Recensione dello spettacolo E D’OGNI MALE MI GUARISCE UN BEL VERSO (Farei parlando innamorar la gente) – Breve discorso su Dante, la poesia, il dolore e la vulnerabilità – di Fabio Stassi – con Franco Piana –

In collaborazione con l’Agenzia Letteraria ALFERJ

DOMUS AUREA – MOISAI 2024 Voci contemporanee in Domus Aurea – 27 Settembre 2024 –

Fabio Stassi ha una voce che sorride, una narrazione sognante e una tenerezza di quelle che lasciano il segno. E che non dimentichi.

Pensare che la tenerezza sia una vulnerabilità è improprio  perché la tenerezza è un sentimento che – potente senza essere prepotente – ci spinge oltre la superficie di noi stessi e degli altri. La tenerezza scende dentro e scopre. Ma non giudica. Non spreca troppa energia per il rancore, né per il narcisismo. Il suo è uno scuotere che ci fa resistere con calviniana leggerezza. Un’inclinazione da coltivare e di cui non aver paura, come ci sollecita a fare anche Papa Francesco

Forse è anche per questo che la casa editrice Sellerio chiede proprio a Fabio Stassi – scrittore, bibliotecario e paroliere italiano di etnia arbëresh – di immaginare e proporre poi al pubblico una conferenza sul potere terapeutico di Dante.

Non sarebbe stata la stessa cosa fatta da qualcun altro. Ma lui, non appena ricevuto questo invito, è colto dal panico – così ci confida. La tenerezza però lo libera, prima ancora che la fantasmagorica cultura di cui si nutre e che condivide con generosità. 

E allora accetta. E desidera – proprio come Dante – un compagno di viaggio: un suo Virgilio. Lo trova in Franco Piana: trombettista, flicornista, compositore e arrangiatore, uno dei più importanti jazzisti italiani.  Un uomo che sa fare un buon uso della malinconia: che ne è grato. Uno che apre il canto e che sa attendere, ascoltare, senza mai scegliere soluzioni ma piuttosto proporne il ventaglio dei possibili colori. Un po’ come in un setting psicoanalitico, nel quale anche noi del pubblico ci riflettiamo come in uno specchio. 

Franco Piana e Fabio Stassi

Perché se è vero – come è vero – che la parola è una magia, il tramite è dato dal respiro, dal ritmo e quindi dalla musica. Ecco perché la scelta di Fabio Stassi cade su un fiato, un ottone dal timbro caldo e pastoso con un buon virtuosismo tecnico – il flicorno – che musica il respiro della parola. Quella in movimento, quella di chi sta facendo un percorso, anche interiore.

Una parola che in quanto magia è terapeutica attraverso la ritualità delle ripetizioni, l’incastro degli endecasillabi e perfino attraverso le metafore delle avventure di Sigfrido, così amate dallo Stassi bambino.

Perché la parola, la letteratura, la scrittura ci liberano proprio per la loro capacità di metterci in contatto con la nostra fragilità. Che va guardata senza vergogna ma anzi con tenerezza. Così da poterla valorizzare in maniera creativa.

E’ quello che accade anche a Dante che – grazie allo scrivere – “ripristina o modifica le sue funzioni fisiologiche compromesse”. Un farmaco per lui che, fin dai primi anni di vita, è stato messo così a dura prova con i legami e più in generale con il senso d’appartenenza.

Franco Piana e Fabio Stassi

Dante – ci racconta con fascino onirico Stassi – tende a perdersi, a smarrirsi: ad appanicarsi diremmo oggi. E non riuscendo a trovare sul momento un orientamento, è solito fuggire nel sonno: si addormenta di colpo. 

Ma non se ne vergogna, anzi lo racconta a tutti nei suoi libri: racconta e analizza fin nei minimi dettagli – con una cura scientifica oltre che poetica – quello che gli succede. “Fraile” si definisce: una parola che acusticamente rimanda a una vulnerabilità ancora maggiore della parola “Fragile”.

Una “frailità”, la sua, che col doveroso affetto della pietà e della tenerezza Dante riesce a  tradurre creativamente in scrittura musicale di smisurata bellezza.

Perché grandi cose possono prendere vita dalla nostra vulnerabilità, dalla nostra intelligenza inconscia che si cela dietro a delle apparenti “impresentabilità”: quelle che siamo tentati di nascondere, vergognandocene, perché inefficaci. Tentati di affidarci a chi – in cambio della nostra intelligenza più creativa – demagogicamente ci promette la sicurezza del far parte di una massa tutta uguale e quindi informe in cui saremo accettati.  Prigionieri di quell’omologazione che mette a tacere il fulgore della bellezza delle diversità, necessariamente vulnerabili. 

Sala Ottagonale della Domus Aurea

Per una buona salute poetica e politica è necessario quindi allenare la nostra inclinazione alla tenerezza, al doveroso affetto che la pietà riconosce alla ricca fragilità di noi umani.

Non c’è cura dell’anima e del corpo, se non accompagnata dalla tenerezza che, oggi ancora più che nel passato, è necessaria a farci incontrare gli uni con gli altri, nell’attenzione e nell’ascolto, nel silenzio e nella solidarietà” – ci ricorda Eugenio Borgna nel suo “Tenerezza“ (Einaudi 2022).

E anche Massimo Recalcati in ”Elogio dell’inconscio. Come fare amicizia con il proprio peggio” (Castelvecchi editore 2024) ci ricorda – già dalla prima prefazione al libro – che non salvaguardare l’esistenza della nostra intelligenza creativa inconscia “significa mettere in gioco un’intera concezione dell’uomo che si sostiene sull’importanza del pensiero critico e sul carattere particolare e incommensurabile del desiderio soggettivo”

E così, con la complicità di Fabio Stassi e di Franco Piana, ha trovato espressione ieri sera il canto della Musa Euterpe “ …che dona a coloro che l’ascoltano cantare letizia…” (Diodoro Siculo, Biblioteca Storica IV, 7.3). Un canto che è una carezza che, insieme, ci libera e ci unisce. Lì, negli insoliti vani del complesso della Sala Ottagonale, straordinaria macchina scenica creata dagli architetti Severo e Celere per rispondere al progetto visionario di Nerone. 

Uno spettacolo – questo di Fabio Stassi e di Franco Piana – prezioso, necessario, terapeutico.


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo EVERY BRILLIANT THING (Le cose per cui vale la pena vivere) di Duncan Macmillan – regia Fabrizio Arcuri e Filippo Nigro –

DOMUS AUREAParco Archeologico del ColosseoMOISAI 2023

In occasione dell’ultimo appuntamento della Rassegna “Moisai 2023 – Voci contemporanee in Domus Aurea” (dal 5 al 21 Maggio) ieri sera, dopo un’avvincente visita guidata alla Domus Aurea, siamo stati condotti all’interno della Sala Ottagona: la più scenografica, la più teatrale.

Sala Ottagona della Domus Aurea, luogo scenico della rappresentazione “Every brilliant thing” di Fabrizio Arcuri e Filippo Nigro

Per ciascuno dei 9 incontri ci si è affidati alla fertile ispirazione delle 9 Muse del mito. Ieri sera a insufflarci “forti cose pensar e mettere in versi” è stata la Musa Urania, che brilla astronomicamente sull’ora e sull’altrove e quindi sull’insieme dei momenti che compongono l’intera vita.

Uno degli interni della Domus Aurea nel Parco archeologico del Colosseo di Roma

Qualcosa di affascinante lega la Domus Aurea e la storia lì narrata ieri sera : “Every brilliant thing”(Le cose per cui vale la pena vivere).

Cosa lega il contenente e il contenuto?

La “damnatio memoriae”, ad esempio. La pena, cioè, che si usava ai tempi dell’antica Roma e che consisteva nel cancellare qualsiasi ricordo, qualsiasi traccia riguardante una determinata persona, come se non fosse mai esistita.

Questo accadde a Nerone: il suo ambizioso progetto di villa autocelebrativa – la Domus Aurea appunto – fu usata come fondamenta (e quindi sepolta ) per costruirvi sopra le Terme traianee.

Uno degli interni della Domus Aurea nel Parco archeologico del Colosseo di Roma

Qualcosa di simile rischia di capitare al protagonista della storia raccontata in “Every brilliant thing” : un bambino, poi divenuto adulto, che a suo modo combatte “la condanna” che sta cadendo su sua madre che, a causa di una depressione, tende cronicamente a suicidarsi.

Suo figlio, allora, temendo inconsciamente una “damnatio memoriae”, fa di tutto per salvare il valore della vita in generale (da qui il titolo), della vita di sua mamma e di conseguenza della propria. Non tutto andrà secondo i piani ma, così come avvenne per la Domus Aurea , anche il figlio nonostante tutto riuscirà a tenere insieme passato-presente-futuro. 

Uno degli interni della Domus Aurea nel Parco archeologico del Colosseo di Roma

Nel mentre s’attende il riempirsi della sala, lo stesso regista Fabrizio Arcuri, con sorriso sornione, ci consegna misteriosi foglietti dove sono scritte delle annotazioni.

Fabrizio Arcuri, regista dello spettacolo “Every brilliant thing”

E poi un uomo microfonato – l’ammaliante Filippo Nigro – entra e inizia a passeggiare tra noi. E ci guarda con accoglienza indagatrice.

Filippo Nigro, interprete e co-regista dello spettacolo “Every brilliant thing”

Ma poi, a schiaffo -cosi come entrano alcune esperienze nella nostra vita- arriva il suo attacco: “La lista !” . Sì, perché proprio la lista sarà la prova per la confutazione della “damnatio memoriae”, in quanto esprimerà le cose per cui vale la pena vivere.

L’ accattivante performance di narrazione di Filippo Nigro scopriremo avvalersi della complicità di alcuni spettatori, chiamati a dare corpo ad numerosi personaggi della storia. A schiaffo, ma con garbo, Nigro di volta in volta li avvicinerà: come l’imprevisto ci si avvicina, nel corso della nostra vita. 

Un momento dello spettacolo “Every brilliant thing” (Le cose per cui vale la pena vivere) in Domus Aurea a Roma

Fai parlare il tuo cuore ! ” : questo ciò che possiamo sentirci sussurrare in un orecchio dalla Musa Urania. Che cosa significhi “cuore” nessuno lo sa per certo, la sua stessa etimologia è sfuggente. Ma va bene così. Infatti ” l’oracolo” della Musa Urania allude al “far parlare” quel non so che, quel quid che ci risuona dentro e che esce da solo. Senza ragionarci sù. C’è già. Nasce da un mistero, è il frutto della nostra fulgente immaginazione.

Un momento dello spettacolo “Every brilliant thing” (Le cose per cui vale la pena vivere) in Domus Aurea a Roma

E’ il 1977 e il protagonista della storia ha solo 7 anni. Sua mamma ha tentato di togliersi la vita e lui non riesce a capire “perché”. Per aiutare la mamma ma soprattutto, pur non rendendosene conto, per evitare di “dimenticarsene” come è successo alla mamma, inizia a scrivere – interpretando a suo modo il “Fai parlare il tuo cuore” – una lista di risposte al “perche” vale la pena vivere.

Crescerà e continuerà ad integrare la lista, anche con la complicità della sua donna e di cari amici, fino ad arrivare a trovare un milione di motivi per cui vale la pena vivere.

Ma dopo continui tentativi succedutesi nel corso degli anni, un giorno sua mamma riesce a togliersi la vita. E lui crolla. A nulla serve, per sollevarlo dal suo stato di “down,” invitarlo a leggere la lista con i motivi per cui essere grato di vivere. La butterà nella spazzatura.

Troverà, questa volta, un altro modo per confrontarsi con la vita e con la morte: trovando le parole per dirlo ad altri che vivono la sua stessa difficoltà. Come sta facendo con noi.

La Sala Ottagona oggi e al tempo di Nerone nella Domus Aurea di Roma

Fino a scoprire che il segreto dei segreti sta nell’assaporare proprio quell’attesa speciale, così piena di mistero, così immersa in un’eccitante incertezza.

Come quella, ad esempio, che precede l’ascolto di un disco: toccarlo per estrarlo dalla copertina, posarlo sul piatto. E, appoggiata la puntina, iniziare a godersi quel fruscio confuso che precede l’inizio della melodia. Ecco, lì : quando la morte si bacia con la vita.

Uno spettacolo divino, così come solo l’uomo sa esserlo.

Ingresso al Parco archeologico del Colosseo dove si trova la Domus Aurea di Roma


Recensione di Sonia Remoli