Recensione dell’episodio n. 5 della Saga NELLE PUNTATE PRECEDENTI – regia Pier Lorenzo Pisano e Alessandro Di Murro

Una saga familiare 

ideata 

dal Gruppo della Creta e da Pier Lorenzo Pisano

per riflettere

sulla trasposizione della narrazione seriale a Teatro 

Episodio n.5

Titolo: “A te, fra 25 anni”

Autore: Rebecca Righetti

In scena: Shadi Romeo, Elena Vanni

Tra impazienza e nostalgia, sfidando la pioggia e l’insolito freddo, anche ieri sera si era in tantissimi ad aspettare l’ultimo episodio della saga familiare “Nella puntate precedenti”: A te, fra 25 anni di Rebecca Righetti.

Ad attenderci un finale di stagione che, attraversando durezze inscalfibili, ci ha portati a sognare, per poi lasciarci come appesi ad un nuovo vuoto. 

“Fine delle trasmissioni” – l’ultima frase pronunciata – apre infatti a diverse letture, che vanno oltre quella relativa alla fine della prima stagione della saga.

Parlandoci anche, ad esempio, della possibile rottura della trasmissione dell’incantesimo che percorre tutta la saga. Il dare le spalle cioè alla “presa in carico” della maternità e più in generale della genitorialità. Alla presa in carico dell’aver cura di un altro da sé, com’è un figlio, destinato poi a lasciare il nido familiare. Un investimento complesso e rischioso che richiede molto e che, in cambio, non si dà come una proprietà.

Ma ora, per la prima volta nella saga familiare, una figlia abbandonata e poi adottata sente l’esigenza di mettersi sulle tracce del proprio passato. E così facendo dà avvio ad un nuovo corso del presente, che parte da quell’eredità, ma che ora immagina come materia per una possibile costruzione personale.

“La presa non funziona” – dice Giulia (una commovente e commossa Shadi Romeo): non si produce infatti calore.

“Lo sapevo”  – risponde Serena (un’efficacissima Elena Vanni) – e propone una presa che è lì in stanza. Ma che lei – anzichè fare in modo che produca calore tra loro – fa sì che diventi il confine tra avversarie di uno stesso campo da gioco.

E poi come un deus ex machina cade il tetto di contenimento e scende un’altalena, dove al momento nessuno sale, ma che prelude ad un seguito di continue sedute oscillanti, esistenzialmente incendiarie, tenute sospese da nuove catene.

Ciò che resta, che lo spettatore si porta con sé, è il potere del dono: di una postura vitale generosa, che sa andare oltre le regole del gioco, oltre la ritualità chiusa di un incantesimo, oltre le cinture di sicurezza. E che riesce a fare breccia sull’altro, nonostante tutto. 

Prima ancora di scartarlo, infatti, il dono di Giulia viene accettato e tenuto in grembo da Serena come fosse un bimbo appena nato. Come un nuovo inizio: una nuova occasione di maternità. 

Giulia sceglie non a caso come dono un pezzo unico, speciale, diverso da tutti gli altri dello stesso genere: per riconoscere a Serena l’unicità del suo essere madre, madre biologica. 

E’ una fonte di luce: come vorrebbe che accettasse di essere ora Serena, fin dall’inizio rimasta all’ombra della sua vita.

Ma in amore non vale il merito, non vale la giustizia: l’amore va oltre. Ed è tale se riesce ad accogliere e a fare un fertile uso delle fragilità, degli errori, delle mancanze, dell’altro.

Ne parla con poetico disincanto la prossemica della madre, sempre sulla difensiva e quella della figlia sempre a tentare, sempre a corteggiare, fino a sedurre le resistenze materne.

Ma poi quando alla dichiarazione di “simpatia” arriva in risposta una dichiarazione di “estraneità”, Giulia molla la partita.

E, a qualche livello, continua a vincere: ora sua madre, in solitaria, si scioglie con noi del pubblico in un racconto immaginativo, che apre nuovi orizzonti alle parole castranti con le quali è riuscita a farla andar via: “non ci saranno altre puntate !”.

E invece no, qualcosa si muove. 

Serena non sale sull’altalena ma si appoggia a una delle catene che la sostengono, confidandoci che “c’è una storia che non esiste, un soggetto che non è stato ancora girato…”.

E noi questo soggetto si aspetta di condividere nelle “prossime puntate”, quelle di una nuova stagione. Per saperne di più ma soprattutto per scoprire cosa deciderà di fare Giulia di questo nuovo incontro con il suo passato.

Una Serie Teatrale, questa de “Nelle puntate precedenti”, che reinventando il tempo del teatro lo ha saputo trasformare in un rito seriale. E così facendo ha conquistato Roma.

Un esperimento narrativo e teatrale che come tale apre una nuova frontiera nella drammaturgia contemporanea, trasformando la serialità — linguaggio per eccellenza del nostro tempo — in un’esperienza scenica condivisa, intima e collettiva.

Dopo lo strepitoso successo dei primi cinque episodi, con un seguito in costante crescita, repliche raddoppiate e una partecipazione del pubblico che ha superato ogni previsione, l’esperimento è decisamente riuscito.

Non ci resta che attendere il sequel.

E, nell’attesa, continuare ad immaginare i possibili esiti di questa esplorazione delle proprie origini. Perchè questa storia, che tanto ci avvince, riguarda tutti noi.


NELLE PUNTATE PRECEDENTI


Recensione di Sonia Remoli

Recensione NELLE PUNTATE PRECEDENTI – regia Pier Lorenzo Pisano e Alessandro Di Murro – (episodio 2)

Una saga familiare

ideata

dal Gruppo della Creta e da Pier Lorenzo Pisano

per riflettere

sulla trasposizione della narrazione seriale a Teatro 






EPISODIO N.2

Titolo: “Replica”

-.-.-.-.-

Ma che meraviglia questo sperimentare a Teatro una narrazione seriale!

E quanti giovani!

In tantissimi stanno invadendo ogni settimana il Teatro Basilica.

Tanto che sono state aggiunte repliche ad ogni prossimo episodio della saga. 

L’idea del progetto porta la firma del Gruppo della Creta e di Pier Lorenzo Pisano, per la regia di Pier Lorenzo Pisano e di Alessandro Di Murro.

Dopo il primo episodio – scritto da Pier Lorenzo Pisano e intitolato “Scatenare incendi” – ieri sera è andato in scena il secondo episodio della saga familiare “Nelle precedenti puntate”, intitolato “Replica” e scritto da Giulio Fabroni e Veronica Penserini –  

Un titolo scelto argutamente, per lasciare fin da subito nello spettatore la sensazione di quanto ciò che ci precede – le “puntate precedenti”, ovvero il nostro passato – ci costituisca. Fino a invaderci. 

Già dalla nascita veniamo alla luce non solo grazie al dna organico dei nostri genitori, ma anche grazie al dna dei loro desideri, delle loro aspettative su di noi. A partire dalla scelta del nostro nome, spesso associato a chi dovremmo assomigliare. Così loro sperano, spesso fino a pretenderlo.

Intrigantemente qui il concetto è reso, anche, attraverso la riproposizione di un habitus (un modo di fare) che si desidera tramandare, simboleggiato dal tipo di dono che la mamma fa a Giulia: un abito uguale a quello che indossa la nonna e che Giulia già indossava da bambina.

Questa specie di destino a cui si dà forma – in scena, così come nella vita – sarà la causa scatenante dell’accendersi di certi meccanismi emotivi incendiari, dalle conseguenze sotterraneamente divampanti.

Incendi il cui trasporto si può rivelare attraverso un forma di mania, condizione capace di svelare il presente nella sua verità più profonda. Soprattutto nei frangenti in cui il futuro si dà come incerto e oscuro.

Qui il racconto si snocciola intorno a Giulia e alla sua famiglia. 

E’ una storia antica, che inizia molto prima di lei: negli anni settanta, prima che sua madre Chiara e sua zia Serena smettessero di parlarsi. E che arriva ai giorni nostri. 

Il primo episodio ci ha presentato i personaggi festeggiare il primo compleanno della piccola Giulia che, pochi giorni dopo, è morta accidentalmente mentre era sotto la custodia della zia Serena. Zia che viene allontanata dalla famiglia, essendo ritenuta rea di essersi macchiata di questa colpa. 

Nel secondo episodio si riparte ancora da un compleanno: è di una giovane donna che si chiama ancora Giulia e che ha 25 anni. Lei è la sorella della Giulia morta, ma ancora non lo sa.  Lo scoprirà per caso, spinta dalla curiosità di vedere una misteriosa cassetta VHS, titolata “Primo compleanno di Giulia”. 

Questa cassetta VHS è l’unico ricordo preservato dall’incendio che i suoi genitori hanno appiccato a tutte le foto che raccontavano la loro attesa della prima Giulia, così come il primo anno trascorso insieme.  Credendo di liberarsi così, di una tremendamente dolorosa “puntata precedente”. 

Ma questa cassetta VHS – che il papà desidera ardentemente rivedere con sua moglie proprio alla vigilia del 25esimo compleanno della seconda figlia Giulia, e che poi lascerà incustodita – rappresenterà un vero e proprio deus ex machina. Creerà cioè un colpo di scena che sovvertirà il corso della storia di Giulia. Così come l’avevano immaginata i suoi genitori, tenendole cioè segreto il suo destino di “replica_nte”. Segreto portato avanti per 25 anni.

Di accattivante bellezza artigianale ed esistenziale la costruzione scenica di questo deus-ex machina che – proprio perché confezionato dal papà quasi come un’esca, rende allo spettatore l’incendio del suo desiderio sotterraneo. Complice anche un’accattivante modalità scenica che sa rendere l’effetto di un piano sequenza a teatro. E che quindi parla allo spettatore di come noi stessi, possiamo essere artefici del nostro destino. Anche quando, apparentemente, pare caderci addosso involontariamente.

Destino che spesso siamo noi a far sì che ingrigisca non solo i nostri capelli, ma anche la nostra vita. Di struggente poesia la visualizzazione di questo messaggio attraverso il gesto della mamma di Giulia dell’incipriare e dell’incipriarsi i capelli e il viso di quel grigiore che sa di triste distacco. Ma che odora ancora di borotalco.

La saga familiare “Nelle precedenti puntate” è infatti la storia quotidianamente epica di una colpa generatrice che, come nelle tragedie antiche, continua a tramandarsi senza scampo. 

È una storia esistenziale di scoperta del proprio ruolo nel mondo e nella famiglia, nonché di liberazione da quello che si è ereditato dal passato. Perchè, per dirla con Sartre, “l’importante non è ciò che hanno fatto di noi, ma ciò che facciamo noi stessi di ciò che hanno fatto di noi”.

La coralità degli attori – Laura PanniaFederica DordeiDaniela GiovanettiAlessio EspositoMatteo BaronchelliAlessia SantaluciaElena VanniShadi RomeoVittorio Bruschi,  Lorenzo Garufo -restituisce allo spettatore tutta la pulsante e naturale visualizzazione del nostro stare al mondo incendiario e incendiato.

Grazie anche ad un diverso modo di vivere il tempo, proprio della serialità: scegliere di raccontare una storia dilatandola in diversi episodi, alimenta infatti un rapporto di maggiore confidenza tra attore e spettatore. Il quale ha la possibilità di sintonizzarsi sulle frequenze del personaggio, seguendolo nella sua evoluzione psicologica nel tempo. Fino a portarlo nella propria quotidianità. Dando vita così ad una nuova forma di ritualità teatrale, che si ripete e si rinnova ad ogni episodio. Con cadenza settimanale. Geniale l’aver visualizzato questo concetto anche attraverso la serialità del tempo scandito dalle 25 bottiglie di vino (una per ogni anno della festeggiata), anziché attraverso un’unica torta di compleanno.

Il tipo di narrazione seriale scelto dagli ideatori del progetto – Il Gruppo della Creta e Pier Lorenzo Pisano – è quello della “saga”, ovvero l’insieme dei racconti sul decorso storico-evolutivo (qui brillantemente ridefinito “puntate precedenti”) di un personaggio o, meglio, di una genealogia di personaggi con radici comuni. 

Un insieme di racconti che si articola in episodi, che possono essere visti anche singolarmente.

Episodi dove i fatti si tramandano oralmente, quasi come leggende, regalando allo spettatore un senso di continuità e di appartenenza, che fa sì che le esperienze individuali si colleghino ad una dimensione collettiva, vivificandone la memoria.

Episodi dove, altresì, si affrontano sfide con il proprio destino: attraverso un meccanismo testuale che prevede il ritorno di strutture costanti e allo stesso tempo la loro variazione.

E forse è questa l’esigenza che porta al Teatro Basilica maree di spettatori, soprattutto giovani: l’esigenza che trova soddisfazione nella ritualità seriale del riconnettersi ad un’idea collettiva di realtà. Come già evidenziava Umberto Eco nel saggio “L’innovazione nel seriale” del 1985, dove analizzava i meccanismi che regolano il piacere della serialità.

Ed è così che già da oggi, ci si ritrova ad immaginare cosa ci riserverà il Terzo episodio della saga familiare “Nelle puntate precedenti”. Episodio scritto da Lorenzo Fochesato, in scena l’11 e il 12 Novembre, dal titolo “Giro di vite”.


NELLE PUNTATE PRECEDENTI


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo TOTALE – con Gioia Salvatori e Andrea Cosentino -drammaturgia e regia Pier Lorenzo Pisano –

TEATRO BASILICA

dal 27 Febbraio al 9 Marzo 2025

La coppia é un “pianoforte”: un caleidoscopio sonoro. Una danza tra tasti neri e tasti bianchi, la cui portata è senza confini. Un diario musicale inciso da emozioni, sogni e aspirazioni vitali.

La coppia è un ponte tra anime ed epoche: uno strumento che, come il pianoforte, ci parla della nostra continua ricerca a connetterci con noi stessi attraverso l’altro. I tasti neri, infatti, non hanno un nome fisso: dipendono dalla relazione con le note bianche “vicine”.

Il tema del pianoforte, e della “vicinanza” tra tasti e identità, è la forza di attrazione dalla quale prendono forma non solo gli straordinari habitat scenografici di Rosita Vallefuoco, coordinati ai costumi di Raffaella Toni. Con estrosa genialità, tutto lo spettacolo ci parla della complessità del “concertarci” con l’altro. Incontrandoci sul confine, che vorrebbe solo separarci.

Ne parla l’efficace e accattivante sinergia tra la drammaturgia e la regia di Pier Lorenzo Pisano; ne parla la stuzzicante interpretazione attoriale di Gioia Salvatori e di Andrea Cosentino, capace di visualizzare intrigantemente la continua tentazione a staccarsi dal mantenersi in relazione con l’altro, desiderando ciascuno “avere tutto” – la totalità del proprio desiderare, appunto.  

Gioia Salvatori – Andrea Cosentino

Ma il nostro stare al mondo non prevede la possibilità di “avere tutto”, né di “essere tutto”: siamo esseri finiti e incompleti che vivono di relazioni che – al di là del facile concretizzarsi in rapporti di potere e di sottomissione – anelano alla valorizzazione delle diversità di ognuno. In un equilibrio, sempre nuovo, di disponibilità ad aprirsi in una danza di passi, di reciproco incontro con l’altro. Cercando cioè un equilibrio sempre nuovo tra il guidare, il cedere il passo e il seguire l’altro, sul piano-forte di quella danza propria della vita di relazione.

Andrea Cosentino – Gioia Salvatori

In scena ieri sera al Teatro Basilica (fino al 9 marzo p.v.) la storia di una coppia che non si rassegna alla fine della loro relazione amorosa e che cerca, in diverso modo, di salvare l’investimento esistenziale elargito. Perché anche la fine può essere “vicina” ad un nuovo inizio.

Lei, più riflessiva e più seducentemente lenta, prova a recuperare la magia dell’incontro iniziale; lui, più impaziente e più concreto, rintraccia ed esibisce la certificazione dei momenti felici, che non andranno persi perché trascritti, come beni acquistati e acquisiti, su scontrini. 

Pier Lorenzo Pisano, autore e regista dello spettacolo “Totale”

Un’interessante drammaturgia, questa di Pier Lorenzo Pisano, che riattualizza per certi versi “Il diario di Adamo e Eva“ di Mark Twain, proponendone insieme un avanzamento.

Erotico non è solo “il sentire” di una coppia, come sostiene la Eva di Pisano, una fantasmagorica Gioia Salvatori, dalla sconfinata comunicazione visiva. Erotico è lo sguardo sul mondo, a cui ogni coppia dà forma. Intriso di eros, cioè, è un nuovo mondo edificato dalla coppia, dal quale ci si congeda – al termine di una storia – elaborandone necessariamente il lutto. 

Gioia Salvatori

Lutto che qui prova a trovare concretizzazione nella rievocazione e nella trascrizione su carta dei loro momenti di felice e insensata relazione, ancorati dall’Adamo di Pisano – un Andrea Cosentino irresistibilmente tramortito dalla multiformità del femminile – all’insostenibile solidità propria degli oggetti. Una mimica e una gestualità anche verbale, le sue, che incantano, nel loro tentativo di dare un margine, un confine netto, e quindi ricco in tagli, alla poliformità del femminile.

Incontrarsi e’ un evento imprevedibile, fascinosamente insicuro, che chiede di essere disponibili “a fare una voltura”.  Non è quindi ricreabile a tavolino e con buona volontà, come prova a immaginare la Lei di Gioia Salvatori, terrorizzata dall’idea di soffrire. 

Piuttosto l’incontro è quel qualcosa di così inaspettato che arriva, ad esempio, nel lasciarsi suonare e poi cantare da una melodia senza parole. Un liquido flusso onomatopeico, dal quale può nascere una nuova forma. Di noi.


Recensione di Sonia Remoli