Recensione dello spettacolo CANTO ALLE VITE INFINITE – Progetto Terra mater matrigna – di e con Elena Bucci

TEATRO BASILICA, dal 3 al 5 Maggio 2024 –

E’ un moto di ricerca che nasce da una sensazione di esilio.

E’ il grato rammarico di aver tradito le proprie origini e l’eroica malinconia che accompagna un tornare. Solo ora capace di cogliere, recuperare e quindi tradurre ciò che prima risultava inassimilabile.

E’ un processo alchemico di separazione, di cottura e quindi di purificazione.

E’ il raggiungimento di quel “libero uso del proprio” – che passa per l’attraversamento degli opposti – di cui parla Friedrich Hölderlin.

E’ poesia di greca e di dantesca memoria: un nostos e un itinerarium mentis ad matrem novercam.

Elena Bucci

Ma per accedere al cancelletto – ricoperto di fedele edera – a custodia dei sottilissimi confini tra presente e passato, tra vita e morte,

occorre vestirsi di buio. E farsi buio.

Occorre girare su sé stessi fino a rischiare di perdere l’equilibrio.

Occorre rendersi flessibili e quindi disponibili ad accogliere tutto come “canne al vento”.

Allora ci si ritrova trasformati in creature volatili capaci di alzarsi da terra e di tornare ad ancorarsi, questa volta con la prensilitá di artigli. Fino a riuscire a giocare a stare su una zampa sola. 

Così ci si dà Elena Bucci, stregata e poi complice della Luna, parlando la magia del canto. Resiliente ad una luce satinata che cela il troppo per poter aprile lo spettro cromatico (la cura delle luci è affidata a Loredana Oddone). Il suo corpo ora sa usare le ginocchia per sostenere il peso del passato, i piedi per aderire alla terra e da lì potersi librare. Le sue braccia sanno prendere la forma più adatta a reggere il peso della tradizione per poterlo lanciare in una trasformazione.

Christian Ravaglioli e Elena Bucci

E la sua voce: gracchiante e insieme così modulante; graffio e balsamo. Contrappuntata dalle musiche originali di Christian Ravaglioli al pianoforte e alla fisarmonica. E dalla drammaturgia del suono di Raffaele Bassetti.

Christian Ravaglioli e Elena Bucci

Solo così le è permesso sfogliare la sua storia e la storia della sua Terra come fossero pagine di un libro. Solo così le è permesso dialogare e riconciliarsi con i fantasmi delle vite infinite che hanno dato forme diverse alla sua esistenza.

E fare la pace, perdonare, accogliere avendo misericordia. 

Perché lei ora sa di aver fatto e di continuare a far del bene con il Teatro.

Perché il suo teatro affronta argomenti che l’informazione giornalistica stenta ad affrontare.

Perché quella della Bucci e della sua compagnia Le Belle bandiere é la vocazione a portare in salvo quella molteplicità di specie umane, artistiche e linguistiche a rischio di estinzione. O di divisione.

Christian Ravaglioli e Elena Bucci

Perché “la bellezza è nella molteplicità: lì il suo mistero”.

Un diluvio di applausi cade su questo mirifico viaggio. Che lo accoglie pienamente.

Elena Bucci


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo RISATE DI GIOIA – Storie di gente di teatro – da un’idea di Elena Bucci –

TEATRO VITTORIA, dal 19 al 24 Settembre 2023

Ma quanto è bello un teatro abbandonato ! Di quanto fascino resta impregnato ! Non quello, certo, tipico di una florida attività commerciale. No. Piuttosto quello di un luogo che riesce comunque a farci da perimetro, lasciandoci però liberi di volare. Ancora.

Marco Sgrosso (Umberto) e Elena Bucci (Tortorella) in “Risate di gioia” al Teatro Vittoria di Roma

Soprattutto se a scoprirlo per noi e a disvelarcelo, quasi come archeologi che sanno come muoversi tra le rovine dell’Arte, sono due “dipendenti” del mondo del teatro. Non quelli bagnati dalle luci della ribalta ma delle tinche teatrali: coloro, cioè, che generalmente si trovano ad interpretare solo piccole battute per di più di scarsa importanza nell’articolarsi della storia raccontata. Tortorella e Umberto sono delle tinche sì, ma innamorate perdutamente della vita: quella che fluisce continuamente dentro la magica scatola teatrale.

Marco Sgrosso (Umberto) e Elena Bucci (Tortorella) in “Risate di gioia” al Teatro Vittoria di Roma

In questo epifanico spettacolo, che nasce da un’idea di Elena Bucci – che ne condivide la drammaturgia, le scene, i costumi, l’interpretazione e la regia con Marco Sgrosso e che trova nel disegno luci di Max Mugnai un sublime contrappunto nel riuscire a “portare alla luce” ogni “rinvenimento” dell’anima – tutto accade durante una notte di Capodanno. La notte più magica ed evocativa di ogni altro giorno dell’anno. La notte in cui inevitabilmente si ripensa a ciò che è stato e – titubanti ma anche eccitati – ci si apre ad un futuro tutto da inventare.

Marco Sgrosso (Umberto) e Elena Bucci (Tortorella) in “Risate di gioia” al Teatro Vittoria di Roma

Spettacolarmente la scena si apre nel momento in cui – lontani dagli schiamazzi di fine anno – Tortorella e Umberto, prossimi al rinvenimento archeologico di un teatro diroccato e abbandonato, ne dilatano quel che resta della membrana-sipario. E quasi come entrando dentro il taglio di un quadro di Lucio Fontana, restano investiti da un nuovo “venire al mondo”. Nuovamente partoriti, i due sono invasi da una meraviglia totalizzante: che paralizza e insieme apre al desiderio di volare. L’interpretazione e l’uso della voce di Elena Bucci e di Marco Sgrosso è tale da rendere queste due spinte con palpabile metafisica. E assistervi come spettatore è un’estasi inebriante. La parola e il gesto passano, infatti, continuamente da una sorta di intorpidimento a una divina musicalità. Che rapisce. Perché “niente sta fermo” ma tutto fluisce in uno scorrere eracliteo. Dove anche la musica (è Raffaele Bassetti a curarne la drammaturgia e il suono) si mette a servizio della parola: ne cerca continuamente la radice, la sottolinea, l’accarezza, la segue quasi sussurrando. In un unicum di rara bellezza.

Elena Bucci (Tortorella) e Marco Sgrosso (Umberto) in “Risate di gioia” al Teatro Vittoria di Roma

Finalmente soli sulla scena, Tortorella e Umberto sono tentati di cogliere questa occasione per immaginare di essere, per una volta, ciò che non sono mai stati nella realtà: dei primi attori . In verità però su questa tentazione narcisistica finisce per prevalere ancora una volta la meraviglia. E quella che voleva essere un’esibizione individualistica, si impreziosisce di una sacra voglia di coralità e di altruismo. Perché loro sono l’Arte e non il Teatro. E al pronunciare le parole magiche “ti ricordi !?” vengono invasi – in un furore tra l’apollineo e il dionisiaco – dall’urgenza di riportare alla memoria, e quindi alla vita, tutti coloro che pur nei loro piccoli ruoli artigianali costituivano il “profumo” del teatro. Un insieme di funzioni – dal suggeritore al portaceste – che davano forma ad un micro linguaggio costituzionale del teatro. Un elogio del “piccolo” che piccolo non è. E come tale va salvaguardato, ricordato. Per tenerlo ancora in vita. Perché loro sono “gli antenati” e vanno menzionati non solo quale reticolo di indispensabili funzioni ma anche ricordandone i nomi e i cognomi. Perché “chiamare per nome” salva l’identità e cura l’unicità del valore di ciascuno.

Marco Sgrosso (Umberto) e Elena Bucci (Tortorella) in “Risate di gioia” al Teatro Vittoria di Roma

Ma dalla preziosa rievocazione di Tortorella e Umberto prendono corpo anche i turbamenti degli “stregati” : gli attori, perennemente in bilico tra “sono io o sono il personaggio?” e che proprio in questa fluidità, in questo perdersi, ci restituiscono il meglio di ogni essere umano. Perché il loro non è un semplice “fare finta” ma un essere disponibili a restare “stregati”. Ogni volta. Sono “le belle bandiere”, duttili ad essere invase dal vento della follia: una disposizione d’animo umana e divina, di cui non si riesce a dare una definizione esaustiva e categorica. Così come avviene per l’amore. Perché porta sempre altrove. Ed è la magia di ogni improvvisazione. Gli attori sono un mistero: vivono nella speranza di lasciare una scia, di essere ricordati. Vivono ossessionati dalla memoria: dapprima da quella relativa alla fedeltà al copione e poi da quella che deriva dall’aver saputo tradire il copione stesso. Struttura, rigore ma anche libertà e ribellione. Perché questo è il Teatro. Perché questa è la Vita.

Marco Sgrosso (Umberto) e Elena Bucci (Tortorella) in “Risate di gioia” al Teatro Vittoria di Roma

Uno spettacolo ricco e accurato come un archivio. Vivo, però: pulsante. Così attento al fascino delle minuzie da rapire. Totalmente.

Un teatro di ricerca, questo della Compagnia “Le belle bandiere” che si origina dal desiderio di imparare e di continuare a trasmettere il patrimonio tecnico-poetico dei maestri, in un fluire di esperienze e di pensiero.

Un teatro di incontri e di reciproche illuminazioni, che risveglia energie insospettate e nutre l’immaginazione.

Perché noi siamo chi abbiamo incontrato. E possiamo evolverci a seconda di chi e cosa vogliamo incontrare.

Perché apertura, confronto e curiosità sono necessità imprescindibili, nel Teatro e nella Vita: aiutano a prendere coscienza del proprio valore e dei propri limiti e a guardare il mondo da prospettive sorprendenti. Scongiurando l’autoreferenzialità.

Un Teatro sovversivamente amoroso – quello della Compagnia “Le belle bandiere” – di cui abbiamo un immenso bisogno.  

Marco Sgrosso (Umberto) e Elena Bucci (Tortorella) in “Risate di gioia” al Teatro Vittoria di Roma


Recensione di Sonia Remoli