AR.MA TEATRO, dal 15 al 17 Marzo 2024 –

Ha il respiro di un dialogo maieutico e il fascino di un colloquio psicoanalitico l’avvincente testo di Giorgio Manacorda “Pasolini a Villa Ada”.

Un testo che lo vede protagonista, insieme a Renzo Paris, di una vicenda avvenuta nel marzo del 1964.
Mentre, come tutte le mattine, alle ore 7 si trovava a correre a Villa Ada, quel 20 settembre del 2008 lo chiama al telefono il suo amico Renzo per dirgli che su Repubblica è stata pubblicata una lettera del marzo del 1964 dove Pasolini scrivendo a Pietro Nenni parla di Giorgio Manacorda come presenza fondamentale per la lavorazione della pellicola Il Vangelo secondo Matteo.

Enrique Irazoqui e Pier PaoloPasolini sul set de “Il Vangelo secondo Matteo”
Fu infatti Giorgio Manacorda “colui che fece incontrare Cristo a Pasolini” presentandogli Enrique Irazoqui.
Ma soprattutto nella lettera del ’64 Pasolini parla della loro amicizia, delle “aspettative” che Pier Paolo nutriva in lui, giovane poeta ventenne.
Una notizia che riattiva in Manacorda un evento della bellezza sublime di un trauma: che dovrebbe farlo gioire e invece lo fa piangere. Ma il pianto, si sa, è contiguo al riso.

Giorgio Manacorda – ph Dino Ignani –
Il testo “Pasolini a Villa Ada” è quindi il racconto della conversazione telefonica che si apre intorno a questo trauma e che – grazie alle domande e ai dubbi acutamente seminati “senza mollare mai l’osso” da Renzo Paris – induce in Giorgio Manacorda una sorta di travaglio, che finirà per “dare alla luce” una potente consapevolezza.

L’adattamento di Ivan Festa predilige il respiro del racconto a quello del dialogo: all’affanno della corsa e alla sorpresa della notizia – nonché delle conseguenti domande – la pacatezza di chi è riuscito nello sforzo di cercare di mettere insieme tutti gli elementi traumatici dell’evento degli eventi.
Un racconto, il suo, ricco di intime e raffinate sfumature espressive, dove l’emozione del racconto sembra la risultante di un processo di metabolizzazione precedentemente avvenuto.
Una consapevolezza, la sua, esito dell’ostinato processo di succussione, di scuotimento emotivo ripetuto – proprio di un dialogo intimamente esplorativo – dalla quale scaturisce come per distillazione il monologo propostoci ieri sera, nella suggestiva sala dell’Ar.ma Teatro.
Ecco così allora che la luce sbocciante delle 7 del mattino, che apre il testo di Manacorda, lascia il posto qui a una luce crepuscolare, vagamente gotica, propria del percorso di fioritura finale della giornata. Propria dello stato della sua psiche.

Ivan Festa
Festa non è in tenuta da runner, come Manacorda.
E’ nudo ai piedi. E nell’animo.
E’ vestito di ombre.
La luce ne disegna profili, ne bagna piccole parti del volto.
A volte si concede l’ebrezza di calpestare quelle foglie secche che lo proteggono, quasi come un confine. A volte sceglie di venire ad abitare questo confine. Una volta l’oltrepassa, spingendosi tra noi. Per un attimo. Finalmente libero.

Inizialmente vive in simbiosi con una panchina del parco di Villa Ada. Un po’ come con il senso di colpa che Giorgio Manacorda si è portato dietro per così tanti anni: quello di aver deluso “le aspettative” di Pasolini, di non essere stato più di suo gusto. Di non essere riuscito ad abnegarsi alla poesia.
Un padre spirituale Pasolini, che contrariamente a ciò che rende tale una figura paterna – l’introduzione di un limite, di una regola che permetta al desiderio di poter zampillare – lo invita all’estremo sacrificio in nome della poesia: all’aprirsi ad una crocefissione in suo nome. Ma così il desiderio – se non degenera in ossessione – si blocca: l’apertura totale non lo stimola.
E Manacorda è risucchiato nel blocco di un lutto, prima ancora che Pasolini muoia. Un lutto che inaspettatamente inizierà ad elaborare proprio grazie a questa conversazione con Renzo Paris nel Parco di Villa Ada.

“Carta” dipinto di Giorgio Manacorda
Proprio grazie al potere magico del raccontare, del raccontarsi. Finalmente al di là del suo “io non ricordo niente. Io dimentico”.
“… Ma se non ho mai raccontato a nessuno neanche l’episodio di Cristo. Cioè no, non è vero, qualche volta mi sono lasciato andare ad una battutaccia: Cristo a Pasolini gliel’ho presentato io! Poche volte però, e in genere con giovani sconosciuti che mi parlavano di Pier Paolo, e allora per noia ed esibizionismo…“
E tornare a ricordare, come il linguaggio psicoanalitico gli aveva già insegnato guarendolo dall’asma, che la paternità autentica è una responsabilità senza pretese di proprietà: che non esige che i figli diventino ciò che “le aspettative” narcisistiche di certi “padri” vorrebbero che fossero.
Ivan Festa rende omaggio a questo appassionato testo di Giorgio Manacorda cesellando un piccolo gioiello: potente e delicato.

Ivan Festa
