spettacolo nascono dall’estro della costumista e scenografa Ilaria Ariemme e si ispirano all’estetica della “Nuova oggettività” di Otto Dix (1891-1969) che prediligeva il ricorso alla caricatura, alla deformazione e quindi alla metafora morale per esprimere un forte dissenso.
Queste maschere infatti inquietano perché presagiscono qualcosa di prossimo: ci raccontano, anzi ci fotografano, la vita mista alla morte. La riconosciamo nella predilezione ad esprimersi attraverso la linea contorta e tormentata e attraverso un cromatismo acceso fino a divenir violento. Perché la morte ci fa, ci costituisce: tesse la nostra esistenza assieme alla vita. E poi quando la vita s’arresta o si esaurisce, la morte ci porta di là.

Non avendo però ancora appreso le buone maniere, la morte tende a muoversi maldestramente – come canta la poesia di Wislawa Szymborska “Sulla morte senza esagerare” (da La gioia di scrivere. Tutte le poesie, Milano, Adelphi, 2009) di cui questo spettacolo vuole essere un omaggio. Ma non lo fa apposta. Anzi, di suo la morte è gentile: aspetta che ci arrivi davvero il desiderio di morire e di percorrere il nostro ultimo red carpet: la premiazione di una vita e insieme l’inaugurazione di un nuovo inizio.
Ma finché non siamo pronti lei è lì, sulla sua panchina. E non forza la situazione: ci lascia liberi. Permettendoci di vivere ancora un po’, se davvero ne abbiamo voglia.

Il Teatro dei Gordi é una compagnia indipendente formata da un collettivo di 11 soci. Un gruppo di attori, ex allievi della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano: da qui il nome “gordi” che significa proprio “grassi”, “succulenti”.
Nomen omen: questi ragazzi sono una proposta teatrale davvero piena di succo, molto gustosa.
Bello il teatro “apollineo” di alto concetto sì, ma quello che parla di noi, del nostro corpo, delle nostre reazioni, è impareggiabile.
Questo Teatro dei Gordi è ricco in freschezza – e quindi di succo – e regala un appagamento che sa durare, che si dà senza fretta.

Perché anche la vita è un gioco di succhi, cui fa eco la reazione succulenta della nostra bocca. Anche per questo non è indispensabile passare attraverso le parole per arrivare a contattare l’esperienza della succosità, che resta inscritta nella nostra mente in maniera attraente.
Ed è così che si riesce ad apprezzare l’originalità della loro drammaturgia, il loro coraggio e la loro attenzione meticolosa. Ad esempio nella cura dei dettagli della comunicazione affidata ai corpi: dove il gesto si cura di non essere mai “verbale” ma di trovare di volta in volta quella precisione capace di portare avanti l’azione scenica. Una cura meticolosa sì: perché descrive quel sentimento di irresolutezza di chi agisce temendo di sbagliare e che proprio per questo mette nel lavoro una cura di livello superiore, dettata dai minimi scrupoli, dai più attenti riguardi. Da un buon uso della paura.
Un po’ lo stesso uso che noi potremmo imparare a fare della paura della morte.
E forse è proprio questo il succo più persistente che ci portiamo a casa, una volta terminata la loro rappresentazione.

E così – anche grazie alla feconda visionarietà della direttrice artistica del Teatro Franco Parenti Andrée Ruth Shammah che vedendo il primo studio dello spettacolo ha deciso di co-produrre il progetto successivo – noi possiamo dire di aver assistito, citando A. Artaud, ad “una trascendente esperienza vitale”.
Uno spettacolo disorientante e fertile. Come il Teatro e la Vita insegnano. Insieme alla Morte. Senza esagerare.
Recensione di Sonia Remoli
