Recensione dello spettacolo IL BARDO, VIAGGIO NELL’IGNOTO di William Shakespeare – a cura di Mamadou Dioume – regia Gina Merulla

TEATRO FRANCIGENA di Capranica (VT), 8 Settembre 2024

IMPACT FESTIVAL 2024

Foto di scena by Emanuele Antonio Minerva

Non ci sono scene: i loro corpi sono luoghi sempre nuovi. 

Non ci sono costumi: solo una seconda pelle nera esalta la lussureggiante policromia delle fibre della loro energia. 

Sono la splendente testimonianza di ciò che una concertazione tra il linguaggio della razionalità e quello dell’inconscia interiorità riescono a plasmare plasticamente a livello vocale ed energetico. 

In questo sublime viaggio verso l’ignoto shakespeariano, a dare l’avvio al percorso è un tema assai caro al Bardo perché a fondamento della psiche umana, di cui Shakespeare fu un fine conoscitore: il potere della relazione tra esseri umani e le sue infinite e naturalissime perversioni. 

Il gruppo di lavoro seguito da Mamadou Dioume – attore e collaboratore di Peter Brook nonché Direttore Artistico del Festival – e composto da Francesca Rafanelli, Francesca Mastroddi, Luciano Masala, Damiano Allocca, Lorenzo Colombo, Marco Chiappini, Antonella Prodon, Julia Tola, Fabrizio Ferrari – porta in scena allora, grazie al penetrante ascolto registico di Gina Merulla, anche Direttrice Artistica del Teatro Hamlet Associazione organizzatrice del Festival,  una coreografia di intenzioni che narrano di quanto bisogno abbiamo dell’attenzione dell’Altro. E del danno psichico che subiamo nel momento in cui si tramuta in indifferenza. 

Ecco allora prendere vita la magia dello sguardo, quello distratto e accennato, così come quello più attento e accogliente e che fa esistere, fino allo sguardo che si fa muro rigido e invalicabile verso la diversità dell’Altro. 

Ecco la delusione del restare esclusi, del non essere riconosciuti nel proprio merito e quindi tagliati fuori dal gruppo della socialità. Invisibili, inesistenti.

Foto di scena by Emanuele Antonio Minerva

E poi dopo lo sguardo-muro, arriva l’a’ambigua calunnia manipolatoria che viene versata nelle orecchie e che accende le nostre reazioni più violente. Di cui siamo non sempre consapevoli, perché conoscere noi stessi e poi aprirsi all’attenzione del conoscere l’Altro implica il desiderio di intraprendere un viaggio di esplorazione umana, di cui non si possono sapere in anticipo le conclusioni. 

E’ il fascino proprio di un viaggio dentro di noi che osa muoversi verso l’ignoto, di cui le opere shakespeariane sono una preziosissima testimonianza. Scendono infatti nelle profondità delle dinamiche della psiche umana comprendendole e poi spiegandole a noi, attraverso un’analisi smagliante sui rapporti tra Teatro e Realtà. 

I drammi di Shakespeare sono intessuti di pulsioni alle quali non possiamo resistere ed è per questo che leggendoli abbiamo la netta sensazione che siano loro a leggerci fino in fondo. Perché il Bardo ha dato vita più che a ruoli teatrali a vere e proprie personalità, dove ogni personaggio è un tratto peculiare della natura umana. 

Foto di scena by Emanuele Antonio Minerva

E la sinergia del testo shakespeariano associato o alternato al gesto del movimento coreografico, capace di parlare ai nostri occhi e di scavare dentro le nostre anime, ci ha rapiti e sedotti. Infiammati e turbati. 

Pur essendo uno splendido spettacolo dal punto di vista estetico, ciò che fa la differenza non è l’elogio della forma. Perché qui la forma è il risultato non tanto e non solo di un lavoro tecnico quanto di una disponibilità assoluta degli interpreti ad essere totalmente presenti in scena.

Arriva sottilmente o in maniera deflagrante al pubblico una complicità e quindi una fiducia ad aprirsi nell’esplorazione dei propri abissi interiori, incluso il proprio peggio. Che è ciò che ci accomuna tutti nella nostra condizione di esseri umani. E che solo conoscendolo, e magari provando a farci amicizia, potremo riuscire a rendere profondamente creativo. Divino.

La regista Gina Merulla

E’ ciò che parla dalle spalle degli interpreti, oltre che dai loro volti, nudi di ogni maschera di accettazione sociale; è la scelta prossemica che predilige gli angoli; il disegno luci che cerca il cromatismo delle ombre; il corpo-psiche che si affida alla rottura dei piani; le emozioni che si aprono a congelamenti, a repentine fluidità, a guizzi istintivi, a paludosità, a complicità o a contrasti musicali.

Sono occhi, sono denti, sono mani. Sono torsioni, sono blocchi, sono seduzioni animalesche che scelgono di non opporre resistenza alla forza di gravità.

E’ lo strano, è il diverso, ad andare in scena. E noi del pubblico ci sorprendiamo a trovarlo così naturale!

E’ ciò che emerge dalla straordinaria e quindi creativa e quindi commossa complicità del gruppo di interpreti in scena, nudi di fronte alla natura umana. 

Espressione della magnifica diversità di vari punti di vista


Recensione di Sonia Remoli