BASILICA DI SANT’ANASTASIA AL PALATINO
16 Maggio 2025

In una splendida serata del maggio romano, è andata in scena sull’altare della Basilica di Sant’Anastasia al Palatino – antichissima chiesa romana risalente al IV sec., nonostante l’esterno barocco e l’interno settecentesco – il secondo evento della Rassegna d’arte teatrale a sostegno dell’Associazione “Comunità San Filippo Neri – E poi“.

Interno della Basilica di Sant’ Anastasia al Palatino
L’ Associazione Comunità San Filippo Neri – E poi?, presieduta da don Gabriele Vecchione, è una comunità che si impegna in progetti di guida e sostegno motivazionale verso giovani che hanno smarrito la bellezza del desiderare. Giovani che, affetti da un eccesso di individualismo, anziché aprirsi alla condivisione con gli altri come si fa in un’autentica comunità, sono tentati a chiudersi in se stessi, appartandosi.
Inseriti in una nuova comunità familiare, come quella “San Filippo Neri – E poi ?”, questi giovani vengono sostenuti nella scoperta di quella bellezza che porta ad individuare la propria vocazione talentuosa. Perseguendola con coraggio. Come accadde anche alla giovane Sant’ Anastasia che, pur appartenendo ad una famiglia pagana, scoperto il suo appassionarsi al cristianesimo, compì la scelta radicale di convertirsi e di rimanere fedele a questo credo.

I membri dell’ Associazione “Comunità San Filippo Neri – E poi ?” con Don Gabriele Vecchione (Presidente)
L’Associazione “Comunità San Filippo Neri -E poi?” ha scelto la filosofia di non chiedere aiuti a proprio sostegno, preferendo autofinanziarsi: questo spettacolo così come quelli della Rassegna – realizzati in collaborazione con Pensieri Meridiani e Associazione Più Comunicazione – sono resi possibili infatti con il contributo dell’8xMille della Chiesa Cattolica e con le offerte che si raccolgono in occasione della partecipazione a ciascuno spettacolo.

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In questo secondo incontro della Rassegna è andato in scena un monologo per attrice e violoncello dal titolo “Finché sarà luce per sempre”. L’attrice Irene Ciani, accompagnata al violoncello da Mattia Geracitano e diretta da Francesco d’Alfonso autore anche della drammaturgia, si è fatta interprete del racconto del martirio della santa vergine romana Sant’ Anastasia.

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Fatto buio, le note del violoncello di Mattia Geracitano immergono la basilica in un’atmosfera di suspence, dove arpeggiano passi, che si fanno poi un vero e proprio camminare. Si fa giorno. E dal fondo della Basilica sopraggiunge una piccola ancella che – come a preannunciare visivamente la passione che sarà indossata da Anastasia – porta un drappo di velo rosso, che depone sull’altare.
Si ode un canto di una bellezza solennemente gioiosa. È il suo canto: il canto di Anastasia (una metafisica e carnale Irene Ciani). Con un velato incedere leggero ci viene a cercare, per condividere con noi un evento straordinario.
Sono svanite di colpo le ferite delle percosse subite ripetutamente durante la sua prigionia. “Com’è possibile …. Com’è potuto accadere…Signore mio Dio, che hai fatto!?” grida di gioia, incapace di comprendere con la logica questa misteriosa realtà.

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Nel gridare si accorge di come la sua gola è arsa e di come si fa irresistibile la sua voglia di bere. E poi arriva la sensazione terribile del freddo. E subito dopo quella del buio continuativo. Allora sgorga di rabbia perché cerca un segno del suo sposo divino e non lo trova. “Mi hai abbandonata, come è successo a te” – gli urla con gli occhi lucidi di ira mista a commozione. “Mi lasci in questa notte che non conosce luce di speranza”- sibila liquefacendosi quasi fino a scorrere al suolo. ”E’ un mistero come tu possa esistere insieme al male: insieme all’ingiusta agonia del giusto” – gli urla tra i singhiozzi.
Ma poi arriva una luce. E’ un uomo quello che le si fa prossimo: è Cirillo, un cristiano come lei, che le offre dell’acqua. Lei ne beve avidamente. E poi sceglie di raccontarsi a lui: “Mi chiamo Anastasia, sono romana e di nobile stirpe. Il nome (che significa resurrezione) e la vita, sono le cose più belle che i miei genitori mi hanno donato”. Gli racconta ancora come la testimonianza di alcuni cristiani la sedusse a convertirsi e un sogno particolarissimo le diede il benvenuto. E così lasciò tutto. Fu allora presa sotto l’ala protettiva di una nuova madre: la cristiana Sofia.

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Ma il demonio non smise mai di tentarla per farla desistere da questa sua scelta. La tentò prima nella carne e, quando Anastasia riuscì ad uscire da questa disperazione, fece sì che i suoi genitori la denunciassero per non ottemperare il culto degli dei di Roma.
La prelevarono allora dalla casa di Sofia: “Sono pronta per la battaglia”- si offrì lei. E la condussero al Palazzo di Probo, dove per bocca dell’imperatore il demonio continuò a tentarla. Ma lei fu inflessibile: “ho già uno sposo: è Cristo. Niente potrà separarci perché il mio sposo è come un muro”.
Per farle cambiare idea la portarono allora in piazza, nuda davanti a Roma. Ma i suoi occhi erano chiusi sul mondo e aperti solo su Dio. La riportarono in cella: Probo non mancava di tentarla con le sue proposte. Ma lei ripeteva di voler continuare ad essere ”sola con Dio: il suo sposo silenzioso”.

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Passarono i giorni e venne lo stesso padre a farle visita, per dissuaderla dal suo matrimonio mistico. Lui era l’unico familiare a non rallegrarsi per quello che le stava capitando, a seguito della sua conversione.
Ma nulla. Tornarono allora a picchiarla violentemente “come una giovenca al macello”. Ed è fulgentemente lacerante qui la flagellazione che si autoimpone con plastica drammaticità l’Anastasia della Ciani, enfatizzata da un sapiente disegno luci che nel momento più incandescente della passione sa renderne il suo essere sanguinante e ardente.
La voce si rompe, si strazia, ma è straordinario come la Ciani renda questa dilaniazione con una qualità vocale liquida, fresca. Ecco infatti una dolce luce farsi strada tra il sangue che scende a fiotti e la pelle che brucia. Anastasia avverte immediatamente la presenza del suo sposo: “conducimi tu, reggimi in piedi. Sorrido alla morte che è stata già vinta da colui che è, che fu e che sarà”. E si affida a questa dolce luce.
Con estrema fatica tra le lacrime e il respiro spezzato, si fa strada un canto: come quello già ascoltato all’inizio. Ma i suoi aguzzini nell’ascoltarla ancora, nonostante tutto, cantare, andarono e le strapparono la lingua.

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Anastasia si veste allora dell’estrema passione, accogliendo su di sé quel drappo rosso che la piccola ancella le aveva deposto premurosamente accanto tempo prima. “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” – dice. E continua: “Fino a quando, uomini, sarete duri di cuore?”
Ma il suo sposo impaziente la richiama: “Non tardare Anastasia, ti attendo con trepidazione! Vieni oltre la landa e la palude, oltre il dirupo e il torrente, finché sarà luce per sempre”.

Irene Ciani (Anastasia) – Mattia Geracitano
Sant’Anastasia fu arsa viva il 25 dicembre del 304, durante l’ultima persecuzione dei cristiani ad opera dell’imperatore Diocleziano.
Visse la sua vita come un pellegrinaggio segnato dalla persecuzione e dalla sofferenza dovuta alla resistenza alle tentazioni del Demonio. Non a caso la chiesa a lei dedicata fu edificata proprio alle pendici del Colle Palatino, quasi come sul fianco (luogo particolarmente vulnerabile del corpo) di Sant’Anastasia: lei che divenne la “stazione” vivente, il luogo di avvistamento e difesa dai pericoli delle tentazioni del demonio.

È stata definita, in greco, Farmacolìtria (Guaritrice dai veleni), e in russo, Uzoreshìtel’nitza (Colei che libera dai vincoli: protettrice dalle malattie e dagli inganni del Demonio).
Nel 1995 due icone che la raffiguravano – una dipinta secondo la tradizione occidentale e l’altra secondo quella orientale – furono spedite nello spazio sulla stazione MIR nell’ambito della missione “Santa Anastasia – una speranza per la pace” per contribuire alla riconciliazione dei popoli dell’ex-Jugoslavia (i Croati e gli Sloveni sono in maggioranza cattolici, i Serbi in maggioranza ortodossi). L’iniziativa era patrocinata dall’Unesco e le icone furono benedette da papa Giovanni Paolo II, dal patriarca di Mosca Alessio II e dal patriarca di Serbia Pavel. Al loro ritorno sulla Terra le icone giunsero a Sremska Mitrovica, terra del martirio della santa, per contribuire, secondo le intenzioni delle Chiese Cattolica ed Ortodossa, alla pacifica convivenza dei popoli balcanici.
Rassegna eventi a sostegno delll’Associazione “Comunità San Filippo Neri – E poi ?”:
12 Aprile 2025 – Teatro Palladium
Oltre quello che c’è, drammaturgia e regia Francesco d’Alfonso liberamente ispirata agli scritti di Byung-Chul Han e T.S. Eliot, con Roberta Azzarone, Irene Ciani, Matteo Santinelli, Marco Tè e con la partecipazione straordinaria dell’ Ètoile del Teatro dell’Opera di Roma Rebecca Bianchi e di Alessandro Rende, accompagnati dal pianoforte di Dario Callà e dal violoncello di Mattia Geracitano
16 Maggio 2025 – Basilica di Sant’Anastasia al Palatino
Finché luce sarà per sempre, drammaturgia e regia Francesco d’Alfonso ispirata alla Passione di Sant’Anastasia romana, un monologo per attrice e violoncello con Irene Ciani e Mattia Geracitano
12-13 Giugno 2025 – Teatro Nuovo Ateneo Sapienza Università di Roma
Gran Teatro Bernini, drammaturgia e regia Francesco d’Alfonso, con Irene Ciani, Francesco Cotroneo, Federico Gatti, Domenico Pincerno, Enrico Torre, Lorenzo Sabane
Recensione di Sonia Remoli
